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creme e capestante tra Scozia e Stati Uniti: il Rusty Nail, le sue cause e le sue conseguenze


Sono cresciuta in una famiglia che usa dare soprannomi ai cocktail. Il che la dice lunga su alcune mie caratteristiche di adulta, suppongo!

Ma andiamo con ordine: il nome classico del cocktail che preparo oggi, a base di whisky e Drambuie, è Rusty Nail, ma noi in famiglia lo abbiamo sempre chiamato Infradito, vai poi a sapere perchè.



La storia del cocktail è lunga, parte da condottieri gaelici e passa dai contrabbandieri canadesi per approdare a Frank Sinatra e, per chi ha pazienza, tra poco la racconto, appena entro nel vivo della sfida 69 dell 'MTChallenge, quella sulla Cucina Alcolica proposta (e te pareva!) da Giulia di Alterkitchen.

Il soprannome di famiglia, invece, nasce spontaneo. C'è l'abitudine tra di noi, dicevo, di dare ai cocktail preferiti dei soprannomi. Forse perché li sentiamo un po' parenti, li vogliamo parte dell'enclave insomma, o forse perchè di fronte ad ospiti ci piace usare un gergo che ci faccia sentire speciali. Chi lo sa...

Tutto nasce da un regalo che noi figlie appena maggiorenni facemmo a nostro padre per il suo cinquantesimo compleanno: il manuale con i 50 (allora) cocktail certificati IBA.



In casa subito un mobile si svuotò di tovaglie e si riempì di jigger, shaker, strainer, bicchieri tumbler e highball, coppe da martini e pure cilindri da pousse cafè, e la credenza delle grappe si allargò ad accogliere liquori e distillati di tutte le sorte e ogni possibile ingrediente da cocktail: la "miscelomania" si era impossessata della casa! L'unica a mancare a quei tempi era la bottiglia del Galliano, troppo alta per qualsiasi stipo domestico, ma per il resto c'era di tutto: sembrava di stare all'American Bar del Savoy della Londra!

Qualche rimasuglio di bottiglia di quella follia familiare anni '80 resiste ancora, nel fatidico (ribattezzato) "mobile bar". Le sue ante oramai si aprono solo di rado, vista l'età dei genitori e la quantità media di bambini che popola le nostre riunioni familiari, ed il quaderno che raccoglie le ricette dei cocktail fantasia sperimentati ed inventati dalla famiglia è tutto un po' ingiallito. 

Tre alcolici però hanno resistito, nello stipo: 
1) la grappa autoprodotta, che mio padre continua a distillare in casa partendo dall'uva del pergolato (e che l'anno scorso ha barricato, in previsione di una grappa ambrata da inaugurare questo Natale... il regalo preferito sotto il mio albero!)



2) uno Scotch, che può variare per marca ed invecchiamento ma è sempre presente, funzionale a...
3)  la vera amica di famiglia, la bottiglia del Drambuie, altro immancabile regalo natalizio paterno, perché non sia mai che noi figli ci si trovi senza quando si ha voglia di un Infradito!

Altri cocktail sono stati degni di soprannome in casa nostra, dal Between the Sheets che è diventato Quattro Passi, al Bronx trasformato in Il Solito, al Monkey Gland ridotto a puro Monkey, per dire. Non so perché alla fine come eletto per eccellenza sia rimasto solo il Rusty Nail/Infradito. Tra l'altro per un lungo periodo, in parallelo agli esperimenti gastronomici, mi sono dilettata pure io ad inventare miscele nuove dai nomi stranamente ispirati ed in famiglia sono diventati altrettanto "classici".

Fino a che non è entrato in famiglia (e ci è rimasto per 10 lunghi anni) un barman professionista AIBES... e la mia vita da dilettante ha avuto un deciso stop: quando ho cominciato a bere davvero bene ho lasciato volentieri shaker e mixing glass in mani più abili delle mie e mi sono goduta lo spettacolo, sorbendone i risultati e, naturalmente, prendendo chilometri di appunti!

Ho insomma sviluppato una passione per il bere miscelato già da ragazza, passione che è stata alimentata dal mestiere di chi girava per casa e rafforzata poi da esperienze successive con cui no sto ora a tediare (se ne trova traccia comunque nell'articolo Vita da Barman, pubblicato su MTC pochi giorni fa). 

Così mi trovo davanti a questa sfida con il cuore diviso tra i vari cocktail che hanno segnato le fasi della mia vita: Alexander, Mint Julep, Flaming Lamborghini, Cocktail Champagne... Divertente come in ognuno possa ora riconoscere il capostipite di un bere nel frattempo divenuto tendenza: Baileys e cremosi affini, Mojito con Daiquiri e parentame vario, cocktail da spettacolo, stupidità sparkling per "bere leggero"...

Sono attaccata al passato, in questo campo: apprezzo l'evoluzione ma mi irritano le mode ottuse, nate e seguite senza conoscere le origini e le ragioni di certi abbinamenti. Adoro un bartender di Milano che si crea miscele con ingredienti come lemon grass o sakè (ingredienti visti a Londra 10 anni fa ma va bene, purché le idee prima o poi arrivino anche qui), mentre non riesco a sopportare chi dietro il bancone fa il giocoliere e poi nel bicchiere ti versa dei premix di prodotti scadenti, con tanto ghiaccio, erbe e decorazioni fighe a nascondere l'inutilità del suo lavoro.

Il mio genere di cocktail, comunque, crescendo, è diventato sempre più l'after dinner. E' raramente servito nei baretti di tendenza odierna, che non sono dunque obbligata a frequentare: questo bere è tranquillamente sorseggiabile nella calma di locali poco affollati e dalla musica discreta, come pure è godibilissimo anche semplicemente a casa, volendo tranquillamente in solitaria, sprofondati in poltrona, luci basse e mondo chiuso fuori. Eh, i piccoli piaceri dell'età avanzata...

Per questo alla fine, probabilmente, ho scelto il Rusty Nail: in fondo raccoglie il divertimento del soprannome familiare, l'affetto per quella me stessa che, tra esperimenti e appunti, scopriva poco per volta la raffinatezza nella semplicità, e racconta la qualità indiscutibile di un cocktail classico, poco di moda qui e adesso ma equilibratissimo (soprattutto per me che amo più il whisky degli ora tanto celebrati rum o vodka). Ed è, ovviamente, un after dinner.



Ora: interpretare in cucina una miscela di Scotch whisky (IBA dice 4,5 parti, la mia famiglia 4) e Drambuie (per IBA 2,5 e per noi 2) versati on the rocks in un tumbler con il solo profumo di una scorzetta di limone strizzata sopra il bicchiere (IBA la tuffa nel cocktail invece) da i suoi grattacapi: le differenze tra i due liquori sono sottilissime e renderle evidenti senza esagerare da una parte e senza appiattirsi dall'altra è una sfida ardua.

Molti sanno che lo Scotch è un whisky ovvero, per i puristi, malto d'orzo fermentato con acqua scozzese e lieviti naturali, poi distillato e infine lasciato maturare in botte per minimo tre anni prima dell'imbottigliamento. L'invenzione del whisky (attenzione alla grafia, che il whiskey con la "e" è irlandese o americano) è contesa tra Scozzesi ed Irlandesi ma in ogni caso si parla di tradizioni che hanno origine nel XV secolo.

Non tutti invece conoscono ed apprezzano il Drambuie, che, per semplificare, è un'infusione di whisky invecchiato con miele di brugo (una varietà di erica) e spezie. 



La leggenda vuole che nel 1746 il principe giacobita Carlo Edoardo Stuart, sconfitto nella battaglia di Culloden con cui voleva per riportare il trono alla sua casata, fosse inseguito dai nemici e venisse aiutato nella fuga verso nord dal clan scozzese dei MacKinnon.

Ritratto del principe dipinto da John Pettie
In ringraziamento lasciò loro in dono la ricetta di un suo personale elisir, che in gaelico si chiamava an dram buidheach, "la bevanda che soddisfa". Il nome fu accorciato in Drambuie quando nel 1873 se ne cominciò la produzione allargata, dapprima come specialità di un hotel della zona e poi, dal 1914, come una vera e propria fabbrica a marchio registrato, oggi tuttora proprietaria della ricetta, del marchio e del merchandising.


bicchiere da drambuie
Prima bevanda alcolica ad essere ammessa alla Casa dei Lord nel 1916, fu subito apprezzata tanto da essere esportata con grande successo negli Stati Uniti. Con il proibizionismo ne fu ovviamente vietato il consumo, ma piaceva talmente che continuava ad arrivare in America attraverso contrabbandieri passando dal Canada e veniva servito negli speakeasy, quei locali clandestini di cui avevamo già parlato qui ai tempi dei finger food di Mai.


In quel periodo i barman si resero conto che il Drambuie era perfetto da miscelare ai rustici whiskey delle distillerie clandestine americane perché ne ammorbidiva i toni più grezzi, e così nacque l'antenato del Rusty Nail, consacrato poi nella sua versione definitiva negli anni '60, quando divenne il cocktail preferito di un gruppo di vip amici tra loro, il "branco di topi" (rat pack) composto, tra gli altri, da Frank Sinatra, Dean Martin e Sammy Davis jr.



Ne parlo perché, dato l'equilibrio sottilissimo del cocktail, i concetti da cui sono partita per trasformare il Rusty Nail in un piatto sono due: uno storico e uno organolettico. Da una parte ho pensato alla sua storia geografica, che vede due prodotti assolutamente scozzesi unirsi in un matrimonio che un vero gaelico delle Highlands non si sarebbe mai sognato: che senso ha, credo avrebbero pensato nell'antico clan, mescolare un buon whisky puro ad un altro buon whisky aromatizzato?! 

D'altro canto gli Americani hanno ideato questa accoppiata nei bassifondi e l'hanno poi celebrata con grande nobiltà non appena tornati legalmente in circolo prodotti di buona qualità. Quindi la mentalità della mia ricetta deve essere in parte scozzese e tradizionale e naturalmente ariosa, in parte americana e informale e cittadina.



L'altro filo conduttore riunisce le caratteristiche organolettiche: sapori, colori e profumi. E per il colore parto dal nome ufficiale Rusty Nail, che significa "chiodo arrugginito": dalla fine del proibizionismo in poi il cocktail fu chiamato in modi molto diversi (BIF, D&S, Little Club n.1, Mig 21, Knucklehead...), fino a che nel 1963 Gina MacKinnon, produttrice del Drambuie (MacKinnon...sì, la casata è parente di quell'antico clan che salvò il principe!), dichiarò sul New York Times quale fosse il nome che preferiva, cosa che ne costituì il battesimo ufficiale.

Si dice che fosse stato inventato dato da un barman scozzese impiegato al Club 21 di Manhattan che, per dispetto ad un cliente maleducato, gli miscelò il cocktail con un chiodo arrugginito sostenendo che fosse quella la prassi corretta. In verità la storia è un po' dubbia: uno scozzese non avrebbe mai mancato così di rispetto a dei prodotti della sua terra! 

Il colore rugginoso del cocktail, comunque, è dato non solo dalla doratura assunta dal whisky con l'invecchiamento, ma anche dalle spezie infuse nel Drambuie, la cui miscela ricorda molto lo Hot Toddy, bevanda invernale tipica degli Scottish pub (e pure delle nonne scozzesi, che la preparano per combattere i raffreddori!).


Lo Hot Toddy si prepara con acqua bollente addizionata di qualche cucchiaio di whisky, succo di limone e spezie miste dalle supposte proprietà medicinali; ogni pub (e ogni nonna) ha la sua miscela, ma non manca mai il chiodo di garofano. La formula del Drambuie è ovviamente segreta, ma sono stati confermati i chiodi di garofano, erbe varie e, specificamente per il suo potere colorante, è certo che contenga anche dello zafferano. 

Ecco come sapori, colori e profumi forniscono i mattoni essenziali per costruire il mio piatto secondo un progetto dettato dalle logiche bi-culturali di cui sopra, per cui gli ingredienti derivati dal cocktail sono, oltre a whisky e Drambuie, anche orzo*, miele, limone, rosmarino (in rappresentanza delle erbe segrete), zafferano e garofano.

Intanto per ristabilire parità di provenienze e pure rimescolarle non utilizzo Scotch ma Bourbon, ovvero whiskey di produzione americana, nello specifico Jim Beam, che è a base di granturco e segale, oltre che di malto d'orzo. Viene prodotto dalla stessa famiglia in Kentucky dal 1795 ed io ne ho una bottiglia "d'epoca", prodotta prima che la compagnia venisse rilevata da Suntory. Morbido e rotondo, dal marcato profumo di malto, nel centellinarlo ho pensato che fosse perfetto non solo nel mio cocktail del cuore ma anche, per questa sfida, nella ricetta che lo abbina al raffinatissimo aroma del Drambuie.



Prima idea era quella di ispirarmi alla whisky sauce alla panna che in Scozia accompagna haggis e clapshot, sostituendo il whisky con Drambuie e la senape con i suoi aromi, quindi miele rosmarino e garofano; avrei poi accostato la salsa a del salmone brasato al Bourbon e ad un clapshot addolcito da patate americane. Poi mi sono resa conto che la panna, le molte spezie, le verdure... tutto avrebbe caratterizzato troppo il piatto, soffocando il Rusty Nail in una ricetta deliziosa ma troppo slegata dal cocktail e molto forzata nel connubio tra Scozia e Stati Uniti.

Allora ho preso in considerazione uno spezzatino di manzo, in cui lo spessore della salsa sarebbe stato dato da un pane preparato con gli stessi cereali del bourbon, gli aromi alla carne sarebbero arrivati dai due distillati e dalla citazione dei loro ingredienti (rinunciando allo zafferano, un sapore troppo dominante per essere presente cromaticamente con la carne). Avrei, sciolto la dolcezza del miele e la pungenza del garofano con cipolle ed avrei mantenuto la freschezza della scorza di limone, a compensare la densità aromatica del tutto, in un semplice contorno di patate schiacciate e agrumate.

Ma alla fine non ero convinta fino in fondo: il piatto era interessante ma troppo "rustico" se confrontato a quello che è l'essenza mondana del Rusty Nail. Dovevo inventarmi una ricetta profonda ed insieme leggera come il cocktail a cui ci si ispira, ragionando sui suoi toni terrosi, fumosi, mellati, maltati e aromatici con un lievissimo quid agrumato, senza farmi distogliere da altro. Gli ingredienti aggiunti dovevano insomma servire come sfondo e come supporto, a permettere semplicemente al Rusty Nail di sentirsi per una volta vivanda e non bevanda.

Ho rinunciato anche ad abbinamenti istintivi dei 6 ingredienti di partenza con aromi come zenzero, mela o scorzette dalle tracce amare, per cercare un'idea con pochissimi componenti, prevalentemente neutri, che rendessero semplice il riconoscimento dei sapori del Rusty Nail anche in una vivanda. 

La prima tentazione arriva qui davvero basica: creare una salsa con i liquori ed i loro componenti conosciuti ed avvolgerci delle patatine fritte, sulla falsariga di un'idea statunitense già collaudata: le whiskey fries (...e chi dice che gli Americani non sanno mangiare?!). Poi ho capito che, se le giudici potrebbero molto apprezzare l'idea che sta dietro ad un piatto così e pure il risultato in sé, visto che siamo tutti una cricca di golosi e alcolisti qui dentro, sarebbe stata la ricetta a rivelarsi forse troppo lineare per essere degna dell'MTC.

Ecco quindi che gli ingredienti aggiunti ai 6 di base non sono solo patate, denominatore comune di tutte le mie malsane ispirazioni precedenti, come tocco di storia antica americana, ma anche sedano rapa, tradizione tutta scozzese (anche se ci vorrebbero i navoni, per citare esattamente i rutabaga locali) e noci di capesante, che fingiamo provenienti da Chicago o dai mari della Scozia anche se le mie sono mediterranee. 



Perché non l'iconico salmone, con cui tra Alaska e Scozia sarebbe stata una bella sfida al selvaggio migliore? Perché cerco anche un tocco "illogico", meno diretto e conosciuto, che sommi novità alla coerenza storica, faccia distogliere per un momento il palato da luoghi e stagioni e rappresenti una sorpresa, un po' come il chiodo arrugginito che l'avventore maleducato potrebbe essersi trovato nel cocktail! E perchè le noci di capasanta hanno quella dolcezza naturale che con malto, limone e miele diventa poesia.

A condire il burro, che con whisky ed affini ha sempre una golosa corrispondenza di amorosi sensi. Sono tutte presenze con personalità che accettano di mettersi in secondo piano, e si tratta di prodotti semplici, comuni ad entrambe le culture scozzese ed americana. Ecco che ora posso giocare bene con gli aromi del Rusty Nail in un piatto salato, divertendomi a colorarlo con tinte calde e a mantenere, nella parte di liquida cremosità, il ricordo del fatto che tutto comunque parte da qualcosa che sta in un bicchiere. 



Capesante con miele e limone su doppia crema  di patate e sedano rapa all'acqua di orzo, a citare il Rusty Nail. E relativo long drink.

ingredienti per 4 persone:
500 g di patate
400 g di polpa di sedano rapa, peso al netto
100 g orzo perlato (* non malto d'orzo, aroma che emerge già con decisione dai liquori)
8 capesante
60 g c.a di miele (qui di tarassaco)
3 limoni
1 rametto di rosmarino (più 4 ciuffetti per decorare)
7 cucchiai di whisky
6 cucchiai di Drambuie
5 stimmi di zafferano
1 chiodo di garofano
45 g di burro
sale

Preparare prima di tutto l'acqua d'orzo: mettere l'orzo ben sciacquato in un pentola con la scorza di 2 limoni e mezzo ridotta a nastri sottili e 2 l di acqua; portare a bollore e cuocere 30 minuti.

Filtrare 1 l di liquido e salare leggermente; filtrare il resto dell'acqua e sciogliervi 50 g di miele, lasciar freddare, filtrare ed unire il succo di 1 limone e mezzo. Tenere questa acqua dolce il frigo e riportare a bollore quella salata. (conservare l'orzo cotto**)


acqua d'orzo dolce
Tagliare le patate ed il sedano rapa a fette spesse 1 cm e poi a pezzetti; rosolare le patate in 20 g di burro con il chiodo di garofano, mentre il sedano va salato con altri 20 g di burro e il rametto di rosmarino.

Sfumare le patate con 2 cucchiai di whisky ed il sedano con 2 cucchiai di Drambuie, quindi coprire le patate con 500 ml di acqua d'orzo salata e il sedano con 400. Salare leggermente e cuocere entrambe le verdure per una ventina di minuti, fino a che sono morbide.

Pestare gli stimmi di zafferano con il retro di un cucchiaio e ammollarli in 1 cucchiaio di acqua d'orzo salata bollente per 10 minuti. 

Pulire le capesante, mettere da parte i coralli (serviranno per altra ricetta**) e marinare le noci per una ventina di minuti con 4 cucchiai di whiskey, 2 di Drambuie, un paio di scorzette di limone (praticamente un Rusty Nail!) e un cucchiaino di miele. 



Eliminare rosmarino e garofano dalle verdure, regolare di sale e frullarle separatamente, in modo che abbiano una consistenza cremosa ma non liquida, come dei purè molto lenti. 

Unire 1 cucchiaiata di whisky alle patate e 2 cucchiaiate di Drambuie (le proporzioni sono diverse rispetto al cocktail ma questa verdura è più saporita dell'altra) e l'acqua di zafferano al sedano rapa e tenere le creme in caldo.

Scolare le capesante e filtrare la marinata. "Arroventare" un padellino di ferro e deporvi 5 g di burro: quando sfrigola in modo uniforme unire le capesante e  scottarle 1 minuto per parte. Levarle da tegame, disporle su un piatto caldissimo e salarle delicatamente.

Nel loro fondo versare la marinata e fiammeggiare, lasciando puoi restringere meno di un minuto, in modo che si formi un caramello liquido.

Distribuire le due creme nei piatti individuali tenendo separati i colori; su ogni metà disporre  una capasanta e decorare con un ciuffetto di rosmarino.



Versare una cucchiaiata di caramello sopra ciascuna delle creme e servire subito.



Accompagno il piatto non con vino ma con Rusty Nail allungato con acqua d'orzo dolce al limone che avevo tenuto da parte in frigo (...un po' come si fa in Giappone quando si pasteggia a whisky!), per riportare sulla tavola il tocco agrumato che nel piatto è blandissimo. 

D'altronde anche il twirl di scorza di limone è "esterno" al cocktail, vale principalmente come profumo. Le proporzioni sono 160 ml di acqua d'orzo per 2 cucchiai di whiskey e 1 di Drambuie. Per gli astemi ovviamente l'acqua d'orzo resta liscia.


per un brindisi, in alto a sinistra, che proprio in questa sfida non può mancare
Potrei trovare pure un soprannome per questa eretica variante del cocktail, visto che in famiglia si usa: magari Infradito MTC, che in americano potrebbe diventare MTC Flip Flop (se il Flip Flop non fosse già un cocktail a base di frutta!)... Devo verificare come si dice "infradito" in lingua scozzese.


(prima del caramello)
Con questa ricetta a banalissima destrutturazione eterodossa partecipo all'MTC n. 69 sulla cucina alcolica.



PS: a novembre, appena conosciuto il tema e scelto il mio cocktail, ho iniziato una produzione di Drambuie homemade, anche se per un risultato minimamente sensato occorrono più sei mesi di macerazione. 

Ora ho ovviamente usato quello originale in bottiglia, vedremo che esce verso fine maggio che destino prende il mio manufatto: ho già in mente un tipsy laird! No... non un lord ubriaco ma uno scozzesissimo trifle che non ho proposto qui in quanto già la ricetta classica di partenza contiene in dosi significative Drambuie e/o whisky, come si può dedurre dal nome! Che sfida personale sarebbe stata citare pedissequamente una tradizione già egregiamente sperimentata?!
  • rivoli affluenti:
  • le ricette alcoliche degli altri partecipanti tutte qui!
  • il ritratto del principe è preso da qui, la foto del ratpack è presa da qui, quella dello speakeasy da qui, quella dell'Hot Toddy da qui.
  • **con l'orzo cotto, scolato e privato delle scorze, è uscita un'insalatina di antipasto, condita con i coralli delle capestante saltati in olio e tritati, più un pugno di spinaci scottati, sale e abbondante pepe. Il disturbatore sul fondo non è indispensabile alla ricetta e complica la foto, ma rallegra l'ambiente.

Commenti

  1. Rimango sempre incantata quando ti leggo, dalla tua immensa cultura e dal tuo modo di raccontare.
    Per restare in tema, me lo sono bevuto tutto in un fiato il tuo post, interessante, dettagliato, curioso e anche divertente con quei soprannomi del tutto personali. Ora non mi resta che provare la ricetta, sai quanto amo le capesante, e queste devono essere davvero fantastiche! Complimenti sinceri Annalena!

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    1. Diciamo che questa volta lo scambio di ricette sarà operativo, con reciproca soddisfazione. E poi noi abbiamo ancora una data in sospeso!

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  2. Complimenti davvero! Un piacere sempre leggerti e una proposta veramente top!

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    1. Grazie, penso sempre di essere troppo prolissa ma certe occasioni mi coinvolgono talmente che ignoro il buon senso e scrivo tutto quello che mi viene in testa

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  3. Giuro, sono 5 minuti che fisso lo schermo del PC come un'ebete, senza sapere da che parte iniziare, perché questo post è poesia dalla prima all'ultima riga: dalle tradizioni famigliari (io che sono una convinta sostenitrice dei neologismi mi pascio dei nomi che avete inventato per i cocktail in modo da farli vostri in tutto e per tutto) alla storia del cocktail e dei suoi ingredienti, fino a quando hai deciso di portarci per mano fra le tue scelte, non solo legate alla ricetta che hai deciso di realizzare, ma anche a quelle che hai scartato (e che a me sembrano entrambe divine).
    E poi quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. La tua ricetta è un capolavoro di equilibri, di rimandi, di inseguimenti e riprese, di filologia del gusto e di stacco consapevole.
    Io sono meravigliata da ogni riga di questo post, che mi sono gustata parola per parola, e la ricetta è la degna conclusione di un percorso meraviglioso.
    Semplicemente grazie, perché giuro che non mi viene nulla di più sensato da dire.

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    1. ...lo sapevo che anche le patatine fritte ti avrebbero stuzzicato!

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  4. Posso scriverlo? Parafrasando la Robert..stica....!! Immensa Annalena!!

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  5. Sono qui davanti quasi quasi come Giulietta solo che lei prima o dopo ci arriva io invece dovro leggere riga per riga un sacco di volte mamma mia sei un pozzo di conoscenza e come wisky o wiskey si so qualcosa ma il resto sono un ebete davanti una pagina scritta di cui non riesco a leggere niente :( Però la ricetta me la sono copiata e.... con il tuo link devo andare piano domani rileggo altrimenti mi vengono le palpitazioni con tutto sto' alcoooool :)
    Brava Annalena sei un portento e poi le conchiglie di Saint Jacques (solo per farti vedere quanto sono...ahahahahaha erudita...) maritino le adora ed io tutto il resto inclusa l'insalatina di orzo. Per il Drambuie mi organizzo.... Un abbraccio e buona prosecuzione.

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    Risposte
    1. Be'... se questa la rifai davvero voglio assolutamente il vostro parere!

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  6. tutti sono utili. E tu sei insostuibile. ovunque ti si metta, anche dietro il bancone di un bar :)

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  7. caspita!
    CAAAAAAS
    PIIIIIII
    TAAAAAAAA!!!!!
    lasci sempre questo effeto in me, come fa la mariguana... mi inbambola e non vorrei smeere di leggere!
    e pensare che dalla foto mi sembravano della fette di wusttel!!!
    sei un gennio e un spasso!!!

    RispondiElimina

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Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!