L'altro giorno giravo tra le bancarelle del mercato in cerca di verdure di stagione per una zuppa (tra le tante!) da proporre per l' MTC di gennaio e la cosa ha innescato nella mia mente malata una serie di riflessioni sulla stagionalità. Saranno lunghe, a chi non è interessato consiglio di passare direttamente alla ricetta, o di leggere da segno "===" in poi, dove si parla solo del piatto in sè.
Sui banchi al mercato verdure invernali di ogni foggia. Tra una stupenda abbondanza di cavoli di mille forme e colori e rape di infinite varietà, apparivano però anche prodotti che sono da tempo considerati slegati dalla stagionalità: qualcuno per tradizione (stagione lunga o facile conservabilità), come cipolle o patate, qualcuno per moda o frequenza di utilizzo, e dunque di richiesta, come insalata o pomodori.
In genere cerco di sfruttare sempre le delizie del periodo, certamente meno costose, più saporite e più ricche dal punto di vista nutrizionale rispetto ai prodotti fuori stagione, ed utilizzo senza problemi anche ingredienti che, per storia e tradizione locale, ritengo "stagionalmente neutri".
Mi faccio invece qualche remora sulla seconda categoria dei "sovrastagionali", così come per altri prodotti decisamente "fuori stagione", almeno qui, tipo fragole o melanzane, la cui coltivazione in questo periodo penso sia decisamente forzata anche nelle zone climatiche più amene e solatie d'Italia.
C'erano però, al mercato, anche ortaggi "invernali" ma non autoctoni: daikon e taro, ad esempio, radici asiatiche ora coltivate anche in Italia. E poi il chayote, una zucca sudamericana che là si raccoglie a novembre e dicembre, e ovviamente anche banane e ananas, che fanno forse meno impressione perché da tempo diffusi anche da noi ma appartenenti alla stessa logica.
Per il daikon o per il bok choy, di cui negli ultimi anni è salita la richiesta un po' per la moda della cucina "orientale" e un po' per la crescita esponenziale delle comunità asiatiche nelle nostre città, immagino possible un destino simile a quello del kiwi, un tempo frutto "esotico" neozelandese qui sconosciuto fino agli anni '70 ed oggi considerato quasi autoctono, tanto da esserne i primi produttori al mondo.
E così è per tutti quegli ortaggi e frutti che possono trovare anche da noi condizioni favorevoli alla coltivazione in loco: in fondo quanti Italiani hanno fatto fortuna portando la coltivazione della vite in California, Cile, Sudafrica, Australia o Nuova Zelanda, tutti ora Paesi "neoproduttori" di vini? Ha un senso, magari non agricolo ma certamente sociale, pensare che sia questa la reale direzione della globalizzazione anche alimentare.
In quanto cultrice della gastronomia "estera" sono la prima a vivere una contraddizione: cucinando straniero o cenando nei ristoranti etnici che propongono specialità di ogni parte del mondo, di fatto consumo prodotti prevalentemente importati. Pertanto perseguo il "locale e stagionale" a modo tutto mio, cercando di rispettare la stagione del Paese di produzione, anche se è slegata da quella italiana.
I prodotti che utilizzo spesso non hanno in Italia possibilità di coltivazione ma sono reperibili qui come frutto di una "stagionalità dislocata", ovvero si raccolgono nella primavera ed estate dell'emisfero australe, quando da noi è inverno. Dunque rispettano la stagionalità locale ma per essere disponibili da noi necessitano di lunghi trasporti. E se il chayote può rappresentare una "voglia di pere cotte" (direbbe mio nonno*), la cosa non accade solo per specialità semisconosciute, di cui ci cibiamo solo io e le comunità latine emigrate in Italia...
Un esempio chiaro a tutti sono le banane, che sfido chiunque a considerare oramai un frutto "esotico", nonostante lo siano in tutto e per tutto. Kiwi e banane, insomma, sono due facce della stessa medaglia della stagionalità, solo che queste ultime sono, rispetto ad una visione eco-ambientale, meno "corrette". Esattamente come lo siamo noi Italiani quando esportiamo salumi, formaggi, vini ed altre nostre specialità. Come, appunto, i kiwi...
Rimanendo dunque nemica delle fragole a gennaio, perché qui dietro l'angolo crescono facilmente, basta aspettare la loro stagione, sono favorevole al fenomeno sociale di scambio culturale di sapori quando, attraverso meccanismi corretti, riesce a tradursi in allargamento di conoscenze agricole (o addirittura in scambio, come con kiwi versus viti...) o gastronomiche (a parte qualche fortunato nel sud della Sicilia, altrimenti, nessun Italiano potrebbe mai gustarsi una banana!).
La vera difficoltà "morale", in realtà, per me, sta nel determinare quanto questi processi di richiesta del nuovo siano un fenomeno culturalmente motivato da modifiche sociali strutturali (immigrazione, facilità dei viaggi, allargamento della cultura, evoluzione delle conoscenze nutrizionali, ecc) o quanto siano dovuti ad una moda effimera.
La stessa "voglia di pere cotte" che, di fronte al dilagare della moda di cocktail a base di menta fresca pestata, tipo l'oramai onnipresente mojito cubano (anche se, da tempi lontanissimi ed ancora non sospetti, io preferisco il mint julep!) ha fatto apparire in ogni stagione vaschette di steli di menta sugli scaffali dei supermercati.
Ne vedo un mazzetto fresco anche sul banco del mercato, vicino ad un mazzone di carciofi sardi favoloso. Prendo i carciofi, che sono "locali" e di stagione, penso a un koresh (stufato persiano) di ossibuchi che è la morte loro, e subito mi rendo conto perché mi è venuta in mente quella ricetta: il piatto prevede carne di manzo, cipolle, aglio, prezzemolo e spezie varie, ingredienti tutti "neutri" in quanto per me "sovra-stagionali". E poi, soprattutto, abbondante menta fresca.
Non sono un'esperta agricoltrice ma ho ben presente la piantina di menta nell'orto di mio padre: è perenne, vero, ma non è certo adesso che ci si può ricavare qualcosa! La menta fresca, fino a qualche anno fa d'inverno semplicemente sostituibile con quella secca, oggi sembra appartenere oramai alla categoria della "stagionalità dislocata" (se importata, o della "sovrastagionalità" se coltivata in serra in Italia) anche fuori dalla grande distribuzione.
Fatico, nella mia percezione, a considerare la menta "socialmente giustificata" come le banane.Forse solo perchè non è "sdoganata" da decenni... Però la compro, e ci cucino il koresh ai carciofi, che sul territorio iraniano trova tutti gli ingredienti nella stessa stagione. Il piatto risulta buono. La menta, che credo venisse dal Marocco, aveva un gran profumo, in effetti, ma decisamente poco gusto. Forse dovrei trarne una lezione, però al momento mi sfugge.
In specifico questa stessa ricetta viene preparata indifferentemente con i carciofi e/o con i cardi, che dei carciofi sono parenti strettissimi: i carciofi sono un addomesticamento dei cardi ad opera dell'uomo. A maggior ragione, dunque ecco i gambi dei carciofi insieme ai loro fiori (già, perché questo sono botanicamente: fiori, spinosi ma eduli). E poi sono già in vena di puntare sugli scarti, come per la zuppa di cime di rapa dell'altro giorno.
In questo koresh ho sostituito curcuma e zafferano della ricetta tradizionale con advieh, un mix di spezie persiano adatto ai piatti di carne, in modo da "ingiallire" il meno possibile la preparazione. Ho lasciato tutto il colore ed il profumo di zafferano e curcuma al risotto con cui accompagno lo stufato.
Ci si dovrebbe servire il chelow, il riso persiano a vapore, per la verità, con il koresh, ma un bel risotto come si deve non si nega a nessun ossobuco...
Koresh-e kangar - Stufato persiano di ossibuchi con carciofi, menta e limone
ingredienti per 4 persone:
4 ossibuchi di manzo da c.a 350 g cad.
5 o 6 carciofi dal gambo lungo, c.a 1 kg in totale
1 limone (o 2 lime o, meglio,
4 cucchiai di ab ghureh, succo aspro di uva)
2 cipolle
6 rametti di menta fresca
2 rametti di prezzemolo
4 cucchiaini di advieh (qui misto di zafferano, cannella, cardamomo, cumino, noce moscata, petali di rosa, scorza di lime e semi di sesamo, tutto in polvere)
2 cucchiai di aceto bianco
1 cucchiaino di zucchero (superfluo se si usano lime o ab ghureh)
2 cucchiai di olio extravergine
sale
pepe nero al mulinello
risotto allo zafferano**, per accompagnare
Incidere la carne degli ossibuchi sui bordi in modo che non si arricci in cottura. Tritare fini le cipolle.
Scaldare l'olio in un ampio tegame, rosolarci la cipolla due minuti ed unire la carne, dorandola per bene su entrambi i lati.
Unire il mix di spezie, sale e pepe, quindi coprire con 300 ml di acqua, mescolando bene; appena bolle coprire, abbassare la fiamma e cuocere un'oretta, mescolando di tanto in tanto.
Nel frattempo riempire una ciotola d'acqua ed unire l'aceto; mondare i carciofi, tagliando i fiori in 6/8 spicchi ed i gambi, ben pelati con un pelapatate, a tocchetti di 4 cm, e immergendo tutto nell'acqua acidulata a mano a mano che vien pronto.
Unire carciofi e gambi ben scolati agli ossibuchi, spremere il limone nel tegame, unire lo zucchero, coprire di nuovo e cuocere un'altra quarantina di minuti.
Intanto tritare le foglie di 4 rametti di menta e del prezzemolo; unire il trito agli ossibuchi al momento di spegnere, mescolando bene e regolando di sale, se serve.
Distribuire la preparazione nei piatti e completare con un trito degli ultimi due rametti di menta, una spolverata di scorza di limone grattugiata e un'ultima macinata di pepe. Servire con il risotto fumante, a sua volta spolverizzato di menta fresca.
Nel caso si decida di usare anche i cardi, vanno preparati come i gambi dei carciofi ma fatti cuocere una ventina di minuti in più.
Sui banchi al mercato verdure invernali di ogni foggia. Tra una stupenda abbondanza di cavoli di mille forme e colori e rape di infinite varietà, apparivano però anche prodotti che sono da tempo considerati slegati dalla stagionalità: qualcuno per tradizione (stagione lunga o facile conservabilità), come cipolle o patate, qualcuno per moda o frequenza di utilizzo, e dunque di richiesta, come insalata o pomodori.
In genere cerco di sfruttare sempre le delizie del periodo, certamente meno costose, più saporite e più ricche dal punto di vista nutrizionale rispetto ai prodotti fuori stagione, ed utilizzo senza problemi anche ingredienti che, per storia e tradizione locale, ritengo "stagionalmente neutri".
Mi faccio invece qualche remora sulla seconda categoria dei "sovrastagionali", così come per altri prodotti decisamente "fuori stagione", almeno qui, tipo fragole o melanzane, la cui coltivazione in questo periodo penso sia decisamente forzata anche nelle zone climatiche più amene e solatie d'Italia.
C'erano però, al mercato, anche ortaggi "invernali" ma non autoctoni: daikon e taro, ad esempio, radici asiatiche ora coltivate anche in Italia. E poi il chayote, una zucca sudamericana che là si raccoglie a novembre e dicembre, e ovviamente anche banane e ananas, che fanno forse meno impressione perché da tempo diffusi anche da noi ma appartenenti alla stessa logica.
Per il daikon o per il bok choy, di cui negli ultimi anni è salita la richiesta un po' per la moda della cucina "orientale" e un po' per la crescita esponenziale delle comunità asiatiche nelle nostre città, immagino possible un destino simile a quello del kiwi, un tempo frutto "esotico" neozelandese qui sconosciuto fino agli anni '70 ed oggi considerato quasi autoctono, tanto da esserne i primi produttori al mondo.
E così è per tutti quegli ortaggi e frutti che possono trovare anche da noi condizioni favorevoli alla coltivazione in loco: in fondo quanti Italiani hanno fatto fortuna portando la coltivazione della vite in California, Cile, Sudafrica, Australia o Nuova Zelanda, tutti ora Paesi "neoproduttori" di vini? Ha un senso, magari non agricolo ma certamente sociale, pensare che sia questa la reale direzione della globalizzazione anche alimentare.
In quanto cultrice della gastronomia "estera" sono la prima a vivere una contraddizione: cucinando straniero o cenando nei ristoranti etnici che propongono specialità di ogni parte del mondo, di fatto consumo prodotti prevalentemente importati. Pertanto perseguo il "locale e stagionale" a modo tutto mio, cercando di rispettare la stagione del Paese di produzione, anche se è slegata da quella italiana.
I prodotti che utilizzo spesso non hanno in Italia possibilità di coltivazione ma sono reperibili qui come frutto di una "stagionalità dislocata", ovvero si raccolgono nella primavera ed estate dell'emisfero australe, quando da noi è inverno. Dunque rispettano la stagionalità locale ma per essere disponibili da noi necessitano di lunghi trasporti. E se il chayote può rappresentare una "voglia di pere cotte" (direbbe mio nonno*), la cosa non accade solo per specialità semisconosciute, di cui ci cibiamo solo io e le comunità latine emigrate in Italia...
Un esempio chiaro a tutti sono le banane, che sfido chiunque a considerare oramai un frutto "esotico", nonostante lo siano in tutto e per tutto. Kiwi e banane, insomma, sono due facce della stessa medaglia della stagionalità, solo che queste ultime sono, rispetto ad una visione eco-ambientale, meno "corrette". Esattamente come lo siamo noi Italiani quando esportiamo salumi, formaggi, vini ed altre nostre specialità. Come, appunto, i kiwi...
Rimanendo dunque nemica delle fragole a gennaio, perché qui dietro l'angolo crescono facilmente, basta aspettare la loro stagione, sono favorevole al fenomeno sociale di scambio culturale di sapori quando, attraverso meccanismi corretti, riesce a tradursi in allargamento di conoscenze agricole (o addirittura in scambio, come con kiwi versus viti...) o gastronomiche (a parte qualche fortunato nel sud della Sicilia, altrimenti, nessun Italiano potrebbe mai gustarsi una banana!).
La vera difficoltà "morale", in realtà, per me, sta nel determinare quanto questi processi di richiesta del nuovo siano un fenomeno culturalmente motivato da modifiche sociali strutturali (immigrazione, facilità dei viaggi, allargamento della cultura, evoluzione delle conoscenze nutrizionali, ecc) o quanto siano dovuti ad una moda effimera.
La stessa "voglia di pere cotte" che, di fronte al dilagare della moda di cocktail a base di menta fresca pestata, tipo l'oramai onnipresente mojito cubano (anche se, da tempi lontanissimi ed ancora non sospetti, io preferisco il mint julep!) ha fatto apparire in ogni stagione vaschette di steli di menta sugli scaffali dei supermercati.
Ne vedo un mazzetto fresco anche sul banco del mercato, vicino ad un mazzone di carciofi sardi favoloso. Prendo i carciofi, che sono "locali" e di stagione, penso a un koresh (stufato persiano) di ossibuchi che è la morte loro, e subito mi rendo conto perché mi è venuta in mente quella ricetta: il piatto prevede carne di manzo, cipolle, aglio, prezzemolo e spezie varie, ingredienti tutti "neutri" in quanto per me "sovra-stagionali". E poi, soprattutto, abbondante menta fresca.
Non sono un'esperta agricoltrice ma ho ben presente la piantina di menta nell'orto di mio padre: è perenne, vero, ma non è certo adesso che ci si può ricavare qualcosa! La menta fresca, fino a qualche anno fa d'inverno semplicemente sostituibile con quella secca, oggi sembra appartenere oramai alla categoria della "stagionalità dislocata" (se importata, o della "sovrastagionalità" se coltivata in serra in Italia) anche fuori dalla grande distribuzione.
Fatico, nella mia percezione, a considerare la menta "socialmente giustificata" come le banane.Forse solo perchè non è "sdoganata" da decenni... Però la compro, e ci cucino il koresh ai carciofi, che sul territorio iraniano trova tutti gli ingredienti nella stessa stagione. Il piatto risulta buono. La menta, che credo venisse dal Marocco, aveva un gran profumo, in effetti, ma decisamente poco gusto. Forse dovrei trarne una lezione, però al momento mi sfugge.
===
Per compensare questa lieve sensazione di "immoralità" della menta uso anche i gambi dei carciofi. Il koresh, piatto tipico di tradizione persiana che si prepara con pollo a pezzi o intero, con spezzatino o stinco di manzo o agnello o, appunto, con gli ossibuchi, a seconda della stagione, della zona e del gusto locale, vede assieme alla carne verdure ed aromi dei più disparati.In specifico questa stessa ricetta viene preparata indifferentemente con i carciofi e/o con i cardi, che dei carciofi sono parenti strettissimi: i carciofi sono un addomesticamento dei cardi ad opera dell'uomo. A maggior ragione, dunque ecco i gambi dei carciofi insieme ai loro fiori (già, perché questo sono botanicamente: fiori, spinosi ma eduli). E poi sono già in vena di puntare sugli scarti, come per la zuppa di cime di rapa dell'altro giorno.
In questo koresh ho sostituito curcuma e zafferano della ricetta tradizionale con advieh, un mix di spezie persiano adatto ai piatti di carne, in modo da "ingiallire" il meno possibile la preparazione. Ho lasciato tutto il colore ed il profumo di zafferano e curcuma al risotto con cui accompagno lo stufato.
Ci si dovrebbe servire il chelow, il riso persiano a vapore, per la verità, con il koresh, ma un bel risotto come si deve non si nega a nessun ossobuco...
Koresh-e kangar - Stufato persiano di ossibuchi con carciofi, menta e limone
ingredienti per 4 persone:
4 ossibuchi di manzo da c.a 350 g cad.
5 o 6 carciofi dal gambo lungo, c.a 1 kg in totale
1 limone (o 2 lime o, meglio,
4 cucchiai di ab ghureh, succo aspro di uva)
2 cipolle
6 rametti di menta fresca
2 rametti di prezzemolo
4 cucchiaini di advieh (qui misto di zafferano, cannella, cardamomo, cumino, noce moscata, petali di rosa, scorza di lime e semi di sesamo, tutto in polvere)
2 cucchiai di aceto bianco
1 cucchiaino di zucchero (superfluo se si usano lime o ab ghureh)
2 cucchiai di olio extravergine
sale
pepe nero al mulinello
risotto allo zafferano**, per accompagnare
Incidere la carne degli ossibuchi sui bordi in modo che non si arricci in cottura. Tritare fini le cipolle.
Scaldare l'olio in un ampio tegame, rosolarci la cipolla due minuti ed unire la carne, dorandola per bene su entrambi i lati.
Unire il mix di spezie, sale e pepe, quindi coprire con 300 ml di acqua, mescolando bene; appena bolle coprire, abbassare la fiamma e cuocere un'oretta, mescolando di tanto in tanto.
Nel frattempo riempire una ciotola d'acqua ed unire l'aceto; mondare i carciofi, tagliando i fiori in 6/8 spicchi ed i gambi, ben pelati con un pelapatate, a tocchetti di 4 cm, e immergendo tutto nell'acqua acidulata a mano a mano che vien pronto.
Unire carciofi e gambi ben scolati agli ossibuchi, spremere il limone nel tegame, unire lo zucchero, coprire di nuovo e cuocere un'altra quarantina di minuti.
Intanto tritare le foglie di 4 rametti di menta e del prezzemolo; unire il trito agli ossibuchi al momento di spegnere, mescolando bene e regolando di sale, se serve.
Distribuire la preparazione nei piatti e completare con un trito degli ultimi due rametti di menta, una spolverata di scorza di limone grattugiata e un'ultima macinata di pepe. Servire con il risotto fumante, a sua volta spolverizzato di menta fresca.
** Il risotto perfetto è questo, allo zafferano e arancia, tralasciando ovviamente bruss e caramello e aggiungendo un pizzico di curcuma al soffritto iniziale.
- rivoli affluenti:
- (* stralcio del detto popolare "alla dama che mangiava polletto venne voglia di pere cotte", a significare che non si è mai contenti di quello che si ha)
- un paio di esempi di altri koresh facili? Questo con zucca e melograno, molto tradizionale, oppure questi, con sedano e mandarini e alle cotogne
- "il" libro di riferimento per la cucina persiana tradizionale ed iraniana moderna per me è questo: Najmieh Batmanglij, New Food of Life. Ancient Persian and Modern Iranian Cooking and Cerimonies, Mage Publishers, ISBN 0-934211-34-5.
Spesso vorrei scrivere: questa lo faccio, questa la provo ma poi mi sembrerebbe di sminuire la ricetta perchè, e questo te lo scrivono tutte/i, per cucinare ciò che fai tu bisogna anche immergersi in una certa epoca, spostarsi nei vari paesi del mondo, sapere cosa e come. Ricordo che l'avevo fatto, col tuo kaki age, anzi, tra non molto lo riposto, mi era piaciuto un sacco avvolgermi in quella nube di pace e silenzio. Ciao Annalena <3
RispondiEliminac'è sempre così tanto da imparare dai tuoi meravigliosi post...che io resto sempre in modalità: meravigliata! Grazie per questo! :)
RispondiElimina@libera: quando al kakiage qualcuno si era lamentato della frittura secondo me non aveva letto bene il reale tema della proposta. E l'armonia del silenzio, quelal che ti permette di ascoltare gli ingredienti quando ti raccontano come vogliono stare bene inseme e perchè... è il vero segreto della cucina di ogni luogo e tempo. Sono i piccoli tesori che restano preziosi, una volta scoperti.
RispondiElimina@ilaria: attiva invece la modalità "ci provo"... secondo me alla fine ti soddisfa di più! ;-)
...tu sapessi quanto è lunga la mia to do list...ma qualcosa provo anch'io dai...soltanto che è nulla rispetto al mio lunghissimo elenco, che si allunga ogni giorno di più... :) pensa che la tua sfida del kakiage l'ho scoperta pochi giorni fà...e solo lì mi si è aperto un mondo :)))
Elimina;-)
EliminaGrazie per averci portato a rilassarvi, il vostro sito è meraviglioso, io sono tutti i giorni e lo vedo non tanto alla fine ci sono novità.
RispondiEliminaGrazie a darci tanta felicità!
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