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sì al pesce crudo

Quando parlo a qualcuno che mi conosce poco della mia passione per il cibo giapponese mi sento spesso rispondere: "a no,  a me il pesce crudo non piace...". Di solito a questo punto inizio un panegirico infinito sull'ampiezza della cucina giapponese, che gli Occidentali identificano quasi solo con il sushi così come capita che gli stranieri conoscano della cucina italiana solo la pizza o gli spaghetti.

Quest'ultima volta invece l'obiezione è stata "ma... io del pesce crudo non mi fido". E da me è partito allora un ragionamento differente, che girando il mondo trova il pesce mai solo e semplicemente "crudo". Ci sono sempre aromi che, oltre ad insaporire il pesce e supportarne il gusto, ne garantiscono la sicurezza agendo sulle cariche batteriche ed altri fattori relativi alla possibile pericolosità nella conservazione e nel consumo di tutti i cibi crudi.

In Giappone infatti le fettine di pesce del sashimi sono accompagnate da rafano e salsa di soja, nei Paesi Nordici il gravlax prevede che il salmone sia lavorato con sale e zucchero, in Sudamerica il ceviche marina il pesce con succo di agrumi, ed aceto e limone compaiono anche nei crudi di tradizione italiana, uno fra tutti le alici marinate.

Di recente è balzato agli onori della cronaca l'anisakis, un parassita del pesce che ha spaventato molto l'opinione pubblica, contribuendo a diminuire la clientela dei ristoranti giapponesi in generale ed il consumo del persce crudo nella ristorazione in assoluto.

La normativa sanitaria europea ha pensato di risolvere la questione rendendo obbligatorio l'abbattimento di temperatura preventivo del pesce che va consumato crudo. E la cosa va anche bene se si decide di condire abbondantemente il pesce oppure di marinarlo con aromi che ne alterano sapientemente, volutamente le caratteristiche organolettiche di partenza.

Dal punto di vista giapponese invece il procedimento solleva qualche perplessità. Loro sono abituati a consumare il pesce acquistato vivo e comunque a pochissime ore dalla pesca, dunque avvertono immediatamente la differenza tra un boccone di pesce crudo freschissimo ed uno scongelato, anche dopo un abbattimento di temperatura professionale.

L'anisakis è un parassita, per la precisione un vermetto bianco e sottile, che si annida nell'apparato digerente di alcuni tipi di pesce e che migra nelle carni solo dopo parecchie ore dalla morte dell'animale. Inoltre è presente solo nel pesce pescato, perchè negli allevamenti controllati non ha la possibilità di proliferare. Perchè obbligare dunque tutti indiscriminatamente a passare qualsiasi tipo di pescato all'abbattitore senza permettere trattamenti alternativi di pari efficacia?

Se si adottasse anche in Europa il criterio giapponese della catena corta ad esempio, ovvero del minor numero di passaggi possibile e della velocità maggiore possibile nello smercio del pesce pescato, mantenuto anche magari in vita durante il tragitto, il problema sarebbe totalmente superato, così come se fossero accettati alcuni altri trattamenti tradizionali di prevenzione di cui i cuochi giapponesi conoscono i millenari segreti.

La prima ipotesi è ovviamente di difficile realizzazione, perchè implica una volontà di impegno e di investimenti a livello di mercati comunitari molto più comlpesso della semplice promulgazione di una norma che obbliga alla congelazione, sistema tra l'altro già ampiamente adottato quando si tratta di trasporto e distribuzione di alimenti di ogni natura.

La seconda ipotesi invece... nemmeno è mai stata presa in considerazione, nonostante ripetute sollecitazioni. Forse è comunque più facile generalizzare e/o eccedere in prudenza rispetto a dedicare energia allo studio corretto e rispettoso di usanze che all'Europa non solo familiari.

Ma torniamo a noi comuni mortali, alle prese con la spesa quotidiana e con i dubbi sul ristorantino sotto casa: è bene specificare che gran parte del pesce che si trova oggi sul mercato nelle grandi città italiane è allevato e spesso decongelat. Il rischio anisakis dunque è davvero molto minore di quanto si pensi, sia nella ristorazione italiana che a maggior ragione in quella giapponese. Lo stesso vale per i nostri mercati ittici, ovvero per il pesce fresco che acquistiamo noi direttamente dal pescivendolo o nei supermercati.

Essere prudenti non guasta, ma senza esagerare. Come per la ricetta di oggi, che non è giapponese ma ha a che fare con del salmone crudo. Prevede una marinatura consistente che disperde comunque le sfumature più delicate del salmone in questione, dunque anche un abbattimento di temperatura al nostro palato occidentale in questo caso cambierebbe poco. Se il pesce è di allevamento non ci sono reali problemi, se è pescato invece e non decongelato, a scanso di equivoci possiamo anche passarlo nel congelatore per un paio di gioni e poi lasciarlo scongelare in frigo prima di utilizzarlo. Volendo...

Parliamo qui di un ceviche, una marinatura di origine sudamericana qui europizzata usando pesce del Mare del Nord e qualche aroma mediterraneo. Con poi un tocco di sesamo, per non dimenticare che tutto il ragionamento di oggi, in fin dei conti, è partito da Oriente.


Ceviche di salmone con aromi mediterranei
ingredienti per 4/6 persone (o per 12/16 fingerfood):
400 gr. di filetto di salmone,
1 cipollotto rosso dolce di Tropea
1 cucchiaio di capperi sotto sale
1 limone
1 lime
1 dadino di zenzero grande come uno spicchio di aglio
6 foglie di basilico (più qualche fogliolina per la decorazione)
1 pizzico di zucchero
1/2 cucchiaino di olio di sesamo
1 cucchiaio di semi di sesamo neri
sale
pepe nero al mulinello

Mettere a bagno i capperi in abbondante acqua fresca.

Levare la pelle dalla baffa di salmone con un coltello affilato e con una pinzetta eliminare tutte le spine, quindi tritarne grossolanamente la polpa, riducendola in sostanza a cubettini di 4 mm.

Sciacquare bene i capperi, tamponarli e tritarli insieme al cipollotto ed al basilico; grattugiare finissimamente lo zenzero oppure schiacciarlo in uno spremiaglio per ricavarne solamente il succo.

Mescolare la polpa di salmone con gli aromi tritati, lo zenzero, il succo del limone e del lime, mezzo cucchiaio di scorza di lime grattugiata finissima, l'olio di sesamo, un pizzico di zucchero ed una bella macinata di pepe, e regolare se serve di sale (dipende in realtà dai capperi).

Chiudere in un contenitore ermetico (non di metallo) e lasciar riposare in frigo per almeno un'oretta. Se piace molto il sapore del pesce crudo bastano anche 20 minuti, se piace invece ben "cotto" dagli agumi può marinare anche un giorno intero. Quello delle foto, abbastanza "sbiancato",  ha riposato circa 4 ore. Se si decide per una marinatura molto breve aumentare la quantità di scorza di lime.

Poco prima di servire scolare il salmone dal liquido di marinatura, spemendolo con delicatezza per elimnare più acqua possibile, e disporre nei piatti all'interno di coppapasta, per sagomare la polpa con la forma preferita.


Levare gli stampi, decorare la superficie del salmone con i semi di sesamo e le foglioline di basilico rimaste e servire.

  • rivoli affluenti:
  • una interessante ricetta alternativa, un po' più sudamericana e molto, molto raffinata, qui

Commenti

  1. E dopo questa apologia del pesce crudo non mi resta che provare la tua versione europeizzata per noi comuni mortali!! ;)
    ciao loredana

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  2. cara Acquaviva, leggerti è sempre illuminante! Grazie, questo post è veramente utilissimo per chiarire dei dubbi e la ricetta come sempre intrigante. Un bacio e a presto

    RispondiElimina
  3. E finalmente sei arrivata al Sud: ceviche peruviano che io mangio incoscientemente ovunque qui a Baires in cui la cucina peruviana sta vivendo una specie di rinascimento (non che prima fosse morta...ma insomma, semplifico..).
    Gran bella ricetta e bellissimo post..(ma quando mai...?)...Baci

    RispondiElimina
  4. giusto ieri, dal pescivendolo, mi è toccato sorbirmi la solita solfa del "no al crudo". Che è un'obiezione legittima, sia chiaro: ma a cui corrispondono, spesso e volentieri, risposte estremamente opinabili. come quelle che generalizzano, per cui "tutto il crudo ha i vermi" o quelle pseudoscientifiche, "mezz'ora di congelatore e passa tutto". Da figlia di pescatore, per anni impegnato in battaglie ecologiche vere e non "fighette", sposo la prima delle ipotesi che hai avanzato, vale a dire quella della filiera corta. Qui a Genova in certi casi c'è e basta davvero poco per incentivarla: ci sono pescatori che vendono appena tornano dal mare, per esempio, il che dovrebbe essere garanzia di assoluta freschezza. Il problema, però, è la scelta, nel senso che devi accontentarti di quello che trovi: e qui scatta la vexata quaestio dell'educazione al consumo, con un criterio di stagionalità che vale anche per il pesce ma che pochi conoscono e a cui pochissimi si adeguano. Discorso infinito, ma si sa che qui sopra starei a parlare per ore (solo qui sopra, sia chiaro- che non si mettano in giro voci false e tendeziose :-))). L'unico modo per farmi star zitta è riempirmi la bocca di pesce crudo- e se ceviche, ancora meglio.
    ciao
    ale

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  5. Mauro Uliassi mi sa che dopo essere stato due anni in cura (stando a quello che diceva dopo aver contratto l’anisakis gustando un filetto di tonno crudo preparato con le sue stesse mani...) non la pensa più così :P hehehehehe
    Costatazione provocatoria a parte sono sempre stato un consumatore di pesce crudo con marinatura molto blande...tuttavia da un pò indipendentemente dal pescatore dal quale mi rifornisco...scelgo la via della sicurezza con l'abbattimento. Scelta vigliacca lo so...ma proprio mi frusterei se dovessi 'cascarci' personalmente...:) ehehehehehe
    Certo che la ceviche è una bella provocazione anche...ahahahahaha

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  6. dopo il servizio delle Iene devo dire che un pò di strizza era venuta anche a me... poi, però, non sono riuscita a rinunciare alla mia droga personale ;)
    per quanto riguarda il fatto che le persone pensano che in Giappone si mangi solo il sushi e si beva solo il sakè... no comment! :P
    buonissimo il Cevice! l'ho mangiato a una cena Peruviana... c'era talmente tanto limone che non sentivo più le labbra! xD

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  7. @loredana: grazie, mi sento compresa...

    @viola: magari non chiarisco tutti i dubbi, però cerco di spazzare via alcuni pregiudizi

    @glu.fri: ho parlato di Sudamerica in generale, ma se volgiamo entrare nello specifico della cucina peruviana... sarebbero infinite le cose da dire! Ma prima o poi ci si mette, vero?

    @alessandra: "accontentarti"?! E' esattamente l'inverso: in base a quel che offre il pescatore si decide il menù! Il ragionamento contrario, ad esempio "oggi branzino a tutti i costi", è figlio delle metropoli e dei supermercati, dove grossomodo tutto è ugualmente presente in ogni periodo dell'anno.
    Purtroppo nelle città lontane dal mare la filiera corta in Italia è ancora un'utopia ed il pesce vivo nemmeno preso in considerazione. Una delle molte cose che poteremmo imparare dal Giappone.

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  8. @gambetto: una delle molte cose che potremmo imparare dal Giappone, appunto, è come i cuochi sanno guardare il pesce. Ad Uliassi probabilmente è mancata quella sapienza tecnica specifica che gli avrebbe permesso di individuare l'anisakis, che è individuabile anche ad occhio nudo. Se sai cosa devi cercare...
    Il ceviche comunque non è un modo per mettersi al riparo dall'anisakis, a cui l'acido o il piccante fanno un baffo. Il parassita viene neutralizzato solo da un mutamento drastico di temperatura, quindi o abbattimento o cottura a caldo.

    @sayuri: qui le dosi di agrumi sono contenute, proprio per sentire il sapore del pesce oltre a quello di limone e lime.
    Ho imparato che le Iene sono giornalisti come altri, che preferiscono organizzare scoop da alti ascolti piuttosto che documentare con correttezza i vari aspetti dei problemi che affrontano. Non mi intendo abbastanza di altri campi ma ti assicuro che in ambito alimentare fino ad ora hanno veramente solo lanciato sassi e ritratto mani, quasi sempre totalmente a vuoto.

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  9. @enrico: grazie, è bello incrociarsi ongi tanto...

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