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arte e cibo: torta fedora e le nature morte di De Chirico

Plinio il Vecchio narra di una disputa tra due pittori greci del V secolo a. C. su chi sapesse meglio ritrarre la realtà attraverso l’illusione pittorica. Il giorno convenuto Zeusi scoprì il proprio dipinto: raffigurava un grappolo d’uva talmente verosimile che degli uccellini cominciarono a svolazzargli attorno tentando di beccare la frutta.

Oramai certo della propria vittoria, Zeusi incitò Parrasio a levare ora a sua volta la tela che copriva l’opera che voleva presentare. Solo in quel momento si accorse che il suo antagonista aveva dipinto proprio il drappo scomposto, con una tale verosimiglianza da ingannare perfino il suo occhio di pittore esperto, così gli concesse la vittoria.
Giorgio De Chirico, Natura morta con uva, 1922
La raffigurazione del cibo nei dipinti è, insomma, una questione davvero antica, che ha nei secoli avuto diverse fortune fino a diventare un genere vero e proprio tra ‘500 e ‘600, inizialmente con i Fiamminghi e poi, a mano a mano che la committenza non cercava più solo ritratti di famiglia, soggetti mitici o rappresentazioni sacre, presso i ricchi borghesi fino al secolo scorso.
Giorgio De Chirico, Interno metafisico con biscotti, 1968
Anche la pittura moderna e contemporanea se ne è occupata, e a tal proposito sono interessanti le parole scritte da Giorgio De Chirico nel 1940:

La natura morta ha nella lingua tedesca e nell'inglese un altro nome, molto più bello e molto più giusto. Questo nome è: Still Leben, e: Still life: “vita silenziosa”. È un quadro, infatti, che rappresenta la vita silenziosa degli oggetti e delle cose, una vita calma, senza rumori e senza movimenti, un’esistenza che si esprime per mezzo del volume, della forma, della plasticità. [...]

Un pittore di talento, dipingendo una natura morta dipinge veramente la vita silenziosa delle cose create dalla natura o fatte dagli uomini. La natura e la realtà non hanno problemi estetici, né preoccupazioni artistiche. È il dovere dell’artista di dare la bellezza alle cose che vede e che interpreta. Una brocca può essere molto modesta ed insignificante, al punto di non essere vista quando sta sulla tavola di un contadino, e può diventare un oggetto pieno di nobiltà e di fascino in una bella pittura. [...]

Davanti ad una bella natura morta si sentono spesso delle persone semplici, degli uomini senza pretenzioni intellettuali, esclamare: “Oh, come sono vere quelle mele, e quelle arance, sembra di poterle toccare! […] queste parole piene di sincerità, sono un avvertimento per quegli intellettuali […] ai quali lo snobismo potrebbe non solo atrofizzare, ma anche addirittura sopprimere ogni sentimento umano di gioia e di piacere. E dirò ancora che non importa se gli stessi uomini semplici, sinceri ed entusiasti, possono dire le stesse parole davanti a quadri di dubbio valore artistico; non importa,  poiché quello che conta è la gioia sincera che prova un uomo davanti ad una pittura.

Ho compreso fino in fondo la verità delle parole di De Chirico solo negli ultimi anni, quando lavorando in una galleria di arte antica ho vissuto letteralmente immersa tutto il giorno nella bellezza, cosa che mi ha riconciliato con il mondo attraverso la gioia. Così ho cominciato a ritagliare da tutti i cataloghi d’asta e le riviste d’arte che venivano cestinate immagini di nature morte, anzi di “vite silenziose”, per dirla alla De Chirico, ovvero quelle rappresentazioni che oggi, visto il momento, potremmo anche chiamare “sospese”....
ed ora me le sono incorniciate in un collage appeso in cucina, a ricordarmi che ogni gesto compiuto nella preparazione del cibo è esso stesso una rappresentazione della bellezza.

Dunque per approfondire (e per la relativa ricetta a tema) rimando all'articolo sulle nature morte antiche e contemporanee che esce oggi sul Calendario del Cibo Italiano per la Giornata Nazionale del Cibo nell'Arte (ma che apro con un dipinto italiano di biscotti...), mentre consiglio la lettura del precedente articolo di Maria Teresa per un inquadramento storico generale del tema in ambito italiano.
Giorgio De Chirico, Biscotti ferraresi, 1916
Qui sul blog oggi, invece, mi riallaccio a De Chirico, che ha rappresentato in modo iconico più volte nelle sue tele, post-metafisiche e non, vari dolcetti tipici di Ferrara, dove visse qualche anno. Lui era nato in Grecia ma aveva ascendenze siciliane, forse per questo  trasformò in “oggetto pieno di nobiltà” anche una fetta di torta nel suo dipinto del 1919 intitolato “Il dolce siciliano”.
Giorgio De Chirico, Il dolce siciliano, 1919
A occhio si direbbe una classica cassata, ma io preferisco interpretare l'immagine come quella di un dolce dai colori simili ma più semplice ed intima, una torta fedora: pan di Spagna farcito con crema di ricotta e decorato con mandorle, pistacchi e ciliegine. Il suo nome ricorda, chissà perchè, una delle città invisibili di Calvino, in specifico la città del desiderio. Evidentemente nulla succede per caso.

Fotografo la fedora attorniata di libri, come nel dipinto, nonostante io non abbia alcuna pretesa di riprodurre visivamente un’opera d’arte con la mia banale fotografia: ma i libri sono essi stessi "oggetti nobili" a prescindere, come non cedere dunque alla tentazione di una vera somma di piaceri e bellezze, come ci si aspetta quando si entra in contatto con l'arte?
IL DOLCE SICILIANO DI DE CHIRICO, VISTO COME UNA FEDORA
N.B.: per il pan di Spagna ho seguito le indicazioni dell'unica sfida dell'MTChallenge che avevo saltato, causa mancanza forno per trasloco, e che così oggi dopo cinque anni ho finalmente recuperato! Vale la pena di leggere nella ricetta tutti i trucchi per un pan di Spagna perfetto, che qui non ho riportato.

ingredienti:
per il pan di Spagna
300 g di uova intere a temperatura ambiente
200 g di zucchero
150 g di farina 00 (più lo spolvero per lo stampo)
50 g di fecola di patate
sale
burro per lo stampo

per la bagna
300 g di acqua
200 g di zucchero
2 cucchiai di rum
4 cm di scorza di arancia

per la farcitura e il decoro
700 g di ricotta (qui 500 di pecora e 200 vaccina)
60 g di zucchero a velo
60 g di cioccolato fondente
60 g di mandorle a filetti (nel mio caso sgusciate)
80 g di pistacchi a granella (nel mio caso sgusciati)
10 ciliege candite (nel mio caso, amarene sciroppate)

Setacciare farina e fecola insieme un paio di volte. Accendere il forno a 170 °C modalità statica. Imburrare e infarinare uno stampo a cerniera da 24 cm di diametro.

Montare le uova con lo zucchero e un pizzichino appena di sale nella planetaria con la frusta a velocità media per circa 10-15 minuti, fino a che le uova hanno quadruplicato il loro volume, "scrivono" e fanno "il becco".

Unire le farine poche per volta, lavorando delicatamente a mano con una spatola dal basso verso l'alto per incorporarle senza smontare l'impasto.

Versare l'impasto nello stampo, livellandolo delicatamente, e cuocere per circa 25 minuti, facendo la prova dello stecchino dopo 20 minuti e prolungando eventualmente la cottura fino a 30.

Lasciare leggermente intiepidire poi sformare e far raffreddare completamente, rovesciando il pan di Spagna su una gratella. Se non lo si usa subito, una volta ben freddo avvolgerlo in pellicola perchè non si asciughi ulteriormente,
Per lo sciroppo portare a bollore acqua e zucchero con la scorza d'arancia, lasciar sobbollire per un paio di minuti, quindi spegnere, unire il rum e far intiepidire. Levare poi la scorza e, se non si usa subito, coprire.

Lavorare la ricotta ben scolata con lo zucchero a velo fino a che è bella spumosa; sbriciolare il cioccolato in pezzettini grandi come piselli.

Levare con un coltello a seghetta uno strato sottile sopra il pan di Spagna e lungo i bordi, per eliminare la parte dorata, poi tagliarlo in due parti in orizzontale.

Versare sulla base tagliata circa metà della bagna, in modo che si inzuppi in modo uniforme.

Spalmavi sopra un bello strato di ricotta, arrivando fino ai bordi, poi cospargere con il cioccolato e coprire con il secondo disco di pan di Spagna.

Rivestire completamente il dolce, sia sopra che ai lati, con il resto della ricotta, conservandone un paio di cucchiaiate (io mi sono dimenticata).

Se non sono già a granella e scaglie ridurre separatamente sia mandorle che pistacchi in granella e poi tostare le mandorle.

Rivestire con i pistacchi i bordi della torta e con le mandorle la superficie orizzontale, e tenere il dolce in frigo almeno due ore (ma molto meglio 24) ben coperto prima di servire.

Quando si leva dal frigo spremere dei ciuffetti di ricotta sulla superficie del dolce ed adagiarci una ciliegia candita (nel mio caso le amarene sciroppate, ben scolate, senza ricotta sotto).
  • rivoli affluenti:
  • le immagini dei dipinti di De Chirico sono prese quiqui, qui e qui
  • chiedo scusa ai puristi per variazioni rispetto alla ricetta originale della fedora, ma sono dovute all'assortimento limitato del supermercato sotto casa.

Commenti

  1. Un grande grazie per questo bellissimo approfondimento che completa il tuo articolo sul Calendario
    A volte chi parla di arte, non riesce a catturare l'attenzione perché troppo usa un linguaggio troppo tecnico, tu invece con la semplicità di chi ama a fondo la pittura trasmetti emozioni
    ........ e la torta Fedora? Golosissima
    Un abbraccio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Manuela, sapere che mi leggi con tanta passione mi allarga il cuore.

      Elimina
  2. Bellissimo post e bellissima foto...non mi resta che replicare la ricetta!
    P.s. il pan di Spagna è talmente bello che incornicerei quello!

    RispondiElimina

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