Lungo la Via della Seta su cui si è incamminata la carovana dei Polo non c'è bisogno di una vivandiera al seguito super-puntuale, almeno nel tratto che attraversa l'Asia Minore, come ci sta raccontando in questi giorni Enrico, perchè circa ogni 40 chilometri (la distanza percorribile da un cammello in un giorno di cammino dall'alba al tramonto) si trovava un caravanserraglio.
Si trattava di una catena di "stazioni di posta" efficientissime in cui, tra le altre cose, per i viaggiatori era anche possibile rifocillarsi con ciò che il cuoco locale preparava nel suo tandir, il forno a legna. Dromedari e cammelli in Asia Minore sono ora estinti da secoli (quelli che si vedono sulle cartoline odierne sono stati reintrodotti nel corso dell'800 a puro scopo turistico), ma ai tempi di Marco Polo era indispesnabile sostituire i cavalli con cui arrivavano i viaggiatori con animali più adatti alle grandi distese desertiche che la Via della Seta attraversava.
Il nome caravanserraglio deriva dal persiano karwan, carovana, e serai, che significa locanda perchè, se in origine si trattava di semplici recinzioni per gli animali nei pressi di una fonte di acqua, ben presto oltre alla custodia del bestiame i caravanserragli si arricchirono di molti servizi, tra cui il cambio delle cavalcature, la protezione di persone ed animali dalle intemperie e dagli assalti dei predoni, la cura di malattie ed incidenti, lo stoccaggio delle mercanzie, il mantenimento della pista, la ferratura sellatura degli animali, il riposo ed il relax delle persone.
Il caravanserraglio era formato da un perimetro quadrangolare di possenti mura con poche e robuste porte d’accesso al cui interno erano addossati, intorno ad un ampio cortile centrale, i dormitori, i bagni, le scuderie, le stalle, i magazzini, le cucine, i refettori, tutti ombreggiati da alti porticati per smorzare la calura estiva e di sovente chiusi da spessi portali per proteggersi dal freddo notturno. C’erano fabbri, maniscalchi, sellai, ciabattini, messaggeri, magazzinieri, contabili, guide, medici, veterinari, imam, presidi di forze dell'ordine... e naturalmente cuochi e osti.
Alcuni caravanserragli avevano al centro del cortile il mescit, una piccola moschea con sala di preghiera, nei sotterranei a volte si trovava un hamam o anche dei forni per riscaldare i giacigli dei dormitori, ma tutti fornivano sempre degli spazi dedicati alla contrattazione. Su questi percorsi infatti si muovevano merci di molti tipi ma solo la seta e poche altre avevano un valore tale da poter effettuare l'intero tragitto dalla Cina al Mediterraneo dando profitto; per tutte le altre si trattava di tragitti decisamente più brevi, in una catena di scambi continui... e spesso animati!
Per l'impero cinese come per quello persiano, controllare lunghi tratti della Via della Seta significava non solo garantirsi un flusso prezioso di export-import, ma tenere a freno le pericolose popolazioni seminomadi. E sempre per l’importanza politica, oltre che economica, che aveva il commercio per il loro impero, i sultani Turchi Selgiuchidi musulmani che regnarono in Anatolia dal 1071 al 1299 fissarono la capitale a Konya e favorirono la costruzione ed il mantenimento della catena di cavanserragli lungo la Via della Seta.
Quando poi l'intero percorso fu in mano ai Mongoli Ottomani, fino al XIV secolo la pax mongolica garantì una supervisione unica di tutto il percorso, dal mar Nero alla Cina, che divenne tanto sicuro da consentire di viaggiare senza scorte. Ecco dunque che i caravanserragli si affollavano di genti differenti ed oltre a stoffe, profumi, spezie, oro, pelli, metalli e porcellane, ciò favoriva la circolazione ed il confronto di culture, conoscenze ed idee... e lo scambio di tradizioni culinarie!
L'antica cucina turca nomade, caratterizzata da piccole porzioni di cibo cotte intorno al fuoco degli accampamenti o in una buca sul terreno (l'antesignano del forno tandir), arrivata in Anatolia si mescolò con la cucina bizantina e araba e con gli ingredienti tipici dei Balcani. Nei caravanserragli dunque all'epoca di Marco Polo i cuochi proponevano prevalentemente carne alla brace di origine turca, zuppe di legumi di derivazione arabo-mediterranea, pasticci di carne di provenienza mediorientale, formaggi e stufati di ispirazione balcanica.
Traccia di tutti questi influssi è rimasta in uno dei piatti più conosciuti della tradizione gastonomica dell'area anatolica (l'attuale Turchia): il börek. E' una sfoglia di pasta sottilissima, la yufka, farcita con diversi ripieni e oggi prevalentemente proposta fritta in piccoli formati, come gli involtini cilindrici "a sigaro", i sigara böreği, oppure chiusi a triangolo, i muska böreği, cioè i börek "ad amuleto".
All'epoca di Marco Polo però la frittura non era una cottura diffusa nei caravanserragli sulla Via della Seta, dove si utilizzava invece prevalentemente il forno tandir o la cottura a a fuoco vivo e alla brace. Inoltre i cuochi non confezionavano piccole porzioni o bocconcini di lunga preparazione perchè gli appetiti da soddisfare erano accesi e relativamente spartani, mentre le ricette complesse erano riservate solo ai viaggiatori di grande prestigio ed altissimo rango. Dunque ho recuperato una delle versioni più tradizionali del börek, quello cotto (traduzione letterale) "nel vassoio" in un pezzo unico e tagliato poi in grosse porzioni, mentre il ripieno è basico, veloce e con ingredienti facilmente sottomano anche nei momenti di scarso passaggio delle carovane: latte di capra ed erbe autoctone.
Peynirli tepsi böreği - Börek in teglia al formaggio
ingredienti per:
400 gr. di yufka (o pasta fillo)
300 gr. di beyaz peynir (tipico formaggio turco di capra o pecora, eventualmente sostituibile con della feta)
140 gr. di burro [o olio di girasole o, nell'uso domestico attualmente più diffuso, (aaaagh!) margarina...]
300 ml. di latte di capra (o latte vaccino intero)
50 gr. di yogurt di capra (o yogurt greco)
3 uova
60 gr. di farina
1 mazzetto di prezzemolo
1 mazzetto di aneto
(1 mazzetto di menta, e/o erba cipollina, a voler esagerare...)
sale
pepe al mulinello
Sciogliere 30 gr. di burro in un tegame ed unirvi la farina facendola leggermente tostare per un paio di minuti.
Versarvi 180 ml. di latte caldo ed un pizzico di sale e cuocere a fuoco basso mescolando per una decina di minuti, fino ad ottenere una crema densa e profumata, spegnere e lasciar intiepidire.
Sciacquare il peynir in un po' di acqua o latte per eliminare la salinità superficiale (con la feta non serve), schiacciare il formaggio con una forchetta ed unirvi le uova e le erbe tritate (se si usa feta eventualmente anche un pizzico di sale). Quando è tutto ben amalgamato incorporare la crema di farina tiepida e pepare.
Sciogliere il resto del burro al microonde (o a bagnomaria), lasciar intiepidire, usarne un cucchiaio per ungere la teglia e miscelare il resto con una frusta al latte rimasto ed allo yogurt, anch'essi leggermente intiepiditi.
Stendere un foglio intero di yufka nella teglia lasciandola sbordare abbondantemente su tutti i lati in modo uniforme e distribuirvi con un pennello qualche cucchiaiata della miscela di yogurt, quindi sovrapporvi un altro foglio di yufka; spennellare di nuovo e ripetere l'operazione per un totale di 3 o 4 sfoglie. (Se si usa fillo a strisce strette, accostarne due ma invertire il verso di ogni strato, in modo che si sovrappongano in modo incrociato.)
Distribuire il composto di formaggio e erbe sull'ultimo strato, coprire con un'altra sfoglia "arricciandone" il perimetro in modo che si infili tra il tipieno e gli strati precendenti; spennellare di yogurt e ripetere l'operazione con altri 3 o 4 strati.
Ripiegare le sfoglie sporgenti sopra all'ultimo strato, versarvi la miscela di yogurt rimasta ed infornare a circa 160° ventilato o 180° statico per circa 50 minuti, fino a che la superficie è ben dorata.
Appena levato dal forno spruzzare leggermente la superficie del börek con qualche goccia di acqua fredda, coprire con un panno umido e lasciar riposare un paio di minuti (trucco domestico per evitare che tagliandolo la crosta non si frantumi in mille bricioline), quindi servire ben caldo. Per ottenere un effetto più dorato a volte si usa miscelare allo yogurt anche una delle uova.
Si trattava di una catena di "stazioni di posta" efficientissime in cui, tra le altre cose, per i viaggiatori era anche possibile rifocillarsi con ciò che il cuoco locale preparava nel suo tandir, il forno a legna. Dromedari e cammelli in Asia Minore sono ora estinti da secoli (quelli che si vedono sulle cartoline odierne sono stati reintrodotti nel corso dell'800 a puro scopo turistico), ma ai tempi di Marco Polo era indispesnabile sostituire i cavalli con cui arrivavano i viaggiatori con animali più adatti alle grandi distese desertiche che la Via della Seta attraversava.
Il nome caravanserraglio deriva dal persiano karwan, carovana, e serai, che significa locanda perchè, se in origine si trattava di semplici recinzioni per gli animali nei pressi di una fonte di acqua, ben presto oltre alla custodia del bestiame i caravanserragli si arricchirono di molti servizi, tra cui il cambio delle cavalcature, la protezione di persone ed animali dalle intemperie e dagli assalti dei predoni, la cura di malattie ed incidenti, lo stoccaggio delle mercanzie, il mantenimento della pista, la ferratura sellatura degli animali, il riposo ed il relax delle persone.
Il caravanserraglio era formato da un perimetro quadrangolare di possenti mura con poche e robuste porte d’accesso al cui interno erano addossati, intorno ad un ampio cortile centrale, i dormitori, i bagni, le scuderie, le stalle, i magazzini, le cucine, i refettori, tutti ombreggiati da alti porticati per smorzare la calura estiva e di sovente chiusi da spessi portali per proteggersi dal freddo notturno. C’erano fabbri, maniscalchi, sellai, ciabattini, messaggeri, magazzinieri, contabili, guide, medici, veterinari, imam, presidi di forze dell'ordine... e naturalmente cuochi e osti.
Alcuni caravanserragli avevano al centro del cortile il mescit, una piccola moschea con sala di preghiera, nei sotterranei a volte si trovava un hamam o anche dei forni per riscaldare i giacigli dei dormitori, ma tutti fornivano sempre degli spazi dedicati alla contrattazione. Su questi percorsi infatti si muovevano merci di molti tipi ma solo la seta e poche altre avevano un valore tale da poter effettuare l'intero tragitto dalla Cina al Mediterraneo dando profitto; per tutte le altre si trattava di tragitti decisamente più brevi, in una catena di scambi continui... e spesso animati!
Per l'impero cinese come per quello persiano, controllare lunghi tratti della Via della Seta significava non solo garantirsi un flusso prezioso di export-import, ma tenere a freno le pericolose popolazioni seminomadi. E sempre per l’importanza politica, oltre che economica, che aveva il commercio per il loro impero, i sultani Turchi Selgiuchidi musulmani che regnarono in Anatolia dal 1071 al 1299 fissarono la capitale a Konya e favorirono la costruzione ed il mantenimento della catena di cavanserragli lungo la Via della Seta.
Quando poi l'intero percorso fu in mano ai Mongoli Ottomani, fino al XIV secolo la pax mongolica garantì una supervisione unica di tutto il percorso, dal mar Nero alla Cina, che divenne tanto sicuro da consentire di viaggiare senza scorte. Ecco dunque che i caravanserragli si affollavano di genti differenti ed oltre a stoffe, profumi, spezie, oro, pelli, metalli e porcellane, ciò favoriva la circolazione ed il confronto di culture, conoscenze ed idee... e lo scambio di tradizioni culinarie!
L'antica cucina turca nomade, caratterizzata da piccole porzioni di cibo cotte intorno al fuoco degli accampamenti o in una buca sul terreno (l'antesignano del forno tandir), arrivata in Anatolia si mescolò con la cucina bizantina e araba e con gli ingredienti tipici dei Balcani. Nei caravanserragli dunque all'epoca di Marco Polo i cuochi proponevano prevalentemente carne alla brace di origine turca, zuppe di legumi di derivazione arabo-mediterranea, pasticci di carne di provenienza mediorientale, formaggi e stufati di ispirazione balcanica.
Traccia di tutti questi influssi è rimasta in uno dei piatti più conosciuti della tradizione gastonomica dell'area anatolica (l'attuale Turchia): il börek. E' una sfoglia di pasta sottilissima, la yufka, farcita con diversi ripieni e oggi prevalentemente proposta fritta in piccoli formati, come gli involtini cilindrici "a sigaro", i sigara böreği, oppure chiusi a triangolo, i muska böreği, cioè i börek "ad amuleto".
All'epoca di Marco Polo però la frittura non era una cottura diffusa nei caravanserragli sulla Via della Seta, dove si utilizzava invece prevalentemente il forno tandir o la cottura a a fuoco vivo e alla brace. Inoltre i cuochi non confezionavano piccole porzioni o bocconcini di lunga preparazione perchè gli appetiti da soddisfare erano accesi e relativamente spartani, mentre le ricette complesse erano riservate solo ai viaggiatori di grande prestigio ed altissimo rango. Dunque ho recuperato una delle versioni più tradizionali del börek, quello cotto (traduzione letterale) "nel vassoio" in un pezzo unico e tagliato poi in grosse porzioni, mentre il ripieno è basico, veloce e con ingredienti facilmente sottomano anche nei momenti di scarso passaggio delle carovane: latte di capra ed erbe autoctone.
Peynirli tepsi böreği - Börek in teglia al formaggio
ingredienti per:
400 gr. di yufka (o pasta fillo)
300 gr. di beyaz peynir (tipico formaggio turco di capra o pecora, eventualmente sostituibile con della feta)
140 gr. di burro [o olio di girasole o, nell'uso domestico attualmente più diffuso, (aaaagh!) margarina...]
300 ml. di latte di capra (o latte vaccino intero)
50 gr. di yogurt di capra (o yogurt greco)
3 uova
60 gr. di farina
1 mazzetto di prezzemolo
1 mazzetto di aneto
(1 mazzetto di menta, e/o erba cipollina, a voler esagerare...)
sale
pepe al mulinello
Sciogliere 30 gr. di burro in un tegame ed unirvi la farina facendola leggermente tostare per un paio di minuti.
Versarvi 180 ml. di latte caldo ed un pizzico di sale e cuocere a fuoco basso mescolando per una decina di minuti, fino ad ottenere una crema densa e profumata, spegnere e lasciar intiepidire.
Sciacquare il peynir in un po' di acqua o latte per eliminare la salinità superficiale (con la feta non serve), schiacciare il formaggio con una forchetta ed unirvi le uova e le erbe tritate (se si usa feta eventualmente anche un pizzico di sale). Quando è tutto ben amalgamato incorporare la crema di farina tiepida e pepare.
Sciogliere il resto del burro al microonde (o a bagnomaria), lasciar intiepidire, usarne un cucchiaio per ungere la teglia e miscelare il resto con una frusta al latte rimasto ed allo yogurt, anch'essi leggermente intiepiditi.
Stendere un foglio intero di yufka nella teglia lasciandola sbordare abbondantemente su tutti i lati in modo uniforme e distribuirvi con un pennello qualche cucchiaiata della miscela di yogurt, quindi sovrapporvi un altro foglio di yufka; spennellare di nuovo e ripetere l'operazione per un totale di 3 o 4 sfoglie. (Se si usa fillo a strisce strette, accostarne due ma invertire il verso di ogni strato, in modo che si sovrappongano in modo incrociato.)
Distribuire il composto di formaggio e erbe sull'ultimo strato, coprire con un'altra sfoglia "arricciandone" il perimetro in modo che si infili tra il tipieno e gli strati precendenti; spennellare di yogurt e ripetere l'operazione con altri 3 o 4 strati.
Ripiegare le sfoglie sporgenti sopra all'ultimo strato, versarvi la miscela di yogurt rimasta ed infornare a circa 160° ventilato o 180° statico per circa 50 minuti, fino a che la superficie è ben dorata.
Appena levato dal forno spruzzare leggermente la superficie del börek con qualche goccia di acqua fredda, coprire con un panno umido e lasciar riposare un paio di minuti (trucco domestico per evitare che tagliandolo la crosta non si frantumi in mille bricioline), quindi servire ben caldo. Per ottenere un effetto più dorato a volte si usa miscelare allo yogurt anche una delle uova.
- rivoli affluenti:
- la ricetta è un misto semplificato di fonti varie (dice Claudia Roden che esistono tante ricette di börekquanti sono i cuochi che li preparano!). Tra le altre:
- Inci Kut, La Cucina Turca, Net Turistik Yayinlar
- AA VV, Turkish Cuisine, Minyatur Yayinlari
- Raffi Demiryan, Cucina turca, Yazgan Turizm Ticaret Ltd
- mi scuso con i siti da cui ho tratto alcune notizie storiche e che maldestramente ho dimenticato di annotare... ed ora non so più rintracciare!
mmmm... mi ricorda qualcosa.... fammi pensare, fammi pensare....!!! ahahahaahahahaha
RispondiEliminabacio
@babs: sì, ma come vedi qui ho messo la versione tradizionale Trecentesca, i börek di cui parlavo con te sono quelli contemporanei, di formaggio semplice, con il ripieno più aromatizzato e ... senza tutte quelle capre che si infilano dappertutto!
RispondiEliminaIncredibile, sentire il tuo racconto al caravanserraglio , mi riporta proprio a 30 anni fa quando mi aggiravo per quello di Sultanhani, così ben conservato da dare l'impressione che le carovane siano appena partite! e il borek , mmmmm...
RispondiEliminaE' un piacere leggerti, ogni volta :-)
RispondiEliminaConcordo sull'aaaargh!! anche perche' mio cognato pasticcere di successo (ora in pensione) mi diceva che in molte pasticcerie al posto del burro (costoso) usano margarina autoprodotta. Come? Sbattendo a macchina acqua e grassi non meglio identificati, piu' un poco di addensante e aromi vari. Lui usava solo burro, per questo aveva successo. Mi diceva anche che quella margarina dai dilettanti come noi viene facilmente scambiata, incorporata com'e' nei dolci, per burro vero. Diceva anche che per stabilire se e' margarina basta lasciarne un pezzetto a temperatura ambiente; se e' margarina il liquido che si produce e' chiaramente acquoso, cosa che non accade col burro.
CIAO
Gran bella ricetta. Finale con il botto direi ehehehe
RispondiEliminaSul post, non posso far altro che cercare di annotare mentalmente tutta la storia. Il piatto è inuntile sottolinearlo mi stuzzica parecchio. Brava con le parole ed anche in cucina...ma questo mi sa che lo sai già;)
Bella la storia degli antenati degli autogrill!
RispondiEliminaLa pasta fillo l'hai utilizzata tu in sostituzione della yufka (che immagino non sia proprio facilmente reperibile sotto casa) o sono la stessa cosa? No, perchè dopo l'esperienza della baklava questi gusci mi ispirano assai...
@enrico: trent'anni o settecento... che differenza vuoi che faccia? Quando ti trovi di fronte alla storia non puoi che trattenere il fiato, accarezzare una di quelle pietre ed ascoltare il loro racconto...
RispondiElimina@corradoT: credo che negli intenti delle massaie turche contemporanee la margarina abbia la stesa credibilità che aveva da noi negli anni '60.
Io che da bambina l'ho subita persino spalmata sul pane a merenda (vabbè, quella svizzera, che non so perchè a mia madre sembrava più accettabile...) ora preferisco suicidarmi con il burro o piuttosto rinunciare del tutto rispetto a ripetere quell'esperienza "vegetale"...
@gambetto: tra l'altro dalle parti tue secondo me puoi anche reperire latte e affini vari di bufala, che come esperimento qui dentro non mi sembrerebbe male.
(E guarda che ti ho visto allungare la mano verso lo strutto: questa volta guai a te!)
@virò: qui ho usato yufka vera (che avevo preso in un negozietto turco in Austria, di cui ho prontamente ricommissionato il saccheggio ad un emissario che deve passare a breve da quelle parti!) e latte + yogurt di capra, mentre il formaggio era semplice feta.
L'origine delle due sfoglie è identica, solo che la yufka è leggermente più spessa della pasta phyllo (dunque si potrebbe tentare anche di farla in casa. Se la spedizione dell'inviato in Austria fallisse magari ci provo pure...)
Ahahahahahhahaha :DDDD
RispondiEliminaEd anche oggi grazie a te ho imparato un sacco di cose nuove, dal fatto che ai tempi di Marco Polo non c'erano dromedari fino all'origine del nome carvanserraglio e dalla tua descrizione chiudo gli occhi e ne immagino l'atmosfera!:)
RispondiEliminasei sempre unica!:)
@terry: forse mi sono espressa male, intenedevo dire che i cammelli da Marco Polo erano usati, poi in Anatolia si sono estinti e dopo qualche secolo li hanno reintrodotti. Comunque, gobbe sì o gobbe no, dentro quei caravanserragli doveva esserci un vero bailamme!
RispondiElimina