Piccola pausa di riflessione dopo essere stata investita dall'MTC come da un treno in corsa, essere incredibilmente rimasta in piedi, aver tentato di riprendermi mentalmente ed aver contribuito, nel mio piccolo e a mio modo, alla "continuità della specie"...
Passata l'esperienza della laboriosa scelta della ricetta del mese e della concordata promulgazione dei relativi vincoli, ora sono sospesa in un provvisorio limbo in attesa che arrivi il 13 giugno e si scateni la parte più prorompente della valanga, quella in cui accoglieremo le proposte degli MTC addicted. E mi chiedo in base a quale criterio ci si possa ritrovare a fare da "giudice" quando si è principiante tra principianti, amatore tra amatori.
Prima di tutto mi domando cosa sia un giudice. In senso strettamente letterale dovrebbe essere colui che conosce le regole, dato che il termine deriva dal latino iudex, composto da ius, diritto/legge, e dicere, dire/pronunciare. E fin qui ci siamo, visto che in qualche modo questo è un esercizio di variazioni intorno alle regole del kaki-age, regole che ho di fatto raccolto io.
La questione diventa invece più complessa quando si parla di "giudicare", parola che a sua volta deriva da giudice e che significa sì "applicare la legge" ma anche, con un significato più esteso, "stimare".
In questo secondo senso ciascuno di noi è assolutamente abituato a giudicare ed essere giudicato in ogni gesto e pensiero quotidiano, fa parte del sistema di relazione tra l'individuo adulto e cosciente ed il mondo che lo circonda. Non solo: giudicare è di fatto un continuo processo di apprendimento. Cosa mi perplede dunque nell'assumere pro tempore l'incarico di "terzo giudice"?!
Lo so: non il valutare le singole ricette, quanto il dare loro un ordine di preferenza, perché implica un aspetto soggettivo totalmente umano, teoricamente lontano dalla semplice verifica dell'applicazione corretta delle regole.
Non so quanto nel mondo reale, a confronto con temi decisamente più seri di questo, dove spesso si decide della vita delle persone, possa realmente esistere un giudice imparziale. Io temo non lo sarei. Ne chiacchiero allora con un'amica che ha anni di onoratissima carriera nel settore (non delle pastelle giapponesi, intendo...)
Lei mi dice che, appurato il rispetto della norma, quel che mi si chiede in questo caso è un giudizio sul modo in cui sono applicate le regole. Mi fa l'esempio di un insegnante che mette un buon voto all'alunno che ha imparato a memoria la poesia senza errori, ed un voto migliore a quello che ha colto anche il senso di ciò che ha studiato ed è riuscito a "fare propria" la stessa poesia.
Io però non sono affatto una maestra, obietto (e qui mi riferisco proprio alle pastelle giapponesi!). Mi risponde che, per quanto io le ritenga limitate, devo comunque basarmi sulle mie conoscenze perché, volente o nolente, tra gli arbitri designati questa volta sono anch'io.
Il che non significa ascoltare le mie preferenze personali (tipo golosità verso certi ingredienti), ma ad esempio tenere in considerazione le difficoltà oggettive della prova, anche se non normate. Tipo cogliere l'essenza di una cucina complessa e scarsamente conosciuta, abbastanza diversa dalla tradizione italiana proprio nella sua filosofia di base (se non negli ingredienti, dato che in questo caso ho scelto materie prime decisamente reperibili. Ok, tranne quelle della salsa... che però non è obbligatorio riprodurre in versione giapponese...).
Fino a che parlo con lei mi sembra di aver capito, poi invece più ci rimugino sopra più mi sento inadeguata. Forse solo perché sono sopesa nel limbo, le ricette non hanno ancora cominciato ad arrivare ed il vortice degli eventi non mi ha ancora costretto a tuffarmi nel lavoro e a lasciar perdere i dubbi...
Richiamo la mia amica professionista del giudicare e le spiego le perplessità. Lei sostiene essere un buon segno, dice che dovrei una volta far parte di una giuria popolare, che sarei un giurato saggio. Appendo quasi subito, terrorizzata dalla prospettiva di finirci sul serio! No no, meglio star qui a cincischiare con le pastelle giapponesi! Chissà perché, comunque, dopo questa scossa mi sento molto più sollevata.
Ragionando mi sono incartata? Pazienza, all'atto pratico so che resterò serena, dovendomi confrontare, per fortuna mia, solo con delle simpatiche ed inoffensive ricette di cucina. Croccantezza, sapidità, profumi, abbinamenti... tutto qui, lontana da parole e scelte che incidono sulla vita vera, immersa solo in gusti e piaceri. E' assolutamente un privilegio. E a questo punto meglio smettere definitivamente di pensare e dedicarsi alla cucina pratica.
Ricetta semplicissima, ho capito che è sbagliato complicarsi troppo la vita! Una ricetta fresca e spontanea, dove la feta è salata ed asprognola, le fave dolci e morbide, il pane croccante, il pepe profumato. Chiaro, facile, "giusto". Quanto mi piace il linguaggio della cucina!
Fave saltate con feta e crostini
ingredienti per4 persone:
1 kg. di fave fresche nei baccelli
250 gr. di feta
1 spicchio di aglio
4 piccole fette di pane casereccio spesse 1 cm.
1 cucchiaio di olio extravergine saporito
pepe al mulinello
sale
Sgranare le fave e scottarle 5 minuti in acqua bollente leggermente salata, poi scolarle e raffreddarle sotto l'acqua corrente fredda, in modo che rimangano belle verdi, e privarle della pellicina esterna. Se ne ricavano circa 400 gr.
Tagliare sia il pane che la feta a dadini; sbucciare e schiacciare leggermente l'aglio.
Scaldare l'olio con l'aglio, buttarvi i dadini di pane e lasciarli dorare leggermente.
Unire le fave e la feta e saltare tutto a fuoco vivace per un paio di minuti, fino a che è tutto ben insaporito e la feta si è parzialmente sciolta.
Levare l'aglio e servire in ciotoline individuali con una abbondante spolverata di pepe.
Passata l'esperienza della laboriosa scelta della ricetta del mese e della concordata promulgazione dei relativi vincoli, ora sono sospesa in un provvisorio limbo in attesa che arrivi il 13 giugno e si scateni la parte più prorompente della valanga, quella in cui accoglieremo le proposte degli MTC addicted. E mi chiedo in base a quale criterio ci si possa ritrovare a fare da "giudice" quando si è principiante tra principianti, amatore tra amatori.
Prima di tutto mi domando cosa sia un giudice. In senso strettamente letterale dovrebbe essere colui che conosce le regole, dato che il termine deriva dal latino iudex, composto da ius, diritto/legge, e dicere, dire/pronunciare. E fin qui ci siamo, visto che in qualche modo questo è un esercizio di variazioni intorno alle regole del kaki-age, regole che ho di fatto raccolto io.
La questione diventa invece più complessa quando si parla di "giudicare", parola che a sua volta deriva da giudice e che significa sì "applicare la legge" ma anche, con un significato più esteso, "stimare".
In questo secondo senso ciascuno di noi è assolutamente abituato a giudicare ed essere giudicato in ogni gesto e pensiero quotidiano, fa parte del sistema di relazione tra l'individuo adulto e cosciente ed il mondo che lo circonda. Non solo: giudicare è di fatto un continuo processo di apprendimento. Cosa mi perplede dunque nell'assumere pro tempore l'incarico di "terzo giudice"?!
Lo so: non il valutare le singole ricette, quanto il dare loro un ordine di preferenza, perché implica un aspetto soggettivo totalmente umano, teoricamente lontano dalla semplice verifica dell'applicazione corretta delle regole.
Non so quanto nel mondo reale, a confronto con temi decisamente più seri di questo, dove spesso si decide della vita delle persone, possa realmente esistere un giudice imparziale. Io temo non lo sarei. Ne chiacchiero allora con un'amica che ha anni di onoratissima carriera nel settore (non delle pastelle giapponesi, intendo...)
Lei mi dice che, appurato il rispetto della norma, quel che mi si chiede in questo caso è un giudizio sul modo in cui sono applicate le regole. Mi fa l'esempio di un insegnante che mette un buon voto all'alunno che ha imparato a memoria la poesia senza errori, ed un voto migliore a quello che ha colto anche il senso di ciò che ha studiato ed è riuscito a "fare propria" la stessa poesia.
Io però non sono affatto una maestra, obietto (e qui mi riferisco proprio alle pastelle giapponesi!). Mi risponde che, per quanto io le ritenga limitate, devo comunque basarmi sulle mie conoscenze perché, volente o nolente, tra gli arbitri designati questa volta sono anch'io.
Il che non significa ascoltare le mie preferenze personali (tipo golosità verso certi ingredienti), ma ad esempio tenere in considerazione le difficoltà oggettive della prova, anche se non normate. Tipo cogliere l'essenza di una cucina complessa e scarsamente conosciuta, abbastanza diversa dalla tradizione italiana proprio nella sua filosofia di base (se non negli ingredienti, dato che in questo caso ho scelto materie prime decisamente reperibili. Ok, tranne quelle della salsa... che però non è obbligatorio riprodurre in versione giapponese...).
Fino a che parlo con lei mi sembra di aver capito, poi invece più ci rimugino sopra più mi sento inadeguata. Forse solo perché sono sopesa nel limbo, le ricette non hanno ancora cominciato ad arrivare ed il vortice degli eventi non mi ha ancora costretto a tuffarmi nel lavoro e a lasciar perdere i dubbi...
Richiamo la mia amica professionista del giudicare e le spiego le perplessità. Lei sostiene essere un buon segno, dice che dovrei una volta far parte di una giuria popolare, che sarei un giurato saggio. Appendo quasi subito, terrorizzata dalla prospettiva di finirci sul serio! No no, meglio star qui a cincischiare con le pastelle giapponesi! Chissà perché, comunque, dopo questa scossa mi sento molto più sollevata.
Ragionando mi sono incartata? Pazienza, all'atto pratico so che resterò serena, dovendomi confrontare, per fortuna mia, solo con delle simpatiche ed inoffensive ricette di cucina. Croccantezza, sapidità, profumi, abbinamenti... tutto qui, lontana da parole e scelte che incidono sulla vita vera, immersa solo in gusti e piaceri. E' assolutamente un privilegio. E a questo punto meglio smettere definitivamente di pensare e dedicarsi alla cucina pratica.
Ricetta semplicissima, ho capito che è sbagliato complicarsi troppo la vita! Una ricetta fresca e spontanea, dove la feta è salata ed asprognola, le fave dolci e morbide, il pane croccante, il pepe profumato. Chiaro, facile, "giusto". Quanto mi piace il linguaggio della cucina!
ingredienti per4 persone:
1 kg. di fave fresche nei baccelli
250 gr. di feta
1 spicchio di aglio
4 piccole fette di pane casereccio spesse 1 cm.
1 cucchiaio di olio extravergine saporito
pepe al mulinello
sale
Sgranare le fave e scottarle 5 minuti in acqua bollente leggermente salata, poi scolarle e raffreddarle sotto l'acqua corrente fredda, in modo che rimangano belle verdi, e privarle della pellicina esterna. Se ne ricavano circa 400 gr.
Tagliare sia il pane che la feta a dadini; sbucciare e schiacciare leggermente l'aglio.
Scaldare l'olio con l'aglio, buttarvi i dadini di pane e lasciarli dorare leggermente.
Unire le fave e la feta e saltare tutto a fuoco vivace per un paio di minuti, fino a che è tutto ben insaporito e la feta si è parzialmente sciolta.
Levare l'aglio e servire in ciotoline individuali con una abbondante spolverata di pepe.
- rivoli affluenti:
- consolanti le parole della cucina... La cultura della cucina?! Ma certo: Massimo Montanari, Il cibo come cultura, Laterza
Originale e buona grazie.
RispondiEliminaMandi
Rosetta www.ilfogolar.blogspot.com
@rosetta: grazie a te!
RispondiEliminaComplimenti!
RispondiEliminaLe approfondite riflessioni ti renderanno giudice coscienzioso e attento :-)
Appena di ritorno da Creta (dove ho mangiato feta tutti i giorni ... e ho avuto anche avuto il coraggio di acquistarla e portarla a casa ...) mi dai uno spunto perfetto per presentarla!
Baci
Hai ragione, Acquaviva, è meglio ridimensionare tutto questo carico e goderti solo il piacere di leggere come ciascuna di noi ha voluto o saputo o tentato di interpretare la tua ricetta...che personalmente mi ha messo un pò in crisi, ma ci sto pensando, sto prendendo appunti e mi darà del filo da torcere.
RispondiEliminaPer il momento ti ringrazio per questo spunto così stimolante ;)
ciao loredana
@twostella: stellina chissà come brillerai dopo Creta! Buona abitudine portarsi a casa dei souvenir gastronomici. Personalmente la feta mi crea dipendenza, quindi ti capisco in pieno.
RispondiElimina@loredana: aspetto davvero con grande curiosità le ricette, secondo me avrò moltissimo da imparare...
La scelta di un terzo giudice, all'mtc, era nata nel nome del rispetto della ricetta della sfida. In origine, infatti, saremmo dovute essere solo noi due, Daniela ed io. Poi, però, ci siamo chieste in che modo saremmo state ingrado di giudicare una ricetta che non era stata scelta da noi- e che quindi non ci apparteneva. E' su questa linea che vanno ricercati i parametri di giudizio che ciascun vincitore applica e che rappresentano una sorta di chiusura del cerchio. Se ci pensi bene, sono sottesi ai criteri di selezione della ricetta- perchè proprio quella e non altre, che cosa ci si aspetta che venga messo in evidenza, qual è l'aspetto che più ci sta a cuore del nostro concetto di cucinare- e quindi sono il degno compimento del percorso che ogni mese facciamo tutti insieme.
RispondiEliminaLe tue riflessioni ti fanno onore e non fanno che confermarti, ai nostri occhi, come una persona di grande valore. Te lo dice una che da quasi 15 anni giudica per professione e che ogni mattina si pone di fronte al suo lavoro con gli stessi interrogativi di fondo. E così, per esperienza, ti dico che l'unica ancora di salvezza è la materia prima, concreta, il fatto in sè- nel tuo caso, la ricetta. Aspetta di vedere che cosa tireranno fuori le nostre amiche- e a quel punto vedrai che le difficoltà ci saranno sempre, ma saranno su un piano concreto: verranno fuori dei parametri, dei termini di selezione, delle emozioni che ti resteranno impresse e pazienza se la ricetta non era perfetta... cose così, insomma, che alla fine ti porteranno su un terreno meno sconosciuto e meno insidioso ( e magari ti faranno confortare il vincitore successivo!!!)
Un abbraccio che stritola
ale
Non per essere la solita, ma se almeno tu mi farai vincere, sono sicura che non sbalgierai! ;)
RispondiEliminaUn bacio per l'arduo compito!
Adesso ho capito perchè ti hanno scelto per questo incarico.Sei grande come persona e ..............anche come cuoca.Complimenti per tutto. A presto.
RispondiElimina@alessandra: grazie del confronto e del conforto. Siete in sintonia tu e la mia amica. Ragazze... che lavoro pazzesco vi siete scelte!
RispondiElimina@fantasie: ma come, vuoi interromepre un record così, all'improvviso?!
@annamaria: grazie, e io che pensavo che qui invece emergesse la mia componente mattonesca!
Noooo, una ricetta con le fave...qui mi stermini la famiglia!
RispondiEliminaVirò
E' quello che dico anche io!!
RispondiEliminaFai vincere una che sta tra i tangueros e fa una ricetta giapponese e passa per la grecia con la feta e le fave e vai sul sicuro anche perché tutti sti giri culinari, ovviamente, sono colpa tua (io come yddish mame metticolpa sono imbattibile..;).). Bacioni
@virò: be'... puoi sempre preparare la stessa ricetta con gli edamame giapponesi! (e poi non c'è nemmeno bisogmìno di sbucciarli...)
RispondiElimina@glu.fri: carica, carica, che a proporre un fritto sembra che i sensi di colpa qui non sono mai troppi! Besos
concordo con Ale, vedrai che ti verrà facile quando sarai nel vivo!! Rilassati e divertiti!
RispondiEliminaCristina
Poverimabelliebuoni/Insalatamista
@cristina: sì sì, mi rilasso ancora un poco, visto che da lunedì si balla!!!
RispondiEliminaSegui il tuo istinto, i tuoi occhi, le tue papille gustative (che sanno leggere perfettamente!) e pure il tuo naso virtuale: vedrai che non potrai sbagliare!
RispondiEliminaChe poi quando una cosa ci piace più di un'altra siamo convinti di essere sempre noi a scegliere, ma mica ne sono certa sai? Talvolta sono loro a scegliere noi! ;-)
questa piccola dissertazione sul giudicare e sul giudizio me l'ero persa.. e pensare che sto lavorando sul "non-giudizio" come principio di vita! Non t'invidio ma penso che, in tema di pastelle giapponesi e rivisitazioni di forma e di sostanze, sarà certo questione di emozioni;) e mai si tratterà del mero giudicare, ma del "sentire"
RispondiEliminaun abbraccio!
muscaria: in merito alle papille che sanno leggere sai che pensavo quasi di prepararle davvero, se alla fine le papille virtuali vanno in tilt, le ricette che mi ispirano di più?! Certo, mi servirebbero giornate da una cinquantina di ore cadauna. Non è che a te ne avanzino un po'?
RispondiElimina@cinzia: sul non-giudizio come principio di vita direi che oramai sono quasi maestra. Quando arrivi ad una certa età/esperienza o lo capisci o ti danni definitivamente l'esistenza. Il quotidiano però contiene inevitabilmente dei giudizi impliciti, o non potremmo fare nemmeno la più piccola scelta ed il nostro non sarebbe più un percorso ma un'eterna, invivibile stasi.
Credo di essermi intimorita all'inizio all'idea di "giudicare" proprio perchè questa esperienza non entra nei parametri acquisiti delle piccole scelte quotidiane e diventa quindi uno strappo alla più universale filosofia del non-giudizio. E vorrei cercare di essere più "equa" possibile, nonostante tutti i miei limiti personali esposti in bella vista.
Macché, non mi avanzano proprio. Però posso sempre prestarti la macchina del tempo!
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