Le due giudici non sanno quanto questa sfida di ottobre per l'MTChallenge n. 68 sui Cannoli di sfoglia, sia intrinsecamente legata alla dedica che Francesca del blog 121 gradi, vuole sia parte della ricetta da preparare per lei questo mese!
Prima puntata: scopro il tema mentre sul tram e mi appassiono a ciò che vedo nel telefonino. Io non sono una da dolci, questo si sa, ma la sfida dell'MTC sta proprio nel misurarsi con i propri limiti e qui ho da superarne di pazzeschi! Se con i profiteroles, i croissant o l'apple pie ero andata sul salato, se con la frangipane, i biscotti e perfino con il tiramisù avevo astutamente cercato di schivare il più possibile le note zuccherose, questa volta voglio mettermi in gioco fino in fondo senza svicolare: "ingredienti classicamente dolci" è la mia sfida nella sfida.
I cannoli piemontesi di sfoglia alla crema pasticcera, che per la verità in casa abbiamo sempre chiamato semplicemente "cannoncini" (e così continuerò a chiamarli per tutto il post, per mera questione affettiva), sono un classico della mia infanzia: apparivano insieme a beignet, crostatine alla frutta e diplomatici sul cabaret delle paste che si acquistava qualche rara volta la domenica, quando si andava a messa in centro e si faceva tappa in una piccola bottega pasticcera molto amata dai miei genitori. Un cabaret di paste formato mignon, ovviamente, che quelle grandi per i bambini sono troppo.
Sinceramente non sono mai impazzita per nessuna di quelle pastarelle, fino a che una domenica mio padre non scelse una nuova torta, che nell'arco di qualche mese divenne poi la specialità della bottega: un cannoncino gigante farcito di panna montata, meringa e marron glacé, da servire a fette. Subito in famiglia fu ribattezzato il cannoncione ed è il solo motivo al mondo per cui ogni tanto insistevo che i genitori entrassero in una pasticceria!
Panna montata meringa e marroni, infatti, erano gli ingredienti dell'unico dolce della mia infanzia per cui sono sempre impazzita, i vermisei ticinesi (di cui avevo già parlato qui), parenti dialettali ticinesi di quei vermicelles che entrano nel classico Montblanc di castagne francese.
In realtà adoravo anche i marron glacé, ma se ne vedeva qualcuno in casa solo al compleanno di mia madre, che ne faceva una malattia. Per questo la prima ispirazione da cannoncino sgorga spontanea come dedica ai miei genitori, che ringrazio di avermi cresciuta golosa di salato a parte l'abbinamento panna+castagne (nordico ed autunnale come il mio spirito, sarà anche che son nata a settembre...).
Ovviamente si ruota attorno a quei due ingredienti, protagonisti del cannoncione e dei vermisei della mia infanzia, nonché al tocco gentile delle violette candite, quelle vere: allora donavano alla scatoletta di marron glacé un'eleganza da Belle Epoque ed ora ingentiliscono la sfoglia dei miei cannoncini, a compensare la "rusticità" della mia crema, tutta ispirata alla spontaneità familiare.
Il dettaglio infatti che rende molto "mia" l'accoppiata cannolesca di castagne e panna è che non parto da marroni lessati o glassati ma dalle familiarissime caldarroste: ad ottobre almeno una domenica era dedicata alla castagnata; ci si trovava, a volte con amici a volte solo in famiglia, a raccogliere castagne nei boschi vicino a casa e le si cuoceva poi sul grande camino al centro della casa dei miei.
Una volta levate dal fuoco, le si faceva riposare con foglie di alloro e una presina di sale grosso dentro uno telo bagnato di vino, perché si ammorbidissero e si profumassero, e poi ci si anneriva le dita per sbucciarle e gustarsele ancora calde.
E allora caldarroste rifinite in vino e alloro, e panna montata al posto di qualsiasi altra base cremosa. E poi la finezza delle violette (queste vengono dalla pasticceria Gay Odin di Napoli, quindi mi legano pure alla mia famiglia attuale) per dei cannoncini dall'animo rustico-elegante, e pure una tovaglia ricamata di paglia e lustrini, su cui servirli alla mia avvolgente famiglia...
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Ora veniamo alla seconda puntata, ovvero alla parte tragica della storia: nel volere una coppia di cannoncini con storie e gusti anche disgiunti, le giudici non si sono rese conto della situazione in cui mi hanno cacciata. Scendo dal tram tutta sulle nuvole, i pensieri persi nell'immaginarmi un secondo cannoncino dedicato all'essere che mi sta a fianco. E' di origini napoletane ma goloso del mondo, il che mi apriva immense prospettive, tanto da tentarmi forse anche a rivedere il superclassico dei genitori...La testa completamente persa, appunto, tra sfoglie e creme dedicabili ad un curioso goloso globale, entro in un luogo pieno di delicate meraviglie dimenticandomi di collegarla (la testa) alle mani. Le quali posano la borsa e per rimirarlo sollevano un vaso antico. Senza rendersi conto di come questo fosse formato da due parti separate.
In un attimo, chissà come, una metà del vaso sta ancora nelle mie mani e l'altra è frantumata a terra. E le porcellane più sono antiche, si sa, più rompendosi si polverizzano proprio... altro che "rimettere insieme i cocci"!
La dedica quindi va, non per affetto ma per gratitudine, inevitabile e dovutissima, al proprietario del vaso, a quel sant'uomo che nell'arco di un secondo ha visto ridurre a un decimo la bellezza compiuta (e pure il valore economico) di un oggetto a cui teneva molto, che nell'immediato ha cercato di dissimulare lo sconcerto invitandomi a raccogliere i pezzi ancora riconoscibili senza cambiare il tono della voce e che se ne è poi gentilmente andato in un'altra stanza a cercare un inutilissimo tubetto di colla, credo solo per evitare di strangolarmi.
la (piccola) parte dei cocci meno frantumata... sigh! |
Detto fatto: l'avrei invitato ad una cena a tema nipponico ma, soprattutto, per dessert avrei sfornato dei cannoncini alle giuggiole in stile giapponese a qualsiasi costo e sarebbero stati tutti per lui!
Le giuggiole sono un frutto purtroppo dimenticato: quando sono più acerbe la loro polpa è soda e croccante, dal sapore fresco vagamente simile alla mela; più mature diventano invece dolci e farinose, finendo per ricordare un po gli aromi del dattero fresco. Essiccate, infine, ricordano veramente i datteri più dolci, tanto che il nome inglese jujube viene spesso tralasciato a favore del più comune red date.
Risparmio il racconto delle peripezie per procurarmele o facciamo notte. Sta di fatto che, consigliate con formaggio e con cioccolato nella gastronomia occidentale, ovviamente (e te pareva?!) hanno una antica tradizione anche in Oriente, il che giocava solo a favore della mia cena semijap di scuse! In Cina si chiamano hongzao e in Giappone koso... il che mi divertiva molto perché pensavo a quando avrei detto, offrendolo:"Prendi: è un cannolo ripieno di coso!"
Come noi di solito vediamo i datteri farciti con pasta di mandorle, lì le giuggiole essiccate si riempiono con una pasta a base di riso glutinoso mochigome (nuomi gao in cinese), che molti golosi conoscono perché si usa per preparare l'impasto per i dolcetti mochi giapponesi. Poi si cuoce tutto a vapore ed il risultato è questo, gli shindai ran (in giapponese letteralmente "letto caotico", ma di chiara derivazione dal cinese xing tai ran, che significa molto più comprensibilmente "donna dal cuore tenero").
Vengono serviti di solito appena fatti, caldi o ancor meglio tiepidi, e come bocconcino sfizioso o antipastino più che come dessert. Ora: io so benissssssssimo che il principio di questo dolcetto non ha nulla a che fare con le basi della pasticceria mitteleuropeo-torinese da cui il cannoncino parte... Indipendentemente da come io possa trattare le giuggiole, la raffinata delicatezza di questa crema di riso al vapore non legherà mai con una personalità forte e burrosa come quella della sfoglia!
Non che in Giappone la pasticceria di matrice europea non sia conosciuta, ma il concetto di cannoncino è abbastanza confuso: si chiamano infatti korone (dal francese corne, corno) sia i rotolini di sfoglia (che per loro però è di origine danese) farciti, di solito con anko (marmellata di fagioli azuki) e panna o di crema pasticcera al tè matcha,
che quelli che quelli di pan brioche, di solito ripieni di crema al cioccolato o alla vaniglia.
In un Paese senza tradizioni dolciarie destinate ad un consumo di massa, l'arte della panetteria e della pasticceria sono da qualche anno due dei miti europei dal successo più clamoroso, nella percezione locale decisamente sovrapposti sia come origini geografiche che come logiche di base.
Il loro modo di adattare i dolci di tradizione europea ed americana alla loro mentalità è degno di uno studio socologico di tutto rispetto, e se torniamo ai cannoli "giapponesi" è per scoprire che, nel farcire qualcosa di dolce e croccante, là si usano o creme collaudate dalla tradizione occidentale o loro piccole varianti.
L'anko infatti assomiglia molto come sapore e consistenza alla nostra crema di castagne: abbinarlo alla panna montata è per loro rivoluzionario, per noi quasi scontato, mentre la crema al tè matcha è quasi più destinata ai turisti e ai ragazzini che al gusto di un Giapponese medio, il quale fa però follie per le creme dolci all'uovo e per il cioccolato in tutte le sue versioni, entrambi sapori per lui decisamente "esotici".
In questo senso devo ricondurre le mie giuggiole su sentieri giapponesi più ibridi. E il paragone con i datteri mi aiuta: se rinuncio alla classica pestatura del riso per avere i mochi tradizionali, penso a farina di riso e ne sostituisco parte con farina di mandorle, ecco che ottengo un aroma compatibile sia con le giuggiole che con le sfoglia (...che con il riso!), e lo scoglio più grosso è superato.
La farina di riso, oltre a citare i sapori nipponici, serve anche come addensante, visto che la cottura non avviene più a vapore ma sul fornello, un po' sulla falsariga di un gelu i minnule siciliano. Il mix di giuggiole fresche ed essiccate fornisce acidità e dolcezza ad una crema altrimenti molto delicata, la sferza dello zenzero risveglia la sfoglia e la tostatura delle mandorle avvicina divinamente guscio e farcitura.
E anche qui tovaglia con ricamo rustico/elegante, e i cannoncini dentro il masu di cipresso o cedro, la antica unità misura per una porzione di riso perfetta anche come bicchiere da sakè... per brindare con l'ospite/santo di questa serata riparatrice: Kanpai!
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Ma eccoci alla parte pratica: la sfoglia è rigorosamente quella proposta da Francesca, che aromatizzo in due modi diversi ma delle cui dosi e procedimento non cambio una virgola (salvo spezzettare la preparazione allungando i tempi di riposo per necessità pratiche, ma questo ha poca importanza). Anche per la forma sto sul classico perché io di pasticceria non ne so quasi nulla: meglio che impari per bene le basi prima di mettermi a destrutturare! E allora vado per entrambe le ispirazioni di cannoncino cilindrico, come da stampini che ho in casa.E che ci fai di caccavelle simili, uno (in specifico l'essere) si chiede, visto che non ami i dolci? Be', ovviamente li uso da sempre per mignon di sfoglia in versione rigorosamente salata, che domande!
Ma torniamo seri: Francesca suggeriva di pennellare l'interno dei cannoli con cioccolato o burro di cacao prima di farcirli per isolare la sfoglia dalla crema ed evitare che il guscio si ammosci durante il trasporto. Dopo aver vissuto l'esperienza della pasticceria di Milano a monotema cannoncini, dove li farciscono rigorosamente all'ultimo, decido di seguire quella via. Così, in entrambi i casi, arrivo dai miei ospiti con vassoio di cannoncini in una mano e tasca di crema nell'altra.
In famiglia ovviamente è stata un'ovazione, non tanto ai miei dolcetti in sè quanto a tutte le memorie condivise che hanno portato a galla. Per quanto riguarda invece la visita dell'altro ospite... non dico che mi ha perdonato del tutto, ma con questo show della farcitura sento di essere su una buona strada!
Cannoncini alle violette con crema di caldarroste al vino e alloro
ingredienti per la sfoglia, dosi per circa 50 cannoncini mignon:
per il panetto di burro
175 g di burro
75 g di farina 00
per il pastello di farina
175 g di farina 00 (più una manciata per la lavorazione)
5 g di sale
5 g di malto in polvere
30 g di vino bianco secco freddo
2 violette candite
per la finitura
1/2 uovo
? g di zucchero a velo
per la crema di caldarroste, dosi per una quarantina scarsa di cannoli ben farciti:
360 g di marroni,
250 ml di panna fresca
200 ml di vino bianco
10 g zucchero
1 piccola foglia di alloro
1 fetta di arancia
per il decoro:
una manciata di violette candite
Per la sfoglia intridere il burro del panetto, freddo di frigo, con la farina, lavorando brevemente per ottenere una massa omogenea e plastica. Modellare in un panetto sottile e rettangolare e tenere in frigo avvolto in carta forno per 1 ora e mezza (io due e mezza).
Intanto per il pastello tritare finissimamente le violette; portare ad ebollizione 40 g di acqua, versarvi le violette e lasciare in infusione fino a che l'acqua è fredda. Filtrare con garza fine, misurarne 25 g e tenere in frigo fino all'usi.
Setacciare la farina con il malto; sciogliere il sale in acqua e vino. Unire la farina ai liquidi, alla polvere di violette e al burro e lavorare tutto insieme (io in planetaria con gancio), anche qui brevemente, fino a che si forma una massa unica e compatta, non importa se non perfettamente omogenea.
Far riposare in frigo avvolto in pellicola per 30 minuti (io due ore e dieci), quindi levare sia il panetto che il pastello dal frigo. Stendere il panetto con il matterello tra due fogli di carta forno in un rettangolo spesso circa 5 mm e stendere il pastello sulla spianatoia appena infarinata in una sfoglia rettangolare sottile, larga il doppio volte il panetto e appena più lungo.
Disporre il panetto sopra il pastello, ripiegare verso il centro i due lembi sporgenti, quindi stendere con il matterello (prima premere sulle estremità per sigillare, poi appiattire il centro), piegare i due lati corti uno sopra l'altro al centro, per ottenere un panetto a tre strati.
Stendere con il matterello e piegare ora in quattro strati, portando verso il centro i lembi di cui uno aperto e poi piegando il tutto in due a libro.
Mettere in frigo in pellicola per 45 minuti, poi ristendere e ripetere la "coppia di giri", il primo a tre e il secondo a quattro, con un intervallo di frigo di 20-30 minuti; ristendere e ripetere i due giri a tre e a quattro, quindi lasciare in frigo almeno un'ora, ma meglio tutta la notte (io nove ore). La sfoglia è così pronta da stendere e cuocere.
Per i cannoncini stendere la sfoglia ad uno spessore uniforme di circa 3 mm, quindi tagliarla a strisce da 1 cm circa x 18 cm.
Avvolgerne una su ogni cannolo di latta, sovrapponendole leggermente sui bordi. Adagiare su una placca rivestita di carta forno o con tappetino di silicone e tenere in frigo 15 minuti. Intanto accendere il forno statico a 190 °C e sbattere l'uovo.
Spennellare i cannoncini con l'uovo, spolverizzarli di zucchero a velo
e cuocere per circa 15-20 minuti. Lasciar freddare su una gratella e sformare i cannoncini con una lieve pressione.
Per la crema di caldarroste incidere i marroni e metterli in una padella di ferro (l'ideale è quella forata sopra il fuoco di legna, ma accontentiamoci); saltarli sopra fuoco vivace muovendo continuamente il tegame fino a che i marroni hanno la polpa gonfia e morbida, che apre la pelle e profuma di tostato.
Avvolgerli in un telo inumidito e sbucciarli con cura ancora roventi; spezzettarli grossolanamente e versarli in un pentolino con il vino, l'alloro, lo zucchero e 200 ml di acqua. Cuocere coperto a fuoco medio per un'ora abbondante, fino a che la polpa dei marroni è ridotta in crema ed il fondo si è asciugato.
Eliminare l'alloro, passare i marroni allo schiacciapatate (o frullare, se si vuole una crema liscissima), quindi lasciar freddare. Poco prima di farcire i cannoncini montare la panna fredda e incorporarla delicatamente ai marroni.
Farcire i cannoncini di sfoglia, decorare la cima della crema con un petalo di violetta candita e servire.
...
Cannoncini allo zenzero con crema di giuggiole koso, riso e mandorle tostate
per la sfoglia e la finitura:
tutto come sopra per ingredienti e procedimento, ovviamente senza le violette, che vanno sotituite, nella procedura di infusione, con mezzo cucchiaino di zenzero fresco grattugiato finissimo.
I passaggi di lavorazione della sfoglia restano comunque sono questi, magistralmente illustrati dalla Dani:
per la crema di giuggiole, dosi per circa 60 cannoli:
400 g di giuggiole fresche
400 g di giuggiole essiccate
400 g di farina di mandorle
120 g di farina di riso
140 g di zucchero
1 cubetto da 3 cm di zenzero fresco
Per la composta di giuggiole snocciolare i frutti secchi e freschi, coprirli a filo di acqua, unire 60 g di zucchero e cuocere a fuoco bassissimo fino a che la frutta è molto morbida.
Levare una dozzina di mezzi frutti tra quelli rimasti più sodi (serviranno per la decorazione) e passare il resto al setaccio per eliminare le bucce. Se serve cuocere qualche altro minuto, fino a che la composta è densa a sufficienza.
Preparare il latte di mandorla mescolando la farina di mandorle con 2 l di acqua, lasciando riposare una mezz'oretta e poi scolando in uno telo a maglia fine, che va strizzato strettamente per "mungere" più liquido possibile.
Stemperare la farina di riso in poco latte di mandorle per cerare una pastella senza grumi. Unire il resto del latte di mandorle, 80 g di zucchero e lo zenzero pestato, in modo che rilasci il suo aroma ma poi sia facilmente eliminabile.
Scaldare a fuoco bassissimo, mescolando sempre, fino a che la crema appena sobbolle. Cuocere un minuto, quindi spegnere e levare lo zenzero.
Tostare a secco metà della farina di mandole rimasta nel telo, fino a che è leggermente dorata. Ci vorrà un po' di attenzione e di pazienza perché è molto umida.
Miscelare infine la crema di riso con la composta di giuggiole e la farina di mandorle tostata; se non si usa subito, conservare in frigo.
(vietato far caso alla ciotola sporca... era l'alba ed ero di fretta!) |
Farcire i cannoncini, decorare con una fettina di giuggiola cotta e servire.
- rivoli affluenti:
- la foto del cannoncione presa in rete perché il laboratorio di Varese non ha ne' sito ne' pagina facebook e non ho modo di andarci di persona entro i tempi dell'MTC (forse commetto una scorrettezza perché l'ho ritagliata e non cito la fonte, ma non mi va di fare pubblicità ad altri, visto che non ne faccio nemmeno al pasticcere di Varese...)
- la foro dei vermisei è presa dal sito del ristorantino interno al supermercato in cui mia madre ce li faceva assaggiare, questo, perché li servivano proprio così, nella coppetta di carta!
- la foto degli shindai ran è presa da qui
- le foto dei korone sono prese da qui e qui
- le migliori ricette dei cannoncini restano quelle degli altri sfidanti dell'MTC, tutte qui!
Complimenti, per i gusti splendidamente abbinati, per il post esaustivo e ben scritto.
RispondiEliminaIn una parola: eccezionale.
diciamo che ultimamente sei favorevole alle cose lunghe...
EliminaChe bello hai utilizzato le giuggiole. Qui a Milano non ci sono ed io da qualche anno le raccolgo sul mio balcone, ho preso una spinosissima pianta ad Arqua Petrarca che mi da grandi soddisfazioni. L'abbinamento che hai creato per farcire i cannoncini mi piace proprio.
RispondiEliminainfatti Rossella anche le mie vengono da un giardino privato. Peccato che si perdano certi sapori per strada, però.
EliminaUhh.. post lunghissimo ma piacevole 😀 sarai una nordica, ma dal cuorecaldo, visti i tuoi gusti culinari 💖 cannoncini bellissimi!
RispondiEliminaGrazie Giulia, questa storia del cuore caldo mi piace un sacco!
RispondiEliminaE in un momento sono intorno al camino, ho 8,al massimo 10 anni.
RispondiEliminaIl mio babbo appoggia sul tavolo un asciughino bianco a quadrettoni rossi, io e mio fratello battibecchiamo come sempre, voliamo entrambi la prima caldarrosta sbucciata dal babbo. C'è ancora la mamma, fuori è freddo è tutto così bello e siamo felici. Poco dopo sono in un campo, ho le maniche lunghe perchè inizia ad essere più fresca l'aria, sempre il babbo mi da da assaggiare la polpa di piccoli frutti, mi sembrano piccole mele, un pò rinsecchite, e invece sono dolcissime e impastano la bocca. Altro giro, me ne sto in una sala in cui mi vengono serviti dei cannoncini di pasta sfoglia, sono ripieni di due creme che mai sarei riuscita ad immaginare, con dei gusti che ho appena ripescato da in fondo ala gola, dove tocca il cuore. il mio viaggio prosegue in terre dai sapori e dalle consistenze che conosco solo miseramente ma catturano la mia attenzione e si conclude sul divano di casa mia a cercare di capire fino in fondo tutto il grande lavoro di sensibilità culinaria che hai fatto. Grazie Annalena donna bionica
Grazie a te Francesca per la voglia di legare i cannoli della tua sfida a delle emozioni. Cocci a parte, naturalmente!
Eliminaio ti avrei spiezzata in due e poi frantumata in modo lento e sistematico. succhiandomi i cannoli alla giuggiola, nel mentre :)
RispondiEliminaSenti, ormai sei un appuntamento irrinunciabile (da sempre, ma da quando vivo qui molto più consapevole e godurioso) e le cose che ci accomunano sono sempre di più. Stavolta ci mettiamo le castagne, in tutte le salse, caldarroste comprese. E le paste della domenica, l'assalto ai cannoli (e ai cavolini, nel nostro caso, bignè ripieni di panna montata, una roba che non immagini), le caldarroste e la bellezza di un autunno che mi manca ma che qui ha giusto il sapore di quei ripieni che ricordano le castagne e che farciscono le Moon Cake e gli altri dolcetti delle feste di mezza estate. Adoro queste ricette, adoro questo post, adoro te. Anche se rompi i vasi :)
I bigné ripieni di panna erano gli unici che mi piacevano un po', a forma tonda o tagliati a cigno. Altroché se immagino...
EliminaSe vuoi recuperare un po' di senso dell'autunno "orientale" leggiti il post di oggi, tra una mezz'oretta su questi schermi. Poi ne parliamo.
PS: ringrazio entrambe le giudici di aver sorvolato sulla mia sfoglia nei loro commenti!