Tutti quanti il 6 aprile di un anno fa abbiamo sentito raccontare dagli organi di informazione del terremoto in Abruzzo e siamo inorriditi, ci siamo commossi, magari abbiamo anche pregato o mandato in qualche modo una piccola offerta a qualcuno. Poi abbiamo cambiato canale televisivo, voltato pagina del giornale, spento la radio o il computer, tornando alle occupazioni quotidiane con una punta di malinconia e fatalismo in fondo al cuore, ma fondamentalmente in pace.
Io per prima, in quell'occasione come in altre analoghe, l'ho pensato come un fatto lontano, di quelli che capitano solo agli altri, e ho creduto di esserne "fortunatamente" estranea. Nonostante mi si fossero ripresentati alla memoria i volti commossi dei nonni quando raccontavano di un bombardamento durante la guerra e di un incendio una decina d'anni dopo che per due volte avevano completamente "buttato all'aria" la famiglia ed il lavoro, nonostante abbia provato sulla mia pelle qualche anno fa le conseguenze di una disastrosa alluvione, tenevo tutto quanto distante, cercando vigliaccamente di lasciare che le emozioni a riguardo si assopissero tra le pieghe della cronaca, che tutto annulla e parifica in un ovattato rumore di fondo.
Il 10 aprile di un anno fa uno squillo di telefono mi ha risvegliato dal torpore: un gentilissimo signore che svolge all'Aquila la mia stessa attività professionale mi chiedeva molto discretamente un favore tra colleghi, non potendo essere lui operativo nell'immediato. Solo attraverso conoscenze comuni sono venuta poi a sapere che era riuscito a salvare la famiglia per miracolo, casa ed attività entrambe in fumo. Con due coperte sulle spalle e le chiavi dell'auto casualmente in tasca, aveva potuto accompagnare moglie, figli e suocera nel monolocale al mare prestato da un amico, accogliendo con sè anche un collaboratore che nel terremoto aveva perso il figlio.
Non aveva in quei giorni di che sfamarli e vestirli, avendo trovato in quella casa di fortuna solo una scatola di cracker, due lattine di tonno, qualche costume da bagno e poco altro. Nessun portafogli in tasca, nessun documento d'identità per poter prelevare qualcosa in una diversa filiale della sua banca (anch'essa crollata), nessuna possibilità di frugare tra le macerie di casa o del luogo di lavoro.
Per la sopravvivenza quotidiana si appoggiava alla solidarietà di un vicino di monolocale, ogni giorno ringraziava per il dono della famiglia salva, ricacciava giù per la gola l'umiliazione di non poter offrire loro assolutamente niente e provava a ritrovare una provvisoria dignità racimolando un'apparenza di lavoro che gli restituisse il ruolo di padre di famiglia almeno in prospettiva. Così, senza strumenti ed in mezzo al nulla, semplicemente allacciando contatti con chi continuava tranquillamente a vivere un po' più lontano dal cumulo delle macerie di edifici e di vite aquilani.
Questo signore, con gli stessi panni addosso da cinque giorni, con un solo ed unico file recuperato in modo rocambolesco a testimonianza di tutto il lavoro di una vita, mi stava chiamando da sotto una tenda/centralino per non mollare quel filo di speranza che lo teneva aggrappato ad una improbabilissima opportunità lavorativa, scusandosi pure per "il disturbo" che mi procurava. E mi stava dando una lezione di storia e di umanità.
Incredibile come ci si renda conto così che "gli altri" sono anche te. Pauroso il panico che ci assale quando ci accorgiamo finalmente che è tutto possibile e dannatamente concreto, che non avere di colpo più nemmeno l'appuntamento quotidiano con il gesto semplice e modesto di un paio di calzini puliti da infilare faccia una tale, enorme differenza...
Quella telefonata e le altre che poi ci siamo scambiati hanno rappresentato per me l'evidenza materiale della tragedia che nessuna immagine televisiva fino a quel momento mi aveva reso a pieno. Siamo abituati a veder miscelate scene di fiction e fatti reali come avessero lo stesso valore (immagino che qualche ragazzino abbia addirittura preso in quei giorni i servizi dei telegiornali come episodi di un film d'azione o di guerra!). Alla fine tutto perde di densità, di credibilità, come se niente fosse veramente degno di attenzione. Almeno per me era così. Causa di profonda vergogna...
Ma quelle telefonate sono state soprattutto testimonianza intensa di umanità. Una dignità fatta di forza, amore e volontà, la voce di una persona vera, di un piccolo eroe elegante. Ecco: ho imparato l'eleganza da un signore con un telefono in mano in mezzo al fango ed alla devastazione. Una lezione di vita che non potrò scordare.
Per questo non posso che ringraziare lui, cercare di evitare ogni retorica e passare il testimone ad Artemisia Comina e Lydia che riguardo al quel terremoto raccontano meglio di me la storia di Sorelle Nurzia e delle 99 COLOMBE che potremmo aiutare a spiccare di nuovo il volo...
Crema di tonno al mandarino
ingredienti per due o tre persone:
1 scatoletta di tonno sott'olio da 80 gr.
1 mandarino
2 cucchiai di yogurt bianco compatto (perfetto quello greco, il mio era altoatesino)
1 cucchiaio di succo di limone
5 gocce di salsa worchestershire
1 cucchiaio abbondante di pinoli
3 o 4 pacchetti di cracker salati
sale e pepe
Tostare i pinoli per qualche secondo in un padellino antiaderente fino a che cominciano a dorare e spegnere subito, lasciandoli raffreddare.
Scolare bene il tonno dall'olio di conservazione e frullarlo finemente con lo yogurt, in succo di mezzo mandarino e del limone e la salsa worchestershire.
Alla crema così ottenuta aggiungere i pinoli tostati (tranne qualcuno da tenere per la decorazione) ed uno o due cracker sbriciolati, frullandone uno per volta nel composto per verificare la densità della crema, che risulterà così leggermente granulosa, sottolineando le due consistenze.
Regolare di sale e pepe e servire decorato con gli spicchi del mezzo mandarino rimasto pelati al vivo e con qualche pinolo tostato, accompagnando la crema con gli altri cracker.
Io per prima, in quell'occasione come in altre analoghe, l'ho pensato come un fatto lontano, di quelli che capitano solo agli altri, e ho creduto di esserne "fortunatamente" estranea. Nonostante mi si fossero ripresentati alla memoria i volti commossi dei nonni quando raccontavano di un bombardamento durante la guerra e di un incendio una decina d'anni dopo che per due volte avevano completamente "buttato all'aria" la famiglia ed il lavoro, nonostante abbia provato sulla mia pelle qualche anno fa le conseguenze di una disastrosa alluvione, tenevo tutto quanto distante, cercando vigliaccamente di lasciare che le emozioni a riguardo si assopissero tra le pieghe della cronaca, che tutto annulla e parifica in un ovattato rumore di fondo.
Il 10 aprile di un anno fa uno squillo di telefono mi ha risvegliato dal torpore: un gentilissimo signore che svolge all'Aquila la mia stessa attività professionale mi chiedeva molto discretamente un favore tra colleghi, non potendo essere lui operativo nell'immediato. Solo attraverso conoscenze comuni sono venuta poi a sapere che era riuscito a salvare la famiglia per miracolo, casa ed attività entrambe in fumo. Con due coperte sulle spalle e le chiavi dell'auto casualmente in tasca, aveva potuto accompagnare moglie, figli e suocera nel monolocale al mare prestato da un amico, accogliendo con sè anche un collaboratore che nel terremoto aveva perso il figlio.
Non aveva in quei giorni di che sfamarli e vestirli, avendo trovato in quella casa di fortuna solo una scatola di cracker, due lattine di tonno, qualche costume da bagno e poco altro. Nessun portafogli in tasca, nessun documento d'identità per poter prelevare qualcosa in una diversa filiale della sua banca (anch'essa crollata), nessuna possibilità di frugare tra le macerie di casa o del luogo di lavoro.
Per la sopravvivenza quotidiana si appoggiava alla solidarietà di un vicino di monolocale, ogni giorno ringraziava per il dono della famiglia salva, ricacciava giù per la gola l'umiliazione di non poter offrire loro assolutamente niente e provava a ritrovare una provvisoria dignità racimolando un'apparenza di lavoro che gli restituisse il ruolo di padre di famiglia almeno in prospettiva. Così, senza strumenti ed in mezzo al nulla, semplicemente allacciando contatti con chi continuava tranquillamente a vivere un po' più lontano dal cumulo delle macerie di edifici e di vite aquilani.
Questo signore, con gli stessi panni addosso da cinque giorni, con un solo ed unico file recuperato in modo rocambolesco a testimonianza di tutto il lavoro di una vita, mi stava chiamando da sotto una tenda/centralino per non mollare quel filo di speranza che lo teneva aggrappato ad una improbabilissima opportunità lavorativa, scusandosi pure per "il disturbo" che mi procurava. E mi stava dando una lezione di storia e di umanità.
Incredibile come ci si renda conto così che "gli altri" sono anche te. Pauroso il panico che ci assale quando ci accorgiamo finalmente che è tutto possibile e dannatamente concreto, che non avere di colpo più nemmeno l'appuntamento quotidiano con il gesto semplice e modesto di un paio di calzini puliti da infilare faccia una tale, enorme differenza...
Quella telefonata e le altre che poi ci siamo scambiati hanno rappresentato per me l'evidenza materiale della tragedia che nessuna immagine televisiva fino a quel momento mi aveva reso a pieno. Siamo abituati a veder miscelate scene di fiction e fatti reali come avessero lo stesso valore (immagino che qualche ragazzino abbia addirittura preso in quei giorni i servizi dei telegiornali come episodi di un film d'azione o di guerra!). Alla fine tutto perde di densità, di credibilità, come se niente fosse veramente degno di attenzione. Almeno per me era così. Causa di profonda vergogna...
Ma quelle telefonate sono state soprattutto testimonianza intensa di umanità. Una dignità fatta di forza, amore e volontà, la voce di una persona vera, di un piccolo eroe elegante. Ecco: ho imparato l'eleganza da un signore con un telefono in mano in mezzo al fango ed alla devastazione. Una lezione di vita che non potrò scordare.
Per questo non posso che ringraziare lui, cercare di evitare ogni retorica e passare il testimone ad Artemisia Comina e Lydia che riguardo al quel terremoto raccontano meglio di me la storia di Sorelle Nurzia e delle 99 COLOMBE che potremmo aiutare a spiccare di nuovo il volo...
Aggiungo poi in sordina una piccola pietanza che parte da una scatoletta di tonno e da un pacchetto di cracker, semplicemente insieme ad un paio di ingredienti trovati in frigo (io che ho la fortuna, un frigo, di averlo avuto, in questo ultimo anno...)
Crema di tonno al mandarino
ingredienti per due o tre persone:
1 scatoletta di tonno sott'olio da 80 gr.
1 mandarino
2 cucchiai di yogurt bianco compatto (perfetto quello greco, il mio era altoatesino)
1 cucchiaio di succo di limone
5 gocce di salsa worchestershire
1 cucchiaio abbondante di pinoli
3 o 4 pacchetti di cracker salati
sale e pepe
Tostare i pinoli per qualche secondo in un padellino antiaderente fino a che cominciano a dorare e spegnere subito, lasciandoli raffreddare.
Scolare bene il tonno dall'olio di conservazione e frullarlo finemente con lo yogurt, in succo di mezzo mandarino e del limone e la salsa worchestershire.
Alla crema così ottenuta aggiungere i pinoli tostati (tranne qualcuno da tenere per la decorazione) ed uno o due cracker sbriciolati, frullandone uno per volta nel composto per verificare la densità della crema, che risulterà così leggermente granulosa, sottolineando le due consistenze.
Regolare di sale e pepe e servire decorato con gli spicchi del mezzo mandarino rimasto pelati al vivo e con qualche pinolo tostato, accompagnando la crema con gli altri cracker.
- rivoli affluenti:
- sul rumore di fondo che annulla il vero significato della comunicazione: Umberto Eco, Opera Aperta, Bompiani
Buonissima questa crema, hai visto con pochi ingredienti che favolose bontà vengono fuori??? baci
RispondiEliminaNiente commenti stavolta.
RispondiEliminaSolo un saluto affettuso ed un grazie :)
ogni giorno dal 28 febbraio ho aperto il blog alla ricerca dei tuoi "pennsieri", oggi finalmente l'ho trovato e ..... grazie anche da me ..
RispondiEliminaCiao, e' stato un piacere conoscerti di persona, a Roma. Vorrei spedirti una e-mail, mi mandi il tuo indirizzo?
RispondiEliminaCIAO DI NUOVO
ho vissuto una simile esperienza con un cliente dell'aquila. e il disagio che sento ogni volta al telefono per la mia condizione privilegiata non si stempera. troppi punti di sospensione...
RispondiEliminacara acquaviva, apprezzo la tua partecipazione.
RispondiElimina@luciana: sono davvero d'accordo con te...
RispondiElimina@gambetto: non abbiamo fatto in tempo a dircene un sacco, di cose importanti. A volte però le parole non servono nemmeno, come qui. Grazie a voi...
@paola: in effetti sono mancata per un po' dal blog e dal computer... La prossima volta che vado in trasfertaa mi organizzo meglio, però...
@corradoT: agli ordini capo!
@mogliedaunavita: esatto, ti senti a disagio e in colpa tutto insieme, davvero solo una gocciolina nel mare...
@artemisia: grazie a te per avermi coinvolto!
Grazie per aver condiviso questo momento . Come sempre le tue parole mi emozionano. chiara
RispondiElimina@chiara: è importante sapersi sentire vicini...
RispondiEliminaGrazie per quello che hai scritto, e per come lo hai scritto .
RispondiEliminaUn abbraccio ;-)
Ci sono una serie di cose che mi mi sono piaciute di questa iniziativa...intanto la diffusione a macchia d'olio che sta avendo nel web, poi la conferma di come ogni nostro gesto sia solo una goccia nel mare ma che tante gocce formano un oceano, poi il blog aperto per l'occasione dove ho letto che l'impresa sta ricevendo tantissimi ordini e sta assumendo persone per far fronte al nuovo carico di lavoro...
RispondiEliminaE c'è ancora chi pensa che avere un blog sia solo uno svago!...
@muscaria: l'importante è che almeno serva a qualcosina davvero.
RispondiElimina@virò: appunto...