No, non si tratta di una ricetta da Mille e Una Notte... solo di una riflessione sul senso della cucina!
Ho scritto sempre nel blog, mi rendo conto, con una sensazione come di viaggio e scoperta, per aprire la tavola quotidiana anche a cibi che non sono dei miei luoghi o di questa mia epoca. Ho cucinato per cercare, per capire, per risolvere, insomma. Non per fermare nel tempo.
La parte celebrativa, insieme commemorativa e sacrale, della preparazione del cibo, quella in cui un piatto diventa "assoluto", è emersa poco. Forse ci ho provato con qualche ricetta di famiglia, ma ho più che altro usato il filtro dall'affetto più che puntare ad altro.
Mi ci ha fatto pensare il racconto che ora riporto, raccolto insieme ad altri (che la cucina non la nominano nemmeno) in un libro il cui autore propone alcune sottili variazioni sul tema dell'amore.
Mi sono resa conto che sono stata finora una vivandiera della carovana di Marco Polo, una rielaboratrice creativa di ricette classiche, una indagatrice curiosa di ricette salutari, una declinatrice in italiano di ricette di altri mondi, una puntuale cronista puntuale della fantasia gastronomica straniera, una narratrice di cibi e storie di altri tempi. E magari anche molto altro.
Può darsi perfino che amici e parenti quando cucino per loro mi considerino una cuoca "da caccia e da guerra". Ma, e lo posso dire con improvvisa consapevolezza, finora non sono mai stata la cuoca di palazzo del califfo.
I due banchetti o la commemorazione
C'era una volta un califfo di Ispahan che aveva perduto il cuoco. Ordinò dunque al proprio intendente di mettersi in cerca di un nuovo cuciniere degno di assolvere le funzioni di capocuoco di palazzo.
Passarono i giorni. Il califfo si spazientì e convocò il proprio intendente."allora? Hai trovato l'uomo che ci serve?" "Signore, sono in grande imbarazzo", rispose l'intendente. "Perché ho trovato non un cuoco, ma due, entrambi assolutamente degni di rivestire quell'alto incarico, e non so come scegliere".
"Non te ne dar pena" disse il califfo, "ci penserò io. Domenica prossima, uno dei due uomini, designato dalla sorte, preparerà un banchetto per la corte e per me. La domenica successiva, sarà la volta dell'altro. Alla fine del secondo banchetto, dichiarerò io stesso il vincitore di questa piacevole gara".
Così fu fatto. La prima domenica, il cuoco designato dalla sorte preparò il pranzo per la corte. Tutti aspettavano con la più golosa curiosità quanto sarebbe stato servito. Ebbene, la finezza, l'originalità, la ricchezza e la prelibatezza dei piatti che si susseguirono sulla tavola superarono ogni aspettativa.
L'entusiasmo degli invitati era tale che essi esortavano il califfo a nominare senza ulteriori indugi capocuoco di palazzo l'autore di quel banchetto insuperabile. Che bisogno c'era di un'altra prova? Ma il califfo fu irremovibile. "Aspettiamo domenica", disse "e lasciamo un'opportunità all'altro concorrente".
Passò una settimana, e tutta la corte si ritrovò attorno allo stesso tavolo per assaporare il capolavoro del secondo cuoco. L'impazienza era viva, ma lo squisito ricordo del banchetto precedente creava una certa prevenzione nei suoi confronti.
Grande fu la sorpresa generale quando il primo piatto giunse in tavola: era lo stesso primo piatto del primo banchetto. Altrettanto fine, originale, ricco e gustoso, ma identico. E ci furono sorrisi e mormorii allorché il secondo piatto si rivelò a propria volta uguale al secondo piatto del primo banchetto. Ma poi un silenzio costernato piombò sugli invitati quando constatarono che anche tutti i piatti successivi erano gli stessi della domenica precedente.
Bisognava arrendersi all'evidenza: il secondo cuoco imitava in tutto e per tutto il concorrente. Ora, tutti sapevano che il califfo era un tiranno ombroso, e non tollerava che qualcuno si prendesse gioco di lui, tantomeno un cuoco, sicché l'intera corte aspettava timorosa - lanciandogli occhiate furtive - lo scatto di collera con cui da un momento all'altro avrebbe fulminato l'autore di quella miserabile farsa.
Ma il califfo mangiava imperturbabile e scambiava con i propri vicini solo le rare e futili osservazioni che sono di prammatica in simili circostanze. C'era da credere che non si fosse accorto dell'incredibile mistificazione di cui era vittima.
Infatti vennero serviti i dessert e i dolci, anch'essi assolutamente simili ai dessert e ai dolci del primo banchetto. Poi i servi s'affrettarono a sparecchiare la tavola.
Allora il califfo ordinò che si chiamassero i due cuochi, e quando i due uomini gli furono di fronte, egli si rivolse a tutta la corte dicendo: "E così amici miei, avete avuto modo di apprezzare, in questi due banchetti, l'arte e l'inventiva dei due cuochi qui presenti. Spetta a noi adesso fare la scelta e decidere quale dei due deve essere investito dell'alto incarico di capocuoco di palazzo.
Ora io penso che voi siate tutti d'accordo con me nel riconoscere e proclamare l'immensa superiorità del secondo cuoco sul primo. Perché, se il cibo che abbiamo potuto gustare domenica scorsa era fine, originale, ricco e gustoso quanto quello che ci è stato servito oggi, non era in fondo che un pasto principesco.
Ma il secondo, in quanto esatta riproduzione del primo, il secondo attingeva una dimensione superiore. Il primo banchetto era un avvenimento, ma il secondo era una commemorazione e, se il primo era memorabile, è stato soltanto il secondo a conferirgli retroattivamente questa memorabilità.
Allo stesso modo i grandi fatti della storia non si liberano delle scorie impure e dubbie in cui sono nati, se non grazie al ricordo, che li perpetua nelle generazioni successive. Dunque, se io apprezzo in casa di amici e in viaggio che mi vengano serviti pranzi principeschi, qui a palazzo voglio soltanto pranzi sacri. Sacri, sì, perché il sacro esiste soltanto in virtù della ripetizione e acquista eminenza a ogni ripetizione.
Cuochi numero uno e due, vi assumo entrambi. Tu, cuoco numero uno, mi accompagnerai a caccia e in guerra. Aprirai la mia tavola ai prodotti nuovi, ai piatti esotici, alle invenzioni più sorprendenti della gastronomia. Ma tu, cuoco numero due, veglierai qui a palazzo sull'ordine immutabile del mio vitto quotidiano. Sarai il gran sacerdote delle mie cucine e il conservatore dei riti culinari e manducatori che conferiscono al cibo la sua dimensione spirituale".
Con la ricetta di oggi provo ad essere per una volta cuoca di palazzo, per verificare di aver capito e anche di esserne in grado.
Ho pensato di partire dalle basi. Le basi di tutto, intendo. Quindi da uno dei primissimi post di questo blog, un post che parlava di insalata di riso in versione un po' British, per via dell'amore smodato che avevo e ho per quel Paese.
Una ricetta a base di riso, per me alimento quasi "sacro" per via della mia passione per l'Oriente, oltre che del mio gusto personale. Riso anche come ingrediente iconico di questo blog, visto che è stato protagonista della mia prima vittoria in un contest nonché argomento lanciato in una sfida di cui ero giudice.
Riso degli affetti familiari, dato che il risotto è il cavallo di battaglia di mio padre, l'insalata di riso una delle poche ricette sensate ereditate da mia madre, il riso brasiliano una scoperta per cui devo ringraziare mia sorella, le arancine di riso il piatto che vuole da me la prole di mio fratello nelle occasioni importanti.
Passioni personali, affetti familiari, storia del blog... diciamo che ci sono tutti i giusti ingredienti per ritenere la preparazione di un piatto di riso "un rito culinario da conservare", come direbbe il califfo. E in Medio Oriente di riso se ne intendono!
Opto per l'insalata di riso, sia per ragioni climatico/stagionali sia perché, al di là dell'affettuosa ironia con cui cito sempre la cucina di mia madre, la sua insalata di riso è una delle più buone che abbia mai mangiato.
Questa ricetta non è però la sua, ne' si tratta di una ricetta in stile "califfo". Riproduce solamente la prima insalata di riso che ho preparato "su commissione": avevo circa vent'anni, collezionavo ricette ritagliandole dalle riviste o trascrivendole da libri di cucina delle mamme dei miei amici ed una mia coetanea mi chiese di prepararle, dietro rimborso spese (!!!) un buffet di compleanno per 37 persone. Fu la prima volta che mi resi conto di quanto, dall'esterno, apparissi legata già da allora al mondo della cucina!
La ricetta originale proveniva da un ritaglio di "Sale & Pepe" dell'epoca e mi piacque perché prevedeva ingredienti "esotici" come polpa di granchio, paprika dolce e salsa di soia, ma l'avevo modificata per rendere una serie di colori delicati in sfumatura: due toni di verde, due di giallo, due di rosso e uno di bianco, tutti legati da una salsa nera.
Ai tempi ero decisamente solo cuoca di caccia... Ora invece la riproduco volentieri così come l'avevo preparata per la festa della mia amica, riportando tra parentesi le indicazioni della vecchia rivista.
Lo sforzo maggiore questa volta, devo ammetterlo, è stato cercare di ricordare i sapori che tanto avevano apprezzato gli ospiti della festa di allora e soprattutto, ligia alla visione da cuoca di palazzo, replicarli ripetendo la ricetta senza cambiare nulla!
Be'... quasi: per la verità oggi ho evitato la via semplice di lessare il riso parboiled e ho modificato la varietà del riso ed il suo tipo di cottura. Un dettaglio tecnico che allora mi sfuggiva e che ora ha il semplice scopo di rendere il riso più fragrante e saporito.
Con un piatto così penso che la mia cucina non possa ancora dirsi "spirituale". Sarà stata almeno "commemorativa"? Non so. Ma si impara a piccoli passi...
Replica di un'insalata di riso a otto colori anni '80
ingredienti per 4 persone:
300 g di riso brasiliano (400 g di riso parboiled)
2 tranci di salmone, in tutto circa 300 g (1 scatola di polpa di granchio)
2 uova
400 g di bietoline fresche (200 g di piselli surgelati)
4 cipollotti
1 piccolo cespo di lattuga (2 mazzetti di cicoria)
2 cucchiai di salsa di soia
1 pizzico di paprika affumicata (paprika dolce)
4 cucchiai di olio extravergine leggero
sale (e pepe)
aggiunte mie di allora:
2 pomodori
1/2 cucchiaino di curcuma
Portare a bollore 400 ml di acqua. Intanto scaldare 2 cucchiai di olio in un tegame capiente e tostarci il riso per un paio di minuti, fino a che si è tutto schiarito.
Versare l'acqua bollente sul riso, unire la curcuma e un pizzico di sale e, appena riprende il bollore, coprire, abbassare la fiamma e cuocere 10 minuti.
Senza alzare il coperchio, spegnere e lasciar riposare altri 5 minuti, quindi trasferire in riso in una ciotola e sgranarlo con due forchette, lasciando intiepidire.
Portare altra acqua a bollore, salare leggermente e scottarvi le bietoline per un paio di minuti. Appena sono morbide scolarle e tuffarle in acqua ghiacciata per un minuto, in modo che restino belle verdi. Scolarle bene, strizzarle delicatamente e tagliuzzarle.
Sbattere le uova con un pizzico di sale. Scaldare in un padellino 1 cucchiaio di olio e con le uova preparare due frittatine sottili. Trasferirle su un piatto, lasciar intiepidire e tagliarle a listarelle.
Riaccendere il fuoco sotto il tegame della frittata e scottarvi i tranci di salmone due minuti su un lato e uno sull'altro. Salare, trasferire su un piatto, coprire con un altro piatto e lasciar intiepidire, quindi sfaldare delicatamente la polpa, eliminando pelle e lische.
Tagliare i cipollotti a rondelle sottili e, se non piace il loro gusto deciso, lasciarli a bagno in acqua fredda per una decina di minuti. Tagliare il pomodoro a dadini eliminando la loro acqua; mondare l'insalata e tagliarla a striscioline.
Miscelare il riso con le bietole, il salmone, i cipollotti, l'insalata, i pomodori e le frittatine. Diluire la paprika in 3 cucchiai di olio, unirvi la salsa di soia e condire il riso. Mescolare bene e lasciar riposare l'insalata una quindicina di minuti coperta (ma anche qualche ora in frigo) prima di servire.
Oggi ho riprodotto anche la presentazione ingenuamente "elegante" che avevo riservato al piatto della festeggiata, disponendo come allora gli ingredienti in base ai colori e servendo il condimento a parte. Ai tempi mi sembrava una grande attenzione... in effetti un po' come se si trattasse di un piatto per un califfo.
Ho scritto sempre nel blog, mi rendo conto, con una sensazione come di viaggio e scoperta, per aprire la tavola quotidiana anche a cibi che non sono dei miei luoghi o di questa mia epoca. Ho cucinato per cercare, per capire, per risolvere, insomma. Non per fermare nel tempo.
La parte celebrativa, insieme commemorativa e sacrale, della preparazione del cibo, quella in cui un piatto diventa "assoluto", è emersa poco. Forse ci ho provato con qualche ricetta di famiglia, ma ho più che altro usato il filtro dall'affetto più che puntare ad altro.
Mi ci ha fatto pensare il racconto che ora riporto, raccolto insieme ad altri (che la cucina non la nominano nemmeno) in un libro il cui autore propone alcune sottili variazioni sul tema dell'amore.
Mi sono resa conto che sono stata finora una vivandiera della carovana di Marco Polo, una rielaboratrice creativa di ricette classiche, una indagatrice curiosa di ricette salutari, una declinatrice in italiano di ricette di altri mondi, una puntuale cronista puntuale della fantasia gastronomica straniera, una narratrice di cibi e storie di altri tempi. E magari anche molto altro.
Può darsi perfino che amici e parenti quando cucino per loro mi considerino una cuoca "da caccia e da guerra". Ma, e lo posso dire con improvvisa consapevolezza, finora non sono mai stata la cuoca di palazzo del califfo.
I due banchetti o la commemorazione
C'era una volta un califfo di Ispahan che aveva perduto il cuoco. Ordinò dunque al proprio intendente di mettersi in cerca di un nuovo cuciniere degno di assolvere le funzioni di capocuoco di palazzo.
Passarono i giorni. Il califfo si spazientì e convocò il proprio intendente."allora? Hai trovato l'uomo che ci serve?" "Signore, sono in grande imbarazzo", rispose l'intendente. "Perché ho trovato non un cuoco, ma due, entrambi assolutamente degni di rivestire quell'alto incarico, e non so come scegliere".
"Non te ne dar pena" disse il califfo, "ci penserò io. Domenica prossima, uno dei due uomini, designato dalla sorte, preparerà un banchetto per la corte e per me. La domenica successiva, sarà la volta dell'altro. Alla fine del secondo banchetto, dichiarerò io stesso il vincitore di questa piacevole gara".
Così fu fatto. La prima domenica, il cuoco designato dalla sorte preparò il pranzo per la corte. Tutti aspettavano con la più golosa curiosità quanto sarebbe stato servito. Ebbene, la finezza, l'originalità, la ricchezza e la prelibatezza dei piatti che si susseguirono sulla tavola superarono ogni aspettativa.
L'entusiasmo degli invitati era tale che essi esortavano il califfo a nominare senza ulteriori indugi capocuoco di palazzo l'autore di quel banchetto insuperabile. Che bisogno c'era di un'altra prova? Ma il califfo fu irremovibile. "Aspettiamo domenica", disse "e lasciamo un'opportunità all'altro concorrente".
Passò una settimana, e tutta la corte si ritrovò attorno allo stesso tavolo per assaporare il capolavoro del secondo cuoco. L'impazienza era viva, ma lo squisito ricordo del banchetto precedente creava una certa prevenzione nei suoi confronti.
Grande fu la sorpresa generale quando il primo piatto giunse in tavola: era lo stesso primo piatto del primo banchetto. Altrettanto fine, originale, ricco e gustoso, ma identico. E ci furono sorrisi e mormorii allorché il secondo piatto si rivelò a propria volta uguale al secondo piatto del primo banchetto. Ma poi un silenzio costernato piombò sugli invitati quando constatarono che anche tutti i piatti successivi erano gli stessi della domenica precedente.
Bisognava arrendersi all'evidenza: il secondo cuoco imitava in tutto e per tutto il concorrente. Ora, tutti sapevano che il califfo era un tiranno ombroso, e non tollerava che qualcuno si prendesse gioco di lui, tantomeno un cuoco, sicché l'intera corte aspettava timorosa - lanciandogli occhiate furtive - lo scatto di collera con cui da un momento all'altro avrebbe fulminato l'autore di quella miserabile farsa.
Ma il califfo mangiava imperturbabile e scambiava con i propri vicini solo le rare e futili osservazioni che sono di prammatica in simili circostanze. C'era da credere che non si fosse accorto dell'incredibile mistificazione di cui era vittima.
Infatti vennero serviti i dessert e i dolci, anch'essi assolutamente simili ai dessert e ai dolci del primo banchetto. Poi i servi s'affrettarono a sparecchiare la tavola.
Allora il califfo ordinò che si chiamassero i due cuochi, e quando i due uomini gli furono di fronte, egli si rivolse a tutta la corte dicendo: "E così amici miei, avete avuto modo di apprezzare, in questi due banchetti, l'arte e l'inventiva dei due cuochi qui presenti. Spetta a noi adesso fare la scelta e decidere quale dei due deve essere investito dell'alto incarico di capocuoco di palazzo.
Ora io penso che voi siate tutti d'accordo con me nel riconoscere e proclamare l'immensa superiorità del secondo cuoco sul primo. Perché, se il cibo che abbiamo potuto gustare domenica scorsa era fine, originale, ricco e gustoso quanto quello che ci è stato servito oggi, non era in fondo che un pasto principesco.
Ma il secondo, in quanto esatta riproduzione del primo, il secondo attingeva una dimensione superiore. Il primo banchetto era un avvenimento, ma il secondo era una commemorazione e, se il primo era memorabile, è stato soltanto il secondo a conferirgli retroattivamente questa memorabilità.
Allo stesso modo i grandi fatti della storia non si liberano delle scorie impure e dubbie in cui sono nati, se non grazie al ricordo, che li perpetua nelle generazioni successive. Dunque, se io apprezzo in casa di amici e in viaggio che mi vengano serviti pranzi principeschi, qui a palazzo voglio soltanto pranzi sacri. Sacri, sì, perché il sacro esiste soltanto in virtù della ripetizione e acquista eminenza a ogni ripetizione.
Cuochi numero uno e due, vi assumo entrambi. Tu, cuoco numero uno, mi accompagnerai a caccia e in guerra. Aprirai la mia tavola ai prodotti nuovi, ai piatti esotici, alle invenzioni più sorprendenti della gastronomia. Ma tu, cuoco numero due, veglierai qui a palazzo sull'ordine immutabile del mio vitto quotidiano. Sarai il gran sacerdote delle mie cucine e il conservatore dei riti culinari e manducatori che conferiscono al cibo la sua dimensione spirituale".
Con la ricetta di oggi provo ad essere per una volta cuoca di palazzo, per verificare di aver capito e anche di esserne in grado.
Ho pensato di partire dalle basi. Le basi di tutto, intendo. Quindi da uno dei primissimi post di questo blog, un post che parlava di insalata di riso in versione un po' British, per via dell'amore smodato che avevo e ho per quel Paese.
Una ricetta a base di riso, per me alimento quasi "sacro" per via della mia passione per l'Oriente, oltre che del mio gusto personale. Riso anche come ingrediente iconico di questo blog, visto che è stato protagonista della mia prima vittoria in un contest nonché argomento lanciato in una sfida di cui ero giudice.
Riso degli affetti familiari, dato che il risotto è il cavallo di battaglia di mio padre, l'insalata di riso una delle poche ricette sensate ereditate da mia madre, il riso brasiliano una scoperta per cui devo ringraziare mia sorella, le arancine di riso il piatto che vuole da me la prole di mio fratello nelle occasioni importanti.
Passioni personali, affetti familiari, storia del blog... diciamo che ci sono tutti i giusti ingredienti per ritenere la preparazione di un piatto di riso "un rito culinario da conservare", come direbbe il califfo. E in Medio Oriente di riso se ne intendono!
Opto per l'insalata di riso, sia per ragioni climatico/stagionali sia perché, al di là dell'affettuosa ironia con cui cito sempre la cucina di mia madre, la sua insalata di riso è una delle più buone che abbia mai mangiato.
Questa ricetta non è però la sua, ne' si tratta di una ricetta in stile "califfo". Riproduce solamente la prima insalata di riso che ho preparato "su commissione": avevo circa vent'anni, collezionavo ricette ritagliandole dalle riviste o trascrivendole da libri di cucina delle mamme dei miei amici ed una mia coetanea mi chiese di prepararle, dietro rimborso spese (!!!) un buffet di compleanno per 37 persone. Fu la prima volta che mi resi conto di quanto, dall'esterno, apparissi legata già da allora al mondo della cucina!
La ricetta originale proveniva da un ritaglio di "Sale & Pepe" dell'epoca e mi piacque perché prevedeva ingredienti "esotici" come polpa di granchio, paprika dolce e salsa di soia, ma l'avevo modificata per rendere una serie di colori delicati in sfumatura: due toni di verde, due di giallo, due di rosso e uno di bianco, tutti legati da una salsa nera.
Ai tempi ero decisamente solo cuoca di caccia... Ora invece la riproduco volentieri così come l'avevo preparata per la festa della mia amica, riportando tra parentesi le indicazioni della vecchia rivista.
Lo sforzo maggiore questa volta, devo ammetterlo, è stato cercare di ricordare i sapori che tanto avevano apprezzato gli ospiti della festa di allora e soprattutto, ligia alla visione da cuoca di palazzo, replicarli ripetendo la ricetta senza cambiare nulla!
Be'... quasi: per la verità oggi ho evitato la via semplice di lessare il riso parboiled e ho modificato la varietà del riso ed il suo tipo di cottura. Un dettaglio tecnico che allora mi sfuggiva e che ora ha il semplice scopo di rendere il riso più fragrante e saporito.
Con un piatto così penso che la mia cucina non possa ancora dirsi "spirituale". Sarà stata almeno "commemorativa"? Non so. Ma si impara a piccoli passi...
ingredienti per 4 persone:
300 g di riso brasiliano (400 g di riso parboiled)
2 tranci di salmone, in tutto circa 300 g (1 scatola di polpa di granchio)
2 uova
400 g di bietoline fresche (200 g di piselli surgelati)
4 cipollotti
1 piccolo cespo di lattuga (2 mazzetti di cicoria)
2 cucchiai di salsa di soia
1 pizzico di paprika affumicata (paprika dolce)
4 cucchiai di olio extravergine leggero
sale (e pepe)
aggiunte mie di allora:
2 pomodori
1/2 cucchiaino di curcuma
Portare a bollore 400 ml di acqua. Intanto scaldare 2 cucchiai di olio in un tegame capiente e tostarci il riso per un paio di minuti, fino a che si è tutto schiarito.
Versare l'acqua bollente sul riso, unire la curcuma e un pizzico di sale e, appena riprende il bollore, coprire, abbassare la fiamma e cuocere 10 minuti.
Senza alzare il coperchio, spegnere e lasciar riposare altri 5 minuti, quindi trasferire in riso in una ciotola e sgranarlo con due forchette, lasciando intiepidire.
Portare altra acqua a bollore, salare leggermente e scottarvi le bietoline per un paio di minuti. Appena sono morbide scolarle e tuffarle in acqua ghiacciata per un minuto, in modo che restino belle verdi. Scolarle bene, strizzarle delicatamente e tagliuzzarle.
Sbattere le uova con un pizzico di sale. Scaldare in un padellino 1 cucchiaio di olio e con le uova preparare due frittatine sottili. Trasferirle su un piatto, lasciar intiepidire e tagliarle a listarelle.
Riaccendere il fuoco sotto il tegame della frittata e scottarvi i tranci di salmone due minuti su un lato e uno sull'altro. Salare, trasferire su un piatto, coprire con un altro piatto e lasciar intiepidire, quindi sfaldare delicatamente la polpa, eliminando pelle e lische.
Tagliare i cipollotti a rondelle sottili e, se non piace il loro gusto deciso, lasciarli a bagno in acqua fredda per una decina di minuti. Tagliare il pomodoro a dadini eliminando la loro acqua; mondare l'insalata e tagliarla a striscioline.
Miscelare il riso con le bietole, il salmone, i cipollotti, l'insalata, i pomodori e le frittatine. Diluire la paprika in 3 cucchiai di olio, unirvi la salsa di soia e condire il riso. Mescolare bene e lasciar riposare l'insalata una quindicina di minuti coperta (ma anche qualche ora in frigo) prima di servire.
Oggi ho riprodotto anche la presentazione ingenuamente "elegante" che avevo riservato al piatto della festeggiata, disponendo come allora gli ingredienti in base ai colori e servendo il condimento a parte. Ai tempi mi sembrava una grande attenzione... in effetti un po' come se si trattasse di un piatto per un califfo.
- rivoli affluenti:
- Il racconto è contenuto in: Michel Tournier, Mezzanotte d'amore, traduzione di Francesco Bruno, Garzanti, 1990, ISBN 9788811664789
- per la paprika affumicata ringrazio la recente, gentilissima fornitrice
La storia e la considerazione che hai avuto di quanto fatto nel passato è una letta squisita come il racconto stupendo e la spiegazione d'intendimento conclusivo del califfo.
RispondiEliminaLa ricetta è favolosa io adoro il riso, adoro i sapori orientali e i miscelati o contaminazioni come dicono oggi bel distribuiti non inventati li solo per emulazione.
Come tutti i tuoi piatti prima o dopo li faccio e poi ti racconto. Un abbraccio.
@edvige: grazie, il racconto di Tournier in effetti mi ha spinto a riflettere e magari ne nasce anche qualcosa di specifico per il blog. Appena ho tempo...
RispondiEliminaGrazie per questo articolo che ha fatto la presentazione di me Exhibition tuo sito molto interessante. Spero di sentire da voi
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