Di solito uno chef comunica attraverso la propria cucina. Ad Identità Golose invece ho assistito ad uno spettacolo. No, non per il fatto che gli chef parlassero da sopra un palco invece che dentro una cucina, ma perché hanno scelto di comunicare con mezzi diversi dal mestolo. Identità Golose è stata per me una meravigliosa lezione sulla comunicazione della cucina.
Ognuno ha scelto lo strumento che più si sentiva addosso, ognuno ha rivelato qualcosa di sé che andava al di là della semplice trasmissione di un sapere, di una ricetta, di un messaggio. Cito brevemente, nell'ordine in cui mi sono arrivate, le emozioni regalatemi dagli acclamatissimi chef di cui altri blog parlano senz'altro meglio di me:
1- il video degli Alaimo sul chiacchiericcio inutile che perde di vista la fatica vera della cucina mi ha parlato del loro genio; la grande mano dello chef stellato che cerca quella piccola della sua bambina mi ha spiegato il suo lato "normalmente" umano; l'impronta digitale sulla maglietta regalata agli astanti ha lasciato il segno della perfezione della loro visione commerciale.
2- la cucina di strada di Ciccio Sultano che mangia in dialetto, in piedi, con i succhi che colano sulle mani, sa di lui che si sente strada e terra. Eppure ciò che cucina non è affatto popolaresco, riesce invece attraverso una insospettabile complessità di preparazione a trasmettere "semplicemente" il profumo di una passeggiata nel mercato di Catania. E ritiene la sua interpretazione fin troppo cotonata rispetto al sapere dei maestri popolari dello street food, ed ipotizza di mettersi pure lui a vendere cartocci per strada. Una delle tante verità della cucina.
3 - Gennaro Esposito presenta tre piatti impeccabili dal suo orto e nel suo umanissimo entusiasmo rompe i tempi e le regole del palco cucinando con flemma partenopea, ficcando assaggi in bocca al presentatore ed invitando il pubblico sul palco, con un brillìo negli occhi, a condividere le sue creazioni, più emozionato da un piatto riuscito bene che da un'onorificenza ufficiale.
4 - Corrado Assenza esplora le ibridazioni tra dolce e salato, discetta coltamente di nuovi equilibri che emergono dall'ascolto della materia, riesce a dissociare il concetto di qualità da quello di chilometro zero a tutti i costi. Poi, nel mezzo di meravigliose spiegazioni tecniche sulla composizione dei dolci presentati, si lascia sorprendere a scrutare le reazioni del pubblico agli assaggi. Perché in realtà li considera non spettatori ma commensali ed il successo di tutto il suo lavoro è semplicemente la condivisione. Ed il dolcissimo succo di tutto è una frase lasciata cadere così, in mezzo a mille altre: "ha più valore ciò che transita per le menti ed i cuori di ciò che resta sul palato".
Ho visto persone girarsi nei corridoi al passare degli chef famosi, folle aprirsi, fan chiedere il permesso di farsi fotografare con loro. Forse perché quest'anno il congresso era aperto anche ai blogger, che sono per la maggior parte degli appassionati più che dei professionisti addetti ai lavori.
Credo che sull'ammirazione debba prevalere il rispetto. Poi, giustamente, ognuno lo esprime a proprio modo; il mio, come al solito, è abbassare gli occhi e tacere, perché spesso gli chef oggi sono considerati dei divi e come tali trattati, nel bene e nel male. Il che anche per loro non è sempre comodo, come dimostrano le defezioni eccellenti di alcuni cuochi che, nonostante una pari sapienza, hanno rinunciato ad intervenire non per polemiche dietro alle quinte ma per semplice disagio da sovraesposizione ed eccesso di pressione.
Perché quando si parla di chef stellati si tratta in realtà, a parte qualche rara eccezione, di persone vere, appassionate del proprio lavoro e profondamente immerse nella professione. Elementi comuni a tutti? La ricerca sul pensiero, sulla tecnica di trasformazione, sui segreti della materia. Il loro quotidiano è quasi quello di antichi e sapienti alchimisti; chi non ha la consapevolezza di quello che cerca e di come ci arriva potrà essere definito "creativo" ma è solo un bruciapadelle.
Ho trovato queste caratteristiche comuni anche negli chef più giovani, in quelli meno famosi ed in quelli semplicemente a noi sconosciuti in quanto stranieri. E li avei volentieri ascoltati tutti perché da ognuno potevo imparare idee ed atteggiamenti nei confronti del cucinare, prima ancora che ricette. Il mio approfondimento però in questa occasione si è rivolto, guarda caso, al lato giapponese di Identità Golose ed ai valori di eleganza e raffinatezza di pensiero che questa tradizione gastronomica sa esprimere anche quando è declinata in versione contemporanea ed in commistione con altre culture.
Due chef ospiti ed una piccola realtà locale portabandiera di un mondo intero, a creare un piccolo spicchio giapponese di Identità Golose, un'identità della differenza nella riflessione di quest'anno sul rapporto tra innovazione e tradizione.
Tatsuya Iwasaki, da dieci anni in Italia dapprima come chef e poi come pasticcere, è da tre anni al ristorante Agli Amici appena fuori Udine. Il suo stile nella preparazione di dolci "occidentali" è permeato dalla visione giapponese di una tavola composta da tanti piccoli piatti serviti contemporaneamente, ognuno con la propria estetica ed il proprio gusto. In questo senso i rapporti di armonia e sovrapposizione dei sapori sono definiti non dal cuoco ma dal commensale, che nello scegliere la sequenza e gli abbinamenti dei vari assaggi determina in modo molto personale la propria esperienza gustativa.
Tatsuya Iwasaki propone dunque dei dessert "scomposti", in cui evita sapori troppo ricchi o concentrati, che possono sembrare piacevoli al primo boccone ma che rischiano di appesantire il palato con il proseguire della degustazione. Il dessert da ristorante secondo lui deve essere più leggero di quello da pasticceria perché va servito a fine pasto ed in armonia con i sapori del menù che l'ha preceduto. Ha il vantaggio di non dover resistere una giornata in vetrina ma può essere preparato o rifinito all'ultimo, quindi può contare anche sulla freschezza di consistenze fragili, inusuali e momentanee.
Un esempio di tutto ciò è il suo dolce intitolato "Oltre lo Strudel", in cui gli ingredienti tradizionali vengono ripresentati in modo molto fresco e leggero: le mele diventano una morbida zuppetta decorata con pinoli tostati e cannella, l'uvetta ammorbidita nella grappa si accompagna ad un sorbetto della stessa grappa, un quadratino di sfoglia ripiegata e dei biscotti sbriciolati ricostruiscono la sensazione croccante ed alla fine una cucchiaiata di questo dolce al palato ricrea esattamente il sapore, la consistenza, la sensazione di un vero strudel.
Lo chef Yoshohiro Narisawa ha invece scelto il percorso contrario: dopo alcuni anni presso ristoranti di altissimo livello in Francia ed Italia, tra cui un'esperienza di un anno dal grande chef Ezio Santin, è tornato in Giappone ed ha aperto un suo ristorante a Tokyo, Le Créations de Narisawa.
Si dice che un cuoco in Occidente venga apprezzato se ha molta inventiva, in Giappone se sa riprodurre alla perfezione la tradizione dei piatti di suo padre e di suo nonno. Narisawa, in una nuova concezione del legame rispettoso tra cucina, tradizione e natura, ha provocatoriamente ed insieme semplicemente presentato piatti legati in modo davvero concreto agli elementi naturali, come un pane contenente polvere di castagno, una zuppa di terra, un trancio di carne al carbone (di porri).
Lo chef ha anche reinventato il concetto di "sapore tradizionale" spiegando come attraverso una profondissima conoscenza della tecnica (una cottura a vapore a temperatura controllata che sostituisce la bollitura della carne) si possa ottenere un brodo saporito e trasparente in un unico passaggio.
Questo meraviglioso brodo di carne, che lui definisce "essenza di lusso" e ci presenta in un bicchiere come un vino pregiato, viene poi utilizzato insieme ad un fiore di foglie di radicchio rosso di Gorizia profumato ai petali di rosa per formare una delicatissima zuppa, chiamata "Preghiera" in omaggio ai caduti di Caporetto e del Collio (chiedo venia per le pessime foto), che si colora di rosa quando il brodo tocca il fiore e scioglie il purè di barbabietole nascosto tra i petali.
La cucina giapponese non ha emozionato gli spettatori di Identità Golose solo con le performance di questi due eccezionali chef. Un'occasione di riconoscimento per la cucina giapponese di alto livello è stato anche il conferimento del premio di qualità al ristorante Osaka di Milano in quanto rappresentante in terra italiana di un'eccellenza gastronomica straniera fondata su quegli stessi principi di perfetto equilibrio tra tradizione ed innovazione che erano il tema dell'evento, nel totale rispetto della freschezza della materia. Identità della diversità, appunto.
Anche uno chef turco mi ha coinvolto parecchio, ed uno spagnolo ed un altro trentino ed avrei anche mille altre cose da dire... ma ad un certo punto bisogna sapersi porre dei limiti. Tra l'altro non ho assaggiato quasi nulla, presa com'ero ad assorbire tutto quello che non era sapore. Ma che abbuffata...
Ognuno ha scelto lo strumento che più si sentiva addosso, ognuno ha rivelato qualcosa di sé che andava al di là della semplice trasmissione di un sapere, di una ricetta, di un messaggio. Cito brevemente, nell'ordine in cui mi sono arrivate, le emozioni regalatemi dagli acclamatissimi chef di cui altri blog parlano senz'altro meglio di me:
1- il video degli Alaimo sul chiacchiericcio inutile che perde di vista la fatica vera della cucina mi ha parlato del loro genio; la grande mano dello chef stellato che cerca quella piccola della sua bambina mi ha spiegato il suo lato "normalmente" umano; l'impronta digitale sulla maglietta regalata agli astanti ha lasciato il segno della perfezione della loro visione commerciale.
2- la cucina di strada di Ciccio Sultano che mangia in dialetto, in piedi, con i succhi che colano sulle mani, sa di lui che si sente strada e terra. Eppure ciò che cucina non è affatto popolaresco, riesce invece attraverso una insospettabile complessità di preparazione a trasmettere "semplicemente" il profumo di una passeggiata nel mercato di Catania. E ritiene la sua interpretazione fin troppo cotonata rispetto al sapere dei maestri popolari dello street food, ed ipotizza di mettersi pure lui a vendere cartocci per strada. Una delle tante verità della cucina.
3 - Gennaro Esposito presenta tre piatti impeccabili dal suo orto e nel suo umanissimo entusiasmo rompe i tempi e le regole del palco cucinando con flemma partenopea, ficcando assaggi in bocca al presentatore ed invitando il pubblico sul palco, con un brillìo negli occhi, a condividere le sue creazioni, più emozionato da un piatto riuscito bene che da un'onorificenza ufficiale.
4 - Corrado Assenza esplora le ibridazioni tra dolce e salato, discetta coltamente di nuovi equilibri che emergono dall'ascolto della materia, riesce a dissociare il concetto di qualità da quello di chilometro zero a tutti i costi. Poi, nel mezzo di meravigliose spiegazioni tecniche sulla composizione dei dolci presentati, si lascia sorprendere a scrutare le reazioni del pubblico agli assaggi. Perché in realtà li considera non spettatori ma commensali ed il successo di tutto il suo lavoro è semplicemente la condivisione. Ed il dolcissimo succo di tutto è una frase lasciata cadere così, in mezzo a mille altre: "ha più valore ciò che transita per le menti ed i cuori di ciò che resta sul palato".
(dialogo tra colline italiane, la cheesecake al miele di Assenza)
Ho visto persone girarsi nei corridoi al passare degli chef famosi, folle aprirsi, fan chiedere il permesso di farsi fotografare con loro. Forse perché quest'anno il congresso era aperto anche ai blogger, che sono per la maggior parte degli appassionati più che dei professionisti addetti ai lavori.
Credo che sull'ammirazione debba prevalere il rispetto. Poi, giustamente, ognuno lo esprime a proprio modo; il mio, come al solito, è abbassare gli occhi e tacere, perché spesso gli chef oggi sono considerati dei divi e come tali trattati, nel bene e nel male. Il che anche per loro non è sempre comodo, come dimostrano le defezioni eccellenti di alcuni cuochi che, nonostante una pari sapienza, hanno rinunciato ad intervenire non per polemiche dietro alle quinte ma per semplice disagio da sovraesposizione ed eccesso di pressione.
Perché quando si parla di chef stellati si tratta in realtà, a parte qualche rara eccezione, di persone vere, appassionate del proprio lavoro e profondamente immerse nella professione. Elementi comuni a tutti? La ricerca sul pensiero, sulla tecnica di trasformazione, sui segreti della materia. Il loro quotidiano è quasi quello di antichi e sapienti alchimisti; chi non ha la consapevolezza di quello che cerca e di come ci arriva potrà essere definito "creativo" ma è solo un bruciapadelle.
Ho trovato queste caratteristiche comuni anche negli chef più giovani, in quelli meno famosi ed in quelli semplicemente a noi sconosciuti in quanto stranieri. E li avei volentieri ascoltati tutti perché da ognuno potevo imparare idee ed atteggiamenti nei confronti del cucinare, prima ancora che ricette. Il mio approfondimento però in questa occasione si è rivolto, guarda caso, al lato giapponese di Identità Golose ed ai valori di eleganza e raffinatezza di pensiero che questa tradizione gastronomica sa esprimere anche quando è declinata in versione contemporanea ed in commistione con altre culture.
Due chef ospiti ed una piccola realtà locale portabandiera di un mondo intero, a creare un piccolo spicchio giapponese di Identità Golose, un'identità della differenza nella riflessione di quest'anno sul rapporto tra innovazione e tradizione.
Tatsuya Iwasaki, da dieci anni in Italia dapprima come chef e poi come pasticcere, è da tre anni al ristorante Agli Amici appena fuori Udine. Il suo stile nella preparazione di dolci "occidentali" è permeato dalla visione giapponese di una tavola composta da tanti piccoli piatti serviti contemporaneamente, ognuno con la propria estetica ed il proprio gusto. In questo senso i rapporti di armonia e sovrapposizione dei sapori sono definiti non dal cuoco ma dal commensale, che nello scegliere la sequenza e gli abbinamenti dei vari assaggi determina in modo molto personale la propria esperienza gustativa.
Tatsuya Iwasaki propone dunque dei dessert "scomposti", in cui evita sapori troppo ricchi o concentrati, che possono sembrare piacevoli al primo boccone ma che rischiano di appesantire il palato con il proseguire della degustazione. Il dessert da ristorante secondo lui deve essere più leggero di quello da pasticceria perché va servito a fine pasto ed in armonia con i sapori del menù che l'ha preceduto. Ha il vantaggio di non dover resistere una giornata in vetrina ma può essere preparato o rifinito all'ultimo, quindi può contare anche sulla freschezza di consistenze fragili, inusuali e momentanee.
Un esempio di tutto ciò è il suo dolce intitolato "Oltre lo Strudel", in cui gli ingredienti tradizionali vengono ripresentati in modo molto fresco e leggero: le mele diventano una morbida zuppetta decorata con pinoli tostati e cannella, l'uvetta ammorbidita nella grappa si accompagna ad un sorbetto della stessa grappa, un quadratino di sfoglia ripiegata e dei biscotti sbriciolati ricostruiscono la sensazione croccante ed alla fine una cucchiaiata di questo dolce al palato ricrea esattamente il sapore, la consistenza, la sensazione di un vero strudel.
Lo chef Yoshohiro Narisawa ha invece scelto il percorso contrario: dopo alcuni anni presso ristoranti di altissimo livello in Francia ed Italia, tra cui un'esperienza di un anno dal grande chef Ezio Santin, è tornato in Giappone ed ha aperto un suo ristorante a Tokyo, Le Créations de Narisawa.
Si dice che un cuoco in Occidente venga apprezzato se ha molta inventiva, in Giappone se sa riprodurre alla perfezione la tradizione dei piatti di suo padre e di suo nonno. Narisawa, in una nuova concezione del legame rispettoso tra cucina, tradizione e natura, ha provocatoriamente ed insieme semplicemente presentato piatti legati in modo davvero concreto agli elementi naturali, come un pane contenente polvere di castagno, una zuppa di terra, un trancio di carne al carbone (di porri).
Questo meraviglioso brodo di carne, che lui definisce "essenza di lusso" e ci presenta in un bicchiere come un vino pregiato, viene poi utilizzato insieme ad un fiore di foglie di radicchio rosso di Gorizia profumato ai petali di rosa per formare una delicatissima zuppa, chiamata "Preghiera" in omaggio ai caduti di Caporetto e del Collio (chiedo venia per le pessime foto), che si colora di rosa quando il brodo tocca il fiore e scioglie il purè di barbabietole nascosto tra i petali.
Anche uno chef turco mi ha coinvolto parecchio, ed uno spagnolo ed un altro trentino ed avrei anche mille altre cose da dire... ma ad un certo punto bisogna sapersi porre dei limiti. Tra l'altro non ho assaggiato quasi nulla, presa com'ero ad assorbire tutto quello che non era sapore. Ma che abbuffata...
- rivoli affluenti:
- tutti i dettagli che ho omesso io sono qui, sul sito ufficiale.
E'un piacere leggere con gli occhi tuoi la manifestazione :)
RispondiEliminaMi piace la sensibilità con la quale cogli gli aspetti minimali (e molte volte i più importanti quindi) di ciò che ti ha circondato.
Un bello scorcio dal diario di viaggio I.G. :))
Magnifico post, l'unico che abbia un senso tra tutte le banalità pubblicate fino ad ora!!!!!
RispondiEliminaGrazie.......
.......ehm....lo studel mi ha lasciato a dir poco interdetta ma lo assaggerei!!!!
@gambetto: gli aspetti umani minimali sono quelli che fanno grandi le persone, in questo caso anche nella loro professione.
RispondiElimina@pamirilla: l'aspetto esaltante di quello strudel in zuppetta era propro che ad occhi chiusi mettevi il cucchiaio in bocca e ti sembrava una cucchiaiata di strudel vero!
Tra l'altro neanche tanto difficile da replicare, il che non guasta per una come me che non è una fan delle torte classiche.
Bellissimo post, dove con la delicatezza e la competenza consuete hai tratteggiato l'essenza degli interventi a cui hai partecipato.
RispondiEliminaMi dispiace ancora di più di non essere potuta venire! :-(
Abbiamo visto le stesse cose, ma tu sai descriverle molto meglio :)
RispondiEliminaA me hanno emozionato Esposito e Narisawa, quest'ultimo per la preparazione dedicata all'acqua.
Quanta passione, quanta eleganza...
chapeau!iomilaneselaura
RispondiEliminaChapeau indeed!Un post che ispira e che scosta le tendine su un argomento su cui si potrebbe scrivere un libro.Il liguaggio "al di fuori del mestolo" e' il linguaggio piu' importante in una cucina professionale e difatti ci sono tanti cuochi di enorme talento,il cui mondo si sgretola dentro la cucina di un ristorante,proprio perche' mancano di quel linguaggio.Ovviamente posso solo parlare della realta' britannica,ma non posso che notare che i ristoranti di grande successo a Londra hanno un fortissimo senso d'identita',oltre che dell'ottimo cibo.Rispetto e kudos per tutti,ma la visione di Ciccio Sultano e',per me,paradisiaca.
RispondiEliminaP.S. Questo post me lo stampo e lo appendo in salotto.
Be afraid,be very afraid.... :)
@mapi: e non ho elencato tutto quello che era interessante proprio per non farti soffrire di più...
RispondiElimina@corradoT: il mondo giapponese in cucina è elegante anche nel portare in tavola del semplice riso bianco. Almeno... a me sembra così!
@io.milanese.laura: è tutta farina dei loro sacchi, il mio è puro dovere di cronaca.
@edith.pilaff: "kudos"... quanto mi piacciono i tuoi inglesismi!!!
PS: I'm totally scared...