Qualche giorno fa mi sono ritrovata nel polveroso appartamento appena lasciato libero da un'anziana vedova, il cui nuovo proprietario voleva un consiglio su cosa fare dei pezzi d'arredo esistenti. Eredi frettolosi avevano infatti preferito alienare insieme alla casa tutto il contenuto e l'acquirente non sapeva distinguere se ci fosse qualcosa "di valore" da salvare dalla discarica... Ma cosa si intende per valore di un oggetto?!
Ciò che ho visto io erano i detriti della vita di qualcuno che non conosco... e se ne stavano lì muti, abbandonati a loro stessi come se i padroni fossero usciti pensando di rientrare poco dopo. L'impressione è stata violenta: vecchi mobili di formica anni '60 tutti pieni di bicchieri, zuppiere e vasetti; in bella mostra su credenze e mensole foto di bambini anni '70 in spiaggia tutte virate in arancio; poster pendenti dalle pareti a coprire inquietanti tappezzerie geometriche; sul tavolo di cucina sbeccato un barattolo di zucchero aperto ed una moka dal manico bruciacchiato; appoggiate sopra il frigo ricette di medicinali, una poltrona scompagnata piazzata lì a fianco, mentre le sedie del salotto buono avevano ancora il cellophane sul sedile imbottito...
Soprattutto mi hanno messo malinconia i libri, lasciati in quel luogo da soli ad affrontare chissà quale destino. Una casa zeppa di libri: ne spuntavano in tutti gli angoli! Enciclopedie accuratamente rivestite con i numeri riportati diligentemente a mano sulla costa, libri con dedica ricevuti in regalo, vecchi testi delle elementari di quarant'anni fa, la carta ingiallita di romanzi in edizione economica... Tanti, tanti romanzi, con titoli semplici, a raccontare di persone che avevano voglia di capire il mondo per quello che potevano.
Tutto questo è cascato nelle mani di un estraneo, tutto ha perso da un istante all'altro importanza, storia e "valore"... Mi ha preso un'angoscia tale che avrei voluto scappare e non sentirmi responsabile del destino di tutti quegli oggetti che rappresentavano il ritratto di una vita. Non è sempre possibile agire come vorremmo, purtroppo, così sono rimasta. Alla fine probabilmente si salveranno tre sedie in mogano. Il vecchio sedile in vinile recupererà la copertura originale il pelle, sempre che il colore si intoni ai gusti del nuovo proprietario e dunque lui conceda un metro quadrato della sua preziosa superficie ad una spaiata citazione altrui...
Ho lasciato l'appartamento con un peso sul cuore, appena mitigato dal pensiero che almeno le tre sedie resteranno a casa loro e continueranno ad essere testimoni della vita e delle storie che là dentro inevitabilmente continueranno a scorrere. Sarà stato anche giusto scegliere, ma il compito non spettava a me. Mi chiedo che fine hanno fatto quei bambini fotografati sulla spiaggia per lasciarsi così tutto alle spalle, ciecamente, impunemente, senza nemmeno riavvitare il tappo sul barattolo dello zucchero...
Per contrastare questa amarezza mi sono consolata con un tuffo in quelle che erano le mie storie di famiglia, con i nonni veneti che quasi ogni domenica festeggiavano la giornata speciale con una bella polenta rimestata pazientemente sul fuoco del camino per quasi un'ora (fino a che per mio padre non è cominciata l'era della pentola a pressione, voglio dire...). E dato che dalla mia incursione veneta ho riportato anche una bella soppressa vicentina...
Soppressa veneta all'aceto
Ricetta semplicissima senza nemmeno bisogno di dosi, perchè l'arte vera da raccontare sarebbe stata la polenta sul camino, ma al momento mi devo accontentare di una buona farina bramata sciolta con una frusta in acqua bollente salata, condita con un cucchiaio di olio e lasciata cuocere lentamente, rimestando spesso con un mestolo di legno fino a che assume faccia, consistenza e sapore propriamente "da polenta".
Quando è pronta si tagliano un paio di fette di soppressa a testa spesse poco più di mezzo centimentro e le si salta senza condimento in una padella antiaderente insieme con una manciata di uvetta ammollata fino a che la parte rosata si scurisce e la parte bianca comincia a sciogliersi.
Si sfuma con aceto bianco, oppure metà aceto e metà balsamico, si spolvera con appena un pizzichino di zucchero e quando il fondo è ben caldo si versa sulla polenta fumante insieme ad una macinata di pepe, magari accompagnando con un po' di radicchio. Soprattutto raccomando di richiudere il barattolo dello zucchero...
Ciò che ho visto io erano i detriti della vita di qualcuno che non conosco... e se ne stavano lì muti, abbandonati a loro stessi come se i padroni fossero usciti pensando di rientrare poco dopo. L'impressione è stata violenta: vecchi mobili di formica anni '60 tutti pieni di bicchieri, zuppiere e vasetti; in bella mostra su credenze e mensole foto di bambini anni '70 in spiaggia tutte virate in arancio; poster pendenti dalle pareti a coprire inquietanti tappezzerie geometriche; sul tavolo di cucina sbeccato un barattolo di zucchero aperto ed una moka dal manico bruciacchiato; appoggiate sopra il frigo ricette di medicinali, una poltrona scompagnata piazzata lì a fianco, mentre le sedie del salotto buono avevano ancora il cellophane sul sedile imbottito...
Soprattutto mi hanno messo malinconia i libri, lasciati in quel luogo da soli ad affrontare chissà quale destino. Una casa zeppa di libri: ne spuntavano in tutti gli angoli! Enciclopedie accuratamente rivestite con i numeri riportati diligentemente a mano sulla costa, libri con dedica ricevuti in regalo, vecchi testi delle elementari di quarant'anni fa, la carta ingiallita di romanzi in edizione economica... Tanti, tanti romanzi, con titoli semplici, a raccontare di persone che avevano voglia di capire il mondo per quello che potevano.
Tutto questo è cascato nelle mani di un estraneo, tutto ha perso da un istante all'altro importanza, storia e "valore"... Mi ha preso un'angoscia tale che avrei voluto scappare e non sentirmi responsabile del destino di tutti quegli oggetti che rappresentavano il ritratto di una vita. Non è sempre possibile agire come vorremmo, purtroppo, così sono rimasta. Alla fine probabilmente si salveranno tre sedie in mogano. Il vecchio sedile in vinile recupererà la copertura originale il pelle, sempre che il colore si intoni ai gusti del nuovo proprietario e dunque lui conceda un metro quadrato della sua preziosa superficie ad una spaiata citazione altrui...
Ho lasciato l'appartamento con un peso sul cuore, appena mitigato dal pensiero che almeno le tre sedie resteranno a casa loro e continueranno ad essere testimoni della vita e delle storie che là dentro inevitabilmente continueranno a scorrere. Sarà stato anche giusto scegliere, ma il compito non spettava a me. Mi chiedo che fine hanno fatto quei bambini fotografati sulla spiaggia per lasciarsi così tutto alle spalle, ciecamente, impunemente, senza nemmeno riavvitare il tappo sul barattolo dello zucchero...
Per contrastare questa amarezza mi sono consolata con un tuffo in quelle che erano le mie storie di famiglia, con i nonni veneti che quasi ogni domenica festeggiavano la giornata speciale con una bella polenta rimestata pazientemente sul fuoco del camino per quasi un'ora (fino a che per mio padre non è cominciata l'era della pentola a pressione, voglio dire...). E dato che dalla mia incursione veneta ho riportato anche una bella soppressa vicentina...
Soppressa veneta all'aceto
Ricetta semplicissima senza nemmeno bisogno di dosi, perchè l'arte vera da raccontare sarebbe stata la polenta sul camino, ma al momento mi devo accontentare di una buona farina bramata sciolta con una frusta in acqua bollente salata, condita con un cucchiaio di olio e lasciata cuocere lentamente, rimestando spesso con un mestolo di legno fino a che assume faccia, consistenza e sapore propriamente "da polenta".
Quando è pronta si tagliano un paio di fette di soppressa a testa spesse poco più di mezzo centimentro e le si salta senza condimento in una padella antiaderente insieme con una manciata di uvetta ammollata fino a che la parte rosata si scurisce e la parte bianca comincia a sciogliersi.
Si sfuma con aceto bianco, oppure metà aceto e metà balsamico, si spolvera con appena un pizzichino di zucchero e quando il fondo è ben caldo si versa sulla polenta fumante insieme ad una macinata di pepe, magari accompagnando con un po' di radicchio. Soprattutto raccomando di richiudere il barattolo dello zucchero...
- rivoli affluenti:
- la casa che per antonomasia racconta una storia: Isabel Allende, La casa degli spiriti, Feltrinelli
gli oggetti parlano.
RispondiEliminaquesto piatto piacerebbe a qualcuno, qui da me, con l'amata soppressa.
Mia mamma e' decedeuta improvvisamente mesi fa, stiamo vendendo la casa e siamo nella situazione che hai descritto: tanti oggetti, testimoni di tanto affetto, tanti ricordi. E tutto che deve necessariamente sparire. Io e mia sorella abbiamo preso alcune cose di poco ingombro, dato che le nostre case sono gia' piene zeppe, il resto deve sparire per lasciare libera la casa. A differenza di quegli eredi abbiamo cercato e stiamo cercando di trasferire mobili e quant'altro a parenti e amici. Sono del parere che una persona muore davvero quando non sara' piu' ricordata e non ci sara' niente a ricordarcela. Ma molto degli oggetti di una vita finira' o in discarica, o a organizzazioni di beneficenza. Che magone...
RispondiEliminaTRANSEAT, la vita va avanti.
Parlando di soppressa, visto che ogni regione chiama cosi' gli insaccati a composizione la piu' disparata: questa vicentina e' fatta con gli scarti del maiale, a pezzi grossi (polpa non macinata), principalmente della testa? C'e' in aggiunta della buccia di limone? E del pistacchio? Cosi' viene fatta in toscana....
L'idea del dolce e forte e' comunque molto buona. Dovrei provare con la nostra soprassata :-)
@artemisia: la soppressa è proprio parte del mio mondo d'infanzia. E poi è talmente versatile...
RispondiElimina@corradoT: la soppressa vicentina è un prodotto DOP creato con i tagli nobili e seminobili del mascio, il maiale adulto allevato allo stato semibrado. Esiste in due varianti: all'aglio o senza e l'aroma più evidente è il pepe, anche se nella produzione il disciplinare permette l'utilizzo anche di cannella, chiodi di garofano, noce moscata e rosmarino. Quella toscana che descrivi tu è invece più simile alla soppressata o coppa di testa romana. Ma si sa che in Italia spesso il nome dello stesso salume cambia di regione in regione, mentre a volte lo stesso termine definisce salumi tra loro molto differenti... Ma è così anche per i pesci, i tagli della carne e moltri altri alimenti. Siamo belli così, no?
Con questo stesso "dolceforte" caldo di soppressa tagliata a dadini ci puoi anche condire il radicchio in insalata...
P.S. ciò che mi ha intristito di quella casa era proprio l'apparente indifferenza dei isimboli della propria infanzia e della propria famiglia. Ma forse giudico male io e si trattava di un dolore talmente grande che il solo pensiero di superare quella soglia di casa sarebbe stato insopportabile...
Ma guarda le combinazioni, ci deve essere qualcosa nell'aria, anch'io oggi ho postato su un oggetto, sulla storia che riesce a raccontarti, che è bello far rivivere se si può. E' un po' triste e un po' no, è la vita che ci sa consolare anche con le soppresse (brrr che nome denso di suggestioni!)
RispondiEliminaHo letto questo post con una crescente solitudine interiore...
RispondiEliminaOgni considerazione rischierebbe di essere banale, c'è solo la consapevolezza di vite che passano e che rimangono nelle menti di chi c'è ancora...nonchè il rispetto di tutto ciò che hanno donato agli altri ed ovviamente non parlo di materialità.
La soppressa, mi sa, supporta metaforicamente in modo congeniale il vuoto dentro che si crea in alcune circostanze...
@enrico: saranno le nebbie novembrine ed il buio che cala presto che ci riportano al calore degli interni domestici e degli oggetti che li animano, ma il valore consolatorio delle piccole strorie raccontate da foto ingiallite, da tabacchiere ammaccate, dai cibi dell'infanzia... è innegabile!
RispondiElimina@gambetto: hai colto nel segno... la tristezza più grande in quella casa era proprio la sensazione che qualcuno stesse trascurando di occuparsi di quelle memorie, fosse pure scegliendo coscientemente di eliminare quasi tutto.
Già...
RispondiEliminache storia triste, chissà perchè quando l'essere umano cresce dimentica quel che era per diventare penosamente odioso ( non tutti ovvio). però è anche vero che non conosciamo il motivo del non aggrapparsi ai ricordi lasciati dalla madre da parte di quei figli ormai cresciuti. Forse è un modo per rinnegare quello che si è stati o rinnegare il tronco da cui proveniamo, ma i figli sono sempre rami di quel tronco e anche se veniamo staccati facciamo sempre parte di quel tutt'uno che un tempo si chiamava famiglia.
RispondiEliminaDiciamoci la bieca e cinica verità: le nostre case sono strapiene di oggetti...se dovessimo fare un inventario ad occhi chiusi ne dimenticheremmo più della metà...
RispondiEliminaImpariamo a seminare altro anzichè stiparci gli armadi e chi ci ama ci ricorderà anche senza chiudere i barattoli che lasciamo aperti...
P.s: dopo questa botta di acidità mi viene anche una domanda...ma veramente fai la polenta senza pentola a pressione?
Sei davvero slow food inside...
Veramente anche io quelle rare volte che la preparo...non uso la pentola a pressione...anche eprchè non la ho :p
RispondiElimina@aria: a me ha colpito il gesto in sè, proprio perchè le ragioni non le potevo conoscere. Certo che per l'archeologo è tutto basato sugli oggetti che parlano...
RispondiElimina@virò: non penso che si debba conservare tutto, solo mi è sembrato strano vedere abbandonati in mani estranee oggetti tanto personali come foto di famiglia o libri sottolineati. Io piuttosto avrei distrutto le foto e regalato i libri, ma mai ne avrei lasciato il destino così, alle decisioni di uno sconosciuto...
La pentola a pressione che mi è stata regalata anni fa sta ancora imballata nel suo cellophane. Però uso spesso il microonde... è una compensazione sufficiente?
@gambetto: lapalissiano!
è impressionante, come quando gli oggetti raccontano storie a volte non si sa "che fine hanno fatto i bambini...".
RispondiEliminaUna vita donata non appartiene a chi la dona, ma a chi la prende, eppure commossa dal racconto mi auguro che qualcuno si sia tenuto in tasca, mentre usciva da quella casa, almeno qualche bel ricordo.
@lila: anche se non se l'è messo in tasca mi auguro gli sia rimasto nel cuore... e che, insomma, la sensazione di desolazione provata in quel luogo fosse solo un mio fraintendimento.
RispondiEliminaChe scrivi bene, lo sapevo... trovo molto piacevole che sia abinato alla cucina, nel modo particolare in cui lo fai tu. Brava!!!
RispondiEliminaMi sono aggiunta con molto piacere ai tuoi lettori fissi!
A presto
Patricia
@patricia: ma pensa un po', te lo saresti mai immaginato un anno fa di trovarci a commentare sui reciproci blog?!
RispondiEliminaNOOOOOO!!!!
RispondiEliminaIl magone è venuto anche a me, menomale che non ho visto la scena. e' vero che gli oggetti staccati dal loro contesto diventano muti eppure erano testimoni. Comunque sono d'accordo con Corrado, l'importante è cio' che ricordiamo dentro.
RispondiEliminaLa soppressata è deliziosa ma, per cambiare, mi toccherà attraversare mare e monti (quelli forse si') per travarla ;-)
@dada: gli oggetti sfiorano il cuore con carezze di memoria, che non sono in effetti indispensabili ma che di certo hanno un loro valore.
RispondiEliminaMi spiace per la rarità della soppressa in Francia (anche se non è che a Varese cresca proprio sugli alberi...), diciamo che comunque hai di che consolarti!