Passa ai contenuti principali

la cucina come scienza e come arte

Ed ecco che la carovana riprende la marcia e, in compagnia degli ambasciatori del Gran Khan, si avvia verso Pechino. Nonostante gli incontri di ogni genere fatti finora dai nostri viaggiatori, questo con la tavola del Khan deve essere stato veramente sorprendente per loro... In cucina i Cinesi usano da sempre la filosofia del tocco gentile: non lasciano fare al caso ma, per antica sapienza, razionalizzano tutto. Se la vita per un Orientale poggia su una solida base di destino e casualità, in cucina il cuoco cinese ricorre alla scienza senza troppe teorizzazioni ma con le certezze originate da un'esperienza dalle origini già antichissime ai tempi di Marco Polo.

Per scrivere la parola "cucinare" in Cina si usano due ideogrammi, peng tiao. Il primo indica l'atto vero e proprio del cuocere (cioè la tecnica che permette di non mangiare gli alimenti crudi), il secondo si traduce con un concetto misto di "raffinatezza" ma anche "aromatizzazione", ovvero sottolinea l'arte che viene applicata alla tecnica perchè il prodotto oltre a sfamare comunichi anche sensazioni di piacevolezza, sorpresa ed armonia.


Praticava il peng l'Uomo di Pechino 300.000 anni fa, ma già con la creazione di nuovi tipi di tegami ed atttrezzi durante l'Era del Bronzo, a partire dal 2000 a.C. i cuochi cinesi svilupparono l'arte del tiao. All'epoca di Gesù gli affreschi nelle tombe della dinastina Han documentano banchetti sfarzosi, in cui l'ospite veniva "nutrito" con poesie, musiche e giochi di società, oltre che con una gran varietà di cibi. Tra l'altro tutti molto leggeri, per evitare di appesantire troppo i commensali durante il lungo pasto (altro che i baccanali dei nostri Romani!), secondo un rapporto armonioso, variato e sempre gradevole di yin e yang. Perchè cucinare e mangiare non sono solo gesti materiali...

L'importanza del valore anche simbolico del cibo nell'ospitalità cinese, come meglio di me può spiegare Enrico, è simbolizzata dalla frase di benvenuto che ancora oggi accoglie l'ospite: "che fan le mai?", "hai già mangiato?" E di certo così capitò a Marco Polo, che alla corte di Kubilay Khan ci rimase diciassette anni (ma questa è un'altra storia e non sta a me raccontarla...) e che della cucina cinese scrisse: "Nessun'altra cucina al mondo ci regala, praticamente dal nulla, tanta felicità"...

Il Paese è enorme, con diverse forme di economia rurale, diversi gruppi etnici (oltre una sessantina), differenti aree climatiche, lingue accomunate spesso solo dalla scrittura... e naturalmente tradizioni gastronomiche indipendenti e molto radicate nella propria specifica tradizione. Inoltre le origini storiche della gastronomia cinese derivano dalla cucina contadina quasi di sussistenza, dalla elaborata cucina di corte, ma anche dall'interesse che poeti ed eruditi dedicarono alla preparazione ed alla presentazione del cibo, considerate delle forme di arte alla pari della calligrafia o della poesia.

In Cina già  duemila anni fa giravano libri di cucina (in bambù!) e dopo il 907 d.C., quando con il termine della dinastia Sung la situazione politica divenne relativamente instabile, saggi ed intellettuali cercarono di tenersi lontano dalle lotte di potere e si formò una sorta di dorato mondo arcadico, detto Shiwai Taoyuan "la terra dei peschi in fiore" (dal titolo di un'antica leggenda che narra di un pescatore arrivato per caso in un mondo ideale e perfetto), in cui le persone colte si rifugiavano per discettare solo di cose belle e gradevoli come giardinaggio, pittura, poesia... ed alta gastronomia. Una sorta di Utopia, un po' il fenomeno che si sta presentando ora da noi, epoca in cui al degenerare dei costumi politici, e sociali si reagisce fuggendo dalla realtà più cruda ed appassionandosi ai lati pacevoli della vita, come l'enologia o la gastronomia, diventate talemente "di moda" da entrare addirittura come rubriche fisse nei telegiornali...

Gli stili culinari in Cina sono innumerevoli e diversissimi tra loro. Li accomunano in sostanza un paio di elementi: la cura per la presentazione (derivata in origine dalla necessità di rendere gradevole agli occhi e dunque appetibile anche l'ingrediente più povero), la cottura spesso veloce ad in piccoli bocconi (anche per la scarsità di legname e combustibile di molte zone) e la convinzione che tra anima e corpo il ponte collegamento è lo stomaco, che procura benessere fisico e spirituale. Su questo concetto si basa la medicina cinese, e qui possiamo anche citare Confucio, descritto come decisamente raffinato nei suoi gusti culinari ed acclarato esempio di come essere un buongustaio non nuocia certo all'anima!

Per tornare agli innumerevoli stili culinari cinesi, per semplificare diciamo che si possono individuare quattro grandi aree:
  • la cucina Lu, al nord, zona di Shantung e Pechino, dove grano, orzo e cereali prevalgono sul riso, con abbondanza dunque di pasta e pane al vapore. Molto usati aglio, cipolla e soprattutto porri, molto amate le carni come maiale, manzo (un tempo un vero lusso di corte) ed agnello, e le cotture croccanti.
  • la cucina Yue, a sud, zone di Canton e Hong Kong, è la più conosciuta ed esportata in Occidente ma fu a lungo considerata una cucina "barbara" perchè, priva di tabù, impiegava gli ingredienti più insoliti per gli altri cinesi, come cani, insetti o serpenti. Abbonda di crostacei, piacciono i sapori zuccherini e la vocazione dinamica e commerciale dell'area ha fatto fiorire l'abitudine di consumare velocemente piccoli spuntini a qualsiasi ora del giorno e della notte, i famosi dim sum.
  • la cucina Su, a est, zone di Yangzhou e Shanghai, caratterizzata da una grande varietà ingredienti dovuti al clima subtropicale, dalla abbondate presenza di corsi d'acqua e dunque di risaie; si amano pesce e frutti di mare, diminuisce l'uso di salsa di soja a favore di presentazioni molto colorate.
  • la cucina Chuan, ad ovest, Sechwan e Yunnan; come in tutte le regioni molto calde prevalgono sapori forti e piccanti, il sapiente uso delle spezie risente di influenze influenze thai, birmane e indiane, menre le forti tradizioni buddiste emergono nei molti piatti vegetariani e nella diffusione del tofu.
In questo caso, dato che i fratelli di Marco Polo sono arrivati proprio a Pechino, ci addentriamo in una ricetta del Nord di eredità imperiale, dove quindi porri e funghi, prodotti tipici della regione, vengono impiegati per aromatizzare in modo magistralmente delicato una leggera zuppa di pollo. Per coerenza con la varietà sopra citata, ne do qui una versione base, che può essere poi declinata a piacere.



Dong-gu dun ji - Zuppa di pollo e funghi
Ingredienti per 4 persone:
600 gr. di pollo (io ho usato due cosciotti con sovracoscia)
1 bel porro
1 gambo di sedano
5 o 6 funghi dong-gu*
2 fette di zenzero fresco un po' spesse
2 cucchiai di sakè
sale

Mettere a bagno i funghi per una ventina di minuti in una tazza di acqua tiepida, quindi scolarli (tenendo e filtrando l'acqua), eliminarne i gambi e tagliare le cappelle a striscette.

Tagliare il porro a rondelle spesse; sbucciare le fette di zenzero; mondare il sedano dai filamenti e ridurlo a bastoncini sottili lunghi un paio di cm; levare al pollo la pelle e le eventuali parti di grasso più evidenti.

Portare a bollore una casseruola di acqua, tuffarvi il pollo e sbianchirlo per 3 o 4 minuti, quindi scolarlo e sciacquarlo il acqua fredda.

Metterlo in una casseruola pulita insieme a porri, sedano, zenzero, sakè, l'acqua dei funghi ed un pizzico di sale e coprirlo con acqua fresca.

Coprire il tegame, portare a bollore quindi abbassare la fiamma e lasciar sobbollire per circa 20 minuti, se serve schiumando di tanto in tanto il brodo.

Con una schiumarola levare dal brodo circa una tazza di porri, tenendoli da parte in un colino; coprire di nuovo il pollo e continuare a cuocere per altri 25 o 30 minuti circa, fino a che la carne è molto chiara e si stacca da sola dalle ossa.

Lasciar intiepidire il pollo nel brodo in modo che la carne rimanga morbida, quindi smiznuzzarne la polpa o tagliarla a dadini, eliminando ossa e cartilagini.

Filtrare il brodo e rimetterlo in pentola con i pezzi di pollo, i porri tenuti da parte, i funghi ed il sedano recuperati dalla colatura del brodo, riscaldare velocemente e servire nelle tazze individuali.

Si può gustre semplicemente così, magari decorata con qualche fogliolina di prezzemolo, oppure aromatizzata con una goccia di salsa di soja e/o olio di sesamo o anche (ma non diciamolo a Marco Polo) insaporita con una punta di sambal oelek, la salsa di peperoncini piccanti.

(*I funghi cinesi dong-gu o tung-ku, che sono poi gli shijtake giapponesi, sono da noi facimente reperibili solo essicati. Nel caso siano disponibili freschi conviene aumentarne la dose e raccoglierne poi parte a mentà cottura come per i porri. Sono eventualmente sostituibili con orecchioni misti a porcini)

Ho provato però anche un'ulteriore evoluzione di questa zuppa, particolarmente profumata e molto amata a Pechino per la sua consistenza vellutata, partendo dal passaggio in cui si filtra il brodo: 



Zuppa bis con fili di uova

Sciogliere 2 cucchiai di amido di mais in un mestolo di brodo filtrato ed unirvi 2 cucchiai di salsa di soja, 3 cucchiai di aceto di riso e mezzo cucchiaino di pepe di Setchuan.

Versare nel resto del brodo filtrato e portare ad ebollizione, in modo che l'amido lo addensi leggermente.

Sbattere 2 uova con un pizzichino di sale e versarle quindi a filo nel brodo, in modo che rapprendendosi formino dei fili sottili (non agitare troppo velocemente il mestolo o si forma una stracciatella eccessivamente minuta).

Unire pollo, funghi, sedano e porri alla zuppa e cuocere quel tanto che basta a scaldare bene il tutto, condire con qualche goccia di olio di sesamo e distribuire nelle ciotole individuali (io l'ho proposta in mini-porzioni a mo' di shot, un piccolo sorso come intervallo caldo tra due portate importanti, anche se in Cina la zuppa in realta dovrebbe chiudere il pasto).
  • rivoli affluenti:
  • un po' di notizie storiche sono tratte da: Xiao Hui Wang, Cornelia Schinhard, Cina. Il Paese, la Gente e le Ricette tradizionali, Vallardi.
  • aggiornamento: altre notizie sul significato di peng tiao nel più recente post di Enrico: http://ilventodellest.blogspot.com/2010/04/peng-tiao.html

Commenti

  1. Che meraviglia, altro che vivandiera della carovana! questa è filosofia della cucina. Complimenti per la zuppa, ho mangiato a Pekino in un locale proprio dietro alla Tien an men una zuppa esattamente come la prima descritta e l'ho trovata molto delicata. Vorrei fermarmi a Pekino , ma quei due dannati sono già sulla strada del ritorno, hanno una fretta dannata, gli affari non aspettano. ;-))))

    RispondiElimina
  2. @ ma che si rilassino un attimo... dopo tre anni a Bukhara non potevano starsene un po' tranquilli anche in Cina?! Ragazzi, così mi farete morire...

    RispondiElimina
  3. Che bel post. Imparare ad avere un occhio su ciò che dista in modo da poter valutare meglio quello che si ha vicino, in cucina come per altro. Mi piace l'elogio della semplicità assunta a veicolo per il raggiungimento di una maggiore consapevolezza di ciò che è bello.
    Grazie per la ricetta e per lo squarcio cultural-gastronomici che hai condiviso.
    Stavolta nessuna facile battuta sul versante orientale solo rispetto e considerazione di ciò che non si conosce ;)
    Buon inizio settimana :))

    RispondiElimina
  4. @gambetto: avevo avuto la tentazione di un confronto anche sociale tra la Cina di allora e questa, ma mi sembrava più pertinente e meno confuso parlare prevalentemente di cucina, visto che ad altri ragionamenti pensa già Enrico...

    RispondiElimina
  5. Che bel viaggio tra cibo, storia e cultura!
    interessanti i diversi tipi di cucina nelle diverse aree dell'immensa Cina!
    Zuppetta che mi attira molto!
    sempre complimenti mia cara...sei uno stimolo alla mia già fervida curiosità:)

    RispondiElimina
  6. @terry: grazie terry, mi fa davvero piacere il tuo interesse. Non pensavo ci fossero in giro molti pazzi come me...

    RispondiElimina
  7. Se ci pensi i ristoranti cinesi negli anni Ottanta sono stati il primo passo per avvicinarsi alla cucina etnica...purtroppo, almeno nella maggior parte dei casi, è stato un passo falso perchè di quello che hai spiegato tu negli involtini primavera surgelati e fritti in olio quasi non più commestibile c'era ben poco...

    Oggi molti ristoranti cinesi sono visti come sinonimo di prezzi bassi e pessima qualità... conosci eccezioni valide?

    RispondiElimina
  8. @virò: assolutamente sì! A Milano ci sono sia ristoranti eleganti che trattorie popolari ed addirittura un paio di locali che propongono alta cucina asiatica, tutti che lavorano molto seriamente.
    Purtroppo spesso i ristoranti cinesi più "andanti" impiegano personale non specializzato, magari persone che sono emigrate per ragioni familiari, economiche o politiche ma che a casa loro facevano tutt'altro lavoro. Proprio sull'onda del boom degli anni '80 hanno pensato che fosse una forma di lavoro facile e redditizia, visto che gli occidentali in generale erano aperti alla novità e, non conoscendo esattamente cosa spettarsi, potevano facilmente essere "pilotati" verso un certo gusto standardizzato nei sapori ed industriale nella preparazione.
    Per fortuna oggi non è più così, nonostante la maggioranza dei ristoranti cinesi siano come dici tu.
    Su Roma non ho indirizzi in merito... dovrei venirci un po' più spesso e far pratica!

    RispondiElimina
  9. a star lontani qualche giorno dal tuo blog si perde qualche giorno in più di vita!!!!
    Con un pò di invidia..... ma dove trovi il tempo? fantastico il tuo e ormai un pò anche nostro viaggio ....
    paola

    RispondiElimina
  10. @virò: affare fatto. Comincia a prendere informazioni in zona che poi io arrivo e testiamo insieme...

    @paola: tu che invidi il tempo a me? Questa è bella...
    Comunque se vuoi aggregarti alla carovana non devi far altro che deciderti a saltare sul primo carro che passa(ti consiglierei quello della vivandiera, naturalmente!). Aspetta quanto vuoi, ma più passa il tempo più tappe ti perdi nel quotidiano...

    RispondiElimina

Posta un commento

post più popolari

MTC di settembre 2014: un sacco di riso!

Diceva un vecchio slogan anarchico: "con l'ironia abbatteremo il potere e un sacco di riso lo seppellirà".  A no? Erano risate?! Va be'... per un MTC di questa portata ci si può anche concedere una licenza! Premessa... ... avevo scritto un post lunghissimo per raccontare perché e per come ho scelto questo tema per l'MTChallenge di settembre 2014. Poi l'ho ridotto della metà, lasciando solo alcune note che mi sembravano indispensabili, e l'ho mandato alla Gennaro per un parere.  E lei ha detto che un terzo di quanto le ho mostrato era già troppo! Allora ho ricomposto alcuni dei contenuti in articoli di supporto da pubblicare più avanti ed ho cassato il resto. Qui è rimasto il riassunto della selezione della selezione, ovvero il puro tema dell'MTC. Che, mi spiace, adesso vi tocca leggere per intero! Se scegliere un ingrediente invece che una ricetta tende ad allargare gli orizzonti, questa volta scegliere IL RISO , come capirete, li spalanca fran

a tu per tu con il Fleischkäse svizzero, questo sconosciuto di famiglia

Nel curioso elenco dei cibi svizzeri che hanno caratterizzato la mia infanzia mi rendo conto che, fatto strano, sul blog non ho ancora parlato del  Fleischkäse, una via di mezzo tra un polpettone ed un würstel gigante di cui da bambini venivamo spesso nutriti. Ma un episodio di vita vera me lo ha messo sotto il naso proprio l'altro giorno, ed eccomi qui con il mio reportage storico-familiare. Alcuni Svizzeri, come quelli di casa mia, vivono il   Fleischkäse come un salume, da comprare pronto, intero o affettato sottile in buste, da servire in tavola come fosse prosciutto cotto o da infilare nei panini per merenda con maionese, senape e cipolline sottaceto (Be'... che c'è?! Se mia mamma per evitare che noi figli mangiassimo troppa Nutella la teneva in frigo ad indurire, così era più difficile da spalmare e sul pane se ne metteva di meno, perché stupirsi di quella che lei invece considerava una merenda "sana"?!) Altri amanti del  Fleischkäse  lo compran

una salsa di cipolle svizzera per würstel e per mamme lavoratrici

Lo so: sono rimasta indietro di una puntata! Parlavo di  ricette svizzere  quando un'irrefrenabile tentazione di cibo americano  si è intrufolata in cucina ed ha avuto  la meglio. Riprendo ora il filo con un piatto che ho proposto pochi giorni fa anche alla mia cara mammina svizzera in occasione del suo compleanno: Bratwurst con salsa di cipolle. L'aspetto curioso non sta tanto nel tipo di würstel utilizzato, una salsiccia bianca di vitello il cui nome per alcuni significa "salsiccia di carne spezzettata" e per altri "salsiccia da arrostire". In Germania di solito viene speziata in modo deciso con pepe, noce moscata e/o cumino, mentre in Svizzera il suo sapore è molto più delicato. In Ticino ne esiste una versione mignon, una "collana" di micro-salsiccine detta cipollata  non perchè contenga cipolle ma perchè, appunto, di solito si serve in salsa di cipolle. Ma, a casa della mia mamma lavoratrice senza tempo ne' passione per la cucina,

MTC giugno 2011... verso Oriente!

Continuo a pensare che le giudici  titolari  e aggiunte  dell'MTC fossero completamente fuori quando hanno passato a me il testimone e nessuno potrà convincermi del contrario, anche perchè potevano ben immaginare in che gorgo storico-etnico-confusionale avrei trascinato la sfida... ma si sono fidate lo stesso! No, è oggettivo: non possono essere completamente normali... Accertato questo, dichiaro anche di non essermi mai emozionata tanto nello scrivere un post e soprattutto nel proporre una ricetta, sentendo tanti occhi puntati addosso ed il fiato trattenuto di tanti MTC addicted... Ebbene sì, rilassatevi (o disperatevi) pure: come temevate, questa volta si va davvero tutti in Giappone! Niente succede per caso, si sa. Tanto è vero che l'eterno girovagare di Marco Polo (a cui faccio da qualche tempo da vivandiera ) l'ha portato proprio a questo punto del suo viaggio a confrontarsi con  Cipango , il Paese del Sol Levante... Come potevo non cogliere il suggerimento di un s

peperoni farciti alla croata: massaia batte bustina millemila a zero!

Riprendere a parlare di cucina non è facilissimo, soprattutto con il tono scanzonato che avevo in mente per questo post. Mi limiterò all'aspetto "documentaristico" ed umano, che l'umore magari sa beneficiare della concentrazione e della dolcezza richieste da una simile impostazione. Dopo una lunga serie di articoli e ricette a base di riso penso di cambiare direzione dedicandomi ai peperoni bianchi croati che di solito si cucinano ripieni di carne, per scoprire poi che nella farcia è presente riso crudo. Quando si dice il caso... I peperoni bianchi, babura paprika, in Croazia sono reperibili facilmente proprio in questa stagione. Ne ho in frigo tre e decido di prepararli, appunto, come  punjene paprike , ovvero farciti e cotti nel pomodoro, ricetta tipica che con piccole varianti è diffusa anche in altri Paesi limitrofi e che ogni famiglia, ovviamente, prepara secondo i propri criteri. La versione più semplice prevede di profumare carne trita di manzo o m

riso Otello: un nero integral(ista)

Il primo giorno di autunno una ricetta con le ultime verdure estive, che sono ancora buone visto che sembra far più caldo ora che nei mesi trascorsi... Sollecitata da alcuni dubbi posti sulle modalità di cottura del riso integrale e sull'utilizzo di varietà di riso "esotiche", ho pensato di provare le risposte sul campo e chiarire soprattutto le idee a me stessa, la prima che ha tutto ancora da imparare. Così, per prendere due piccioni con una fava, ho scelto un riso sia nero che integrale. No, non famoso ed idolatrato riso Venere, fantastica varietà di nobile origine cinese che, grazie a opportune ibridazioni, ora è coltivato anche in Italia.  Ho pescato  invece una varietà tutta italiana: il riso Otello, che deriva anch'esso da varietà cinesi ma è di concezione e di coltivazione tutta nostrana. Chissà se il  nome è stato ispirato ispirato dal famoso personaggio shakespeariano, dalla sua pelle scura e dalla sua natura piuttosto integral ista... Si utilizz

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!