Tutte le persone con cui ho parlato perchè lo hanno
conosciuto lo chiamavano Gigi: lui si poneva così, umano ed entusiasta, nonostante
rappresentasse uno dei massimi riferimenti per la cultura eno-gastronomica
italiana.
Raccontare “tutto” il Gigi Veronelli (l’articolo davanti al
nome è familiarità d’obbligo per una lombarda) qui non è possibile: non c’è
abbastanza spazio. Dopo aver brevemente spiegato che nacque a Milano nel ’26,
studiò e insegnò da filosofo, scrisse di letteratura, di politica e perfino di
sport, fondò riviste e condusse programmi televisivi, la cosa che per noi è
fondamentale approfondire è che inventò il mestiere del gastronomo.
Talmente esperto di vini da compilare in merito addirittura
un’enciclopedia, per quanto riguarda il cibo indagò la cucina popolare
regionale italiana e in qualche modo contribuì a codificarla. Ne parlò in TV in
programmi dedicati all’informazione gastronomica (niente talent e gare, per
fortuna, all’epoca!), ne scrisse solo ma anche in collaborazione con il mito
gastronomico dell’epoca, il grande Luigi Carnacina, e con il giornalista Gianni
Brera, personaggio poliedrico almeno quanto il Gigi.
(foto con Brera)
L’attenzione ai piccoli produttori ed alle specialità locali
lo portò a valorizzare la civiltà contadina, aprendo la strada a
quell’attenzione (ora tanto di moda) verso la qualità dei prodotti, della terra
e delle persone. Questo suo interesse per l’umano rapporto con la natura,
testimonia il vignaiolo garfagnino Gabriele da Prato, era un aspetto talmente
vivo il lui che l’incontro con Gigi (lui da toscano l’articolo non lo usa!) una
quindicina di anni fa servì al giovane viticultore da stimolo per rivoluzionare
l’attività di famiglia e guardare con sempre maggior rispetto ed interesse all’agricoltura
organica e al vino biodinamico, fino ad approdare ad una visione olistica del
proprio “mestiere”.
Oggi, anniversario della morte del Gigi, per rendere omaggio
all’umanità che si nasconde dietro il mito del nome Veronelli cerco in una
piega della sua storia una piccola testimonianza, le parole di una persona che
nel 1973 ha collaborato con lui alla confezione de La Pacciada, il testo di cucina tradizionale lombarda scritto a
quattro mani dal Gigi con “il Gianni” (Brera).
(foto copertina originale)
Laura G. era ai tempi una giovanissima collaboratrice di
Mondadori e fu incaricata delle ricerche iconografiche per il libro. Peccato
che nella riedizione più recente quelle immagini, testimonianza di un’epoca,
siano del tutto scomparse. Molto riservata, Laura non vuole qui mettere in luce
la qualità del proprio lavoro (che Veronelli in verità le riconobbe molto
simpaticamente) quanto la competenza ed il grande bagaglio di cultura
eno-gastronomica dell’autore delle ricette… che lei, intimorita
dall’autorevolezza e dalla differenza di età, non osò mai chiamare Gigi!
Lei di quell’esperienza ama ricordare la signorilità di
Veronelli, la sua serietà nel rivendicare le proprie idee e, soprattutto, la
sua attenzione a tutti i risvolti della tradizione popolare, compresa, ad
esempio, l’abitudine al riutilizzo degli avanzi.
Per questa cura nella ricerca
i due scrittori concordarono di non limitarsi alla geografia politica della
Lombardia attuale ma di dedicarsi ad un’area di cultura gastronomica realmente
condivisa, raccontando di fatto la cucina della “Longobardia” , con spunti
dunque anche un po’ veneti, ticinesi, emiliani e piemontesi.
Nella ricostruzione delle varie ricette Veronelli attinse a
molte diverse fonti, curioso di approfondire tutto e non ci fu, per quanto
ricorda la nostra testimone, un piatto che lui curò più di un altro. Del
proprio contributo a questo piccolo capolavoro della cultura gastronomica
italiana a quattro mani Veronelli scriveva al lettore: Proposito? rivalutarla e riproporla la cucina nostra e dei fratelli
lombardi. Le ricette che hai qui sono frutto di una paziente ricerca. Tutte?
Non tutte: Lombardia è continente; infinite le sue creazioni (e varianti) anche
di cucina. […] Do allora quelle della mia esperienza […].
Sono circa quattrocento le ricette che seguono queste parole, è difficile sceglierne una davvero rappresentativa, non tanto del suo amore per
la cucina ma del suo modo di scrivere con passione ed arguzia. Per la Giornatache oggi lo ricorda nel
Calendario del Cibo Italiano ho sottolineato la presunta semplicità delle preparazioni agli
occhi odierni e l’estrema povertà delle materie prime che lui seppe riportate
alla originaria ricchezza di sapori e di significato.
Per questo blog, invece, propongo semplicemente una ricetta
di cui ero golosissima quando ero bambina ma che la mia mamma, non ferratissima
in cucina, acquistava pronta e che si limitava a friggere. Magari avesse letto
le istruzioni del Gigi! Ovvero queste:
LA CREMA FRITTA
5 uova. 220 g di
fecola. 80 g di zucchero. 1 l di latte. La scorza di un limone grattugiata. Mollica
di pane grattugiata di fresco. Sale.
Batto le uova con lo
zucchero; vi mescolo la scorza di limone e la fecola; pongo su fuoco dolce, verso
il latte e vi incorporo 40 grammi di burro che ho fatto ammorbidire poco
discosto dal fuoco. Mescolo in continuazione sino a che inizia a ispessire;
faccio cuocere qualche altro minuto. Stendo il composto, sul tavolo di marmo
bagnato, alto un dito; lo lascio raffreddare. Lo taglio a quadrati; li impano;
li friggo nel resto del burro cotto a color nocciola. Servo subito.
La cosa interessante è che mia mamma le serviva come cena a noi bambini nei giorni un po' speciali, come piatto unico, e ci lascava scegliere se spolverizzarle di zucchero o di sale. Pensavo fosse una sua devianza svizzera ma mi rendo conto che si tratta proprio un uso lombardo, visto che nel libro di Veronelli la ricetta, in effetti, non si trova nel capitolo dei dolci ma in quello dei primi piatti!
Io qui confeziono bocconcini piccoli, come dolcetti da servire a merenda o per dessert, quindi dimezzo le dosi da lui riportate e apporto altre piccole varianti, ma ricordo che il formato della crema fritta di casa erano losanghe spesse almeno 2 cm e lunghe 6-7 cm.
Oggi dunque non friggo in solo burro nocciola (anche se mi sarebbe piaciuto!) ma per ottenere il bel colore dorato tipico della crosticina originale invece di mollica secca uso pangrattato ricavato da fette di pane comprensive di crosta. E siccome Veronelli cita il sale tra gli ingredienti ma non nel procedimento, e deduco quindi che lo spolverizzi sopra i dadini di crema per servire, ne aggiungo un pizzichino appena di sale nell'impasto perchè io preferisco finire i frittini con lo zucchero.
LA MIA CREMA FRITTA, SULLE TRACCE DI VERONELLI
dosi per 32 bocconcini, dolcetti per 4-6 persone:
500 ml di latte
110 g di fecola (ma va bene anche amido di mais, farina di riso, farina 00 o un misto di quello che si ha in casa)
40 g di zucchero (più quello per spolverare, se piace)
50 g di burro (più circa 50 g per friggere, se si vuole)
3 cucchiai? di pangrattato fine
2 uova e 1 tuorlo
3 cucchiai? di pangrattato fine
la scorza grattugiata di mezzo limone
2 cucchiaio di olio di arachidi (o di più, se non si frigge con il burro)
sale
Sbattere (io direttamente nel tegame) le uova con lo zucchero fino a che sono belle lisce; unire la fecola, un pizzico appena di sale e la scorza di limone; mescolare bene ed unire il latte a filo, in modo che non si formino grumi.
Mettere sul fuoco con il burro morbido a fiocchetti e cuocere fino ad ottenere una polentina densa e compatta, mescolando sempre. Ci vogliono in tutto circa 10 minuti.
Stendere il composto su un vassoio bagnato in uno strato spesso 1 cm, lisciarlo con il retro di un cucchiaio bagnato e compattarlo bene e lasciar freddare, poi tagliare in circa 32 quadratini da circa 3 cm di lato.
Fondere il resto del burro con l'olio (mia mamma diceva che se li mischi il burro non brucia) modo che non bruci) e friggervi i quadratini di crema in più riprese, in modo che non si sovrappongano, fino a che sono ben dorati su tutti i lati.
Scolare su carta assorbente, quindi spolverizzare di zucchero (o di sale, o con niente) e servire la crema fritta bella calda.
- rivoli affluenti:
- questa è una revisione di un articolo, Luigi Veronelli, oltre il mito, che scrissi nel 2016 per il vecchio Calendario del Cibo Italiano di AIFB
- per informazioni maggiori sull’opera di Luigi Veronelli il sito Casa Veronelli, curato dai suoi più stretti collaboratori (l’immagine del ritratto di apertura è tratta da lì)
- per gustarsi nella sua interezza quella storica golosità editoriale è uscita, fortunatamente, nel 2014 una ristampa, godibilissima nonostante la mancanza di foto e disegni inseriti (da Laura!) nell’edizione originale: Gianni Brera, Luigi Veronelli, La pacciada. Mangiarebere in Pianura Padana, Book Time, 2014, ISBN 978-88-6218-247-8
Sorpresona! 'quella' Laura...ringrazia e lo ricorda con rispetto grande.
RispondiEliminama graaaaaaaazie!!!
EliminaBella storia, bella ricetta e...bella Laura!
RispondiEliminaesatto!
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