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all'inseguimento di Uffizi da mangiare 9: Caravaggio, il Volterrano e pesce al vino rosso

Per la nona tappa di Inseguendo l'arte da mangiare abbiamo l'imbarazzo della scelta: l'epoca è la prima metà del '600 ma le aree tra cui scegliere di collocare la nostra storia e la nuova ricetta sono tre: Lombardia, Lazio e Toscana.
Infatti per Uffizi da Mangiare, che questa volta sarebbe meglio definire "Uffizi da bere", le Gallerie hanno selezionato due autori e due due dipinti che fanno riferimento ad un unico tema: il vino! 
In specifico parliamo di un'opera famosissima di autore celeberrimo, il Bacco di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, dipinta nel 1598 circa, 
e seguitiamo con un pittore locale meno conosciuto, Baldassarre Franceschini detto il Volterrano, che realizzò La burla del vino circa nel 1640.
E' interessantissimo conoscere la storia di entrambe le opere, e gli Uffizi ce lo rendono possibile attraverso questi video: il primo racconta chi avesse commissionato il dipinto a Caravaggio, come venne realizzato e quali dettagli dissacranti il pittore seppe inserirvi, il secondo inquadra il Volterrano, il genere a cui appartiene la sua pittura e racconta l'aneddoto da lui illustrato in questa tela.

Lo specialista incaricato dagli Uffizi per raccontare come l'arte del vino e l'arte della pittura posseggano elementi comuni è Lamberto Frescobaldi, a capo delle omonime Cantine toscane, che racconta la sua visione del vino, che non va mai consumato da soli, e che esorta ad ubriacarsi solo di arte e di bellezza, in questo video.
Caravaggio nasce a Milano ma vive la maggior parte della sua vita adulta ed esplode artisticamente a Roma, dove si trova quando dipinge il Bacco. Il Volterrano invece ha sempre vissuto ed operato in Toscana. Ma che vini si bevevano a quell'epoca in queste zone? 

Innanzi tutto occorre distinguere tra ciò che consumava la gente comune ed i vini che arrivavano alle corti, diciamo degli Sforza a Milano, del Papa a Roma e dei Medici a Firenze. E in questo ci fa da traccia la lettera/trattato che Sante Lacerio, bottigliere di papa Paolo III tra il 1534 e il 1549, scrisse nel 1559 al cardinale Guido Ascanio Sforza per illustrargli, a parere suo e del Papa, i migliori vini prodotti nella Penisola, in Francia ed in Spagna.

Ne descrive aspetto, profumo, sapore, retrogusto, gradazione, metodi di vinificazione, modalità di conservazione e di trasporto e pesino abbinamenti a cibi, condizioni di salute e stagioni. E, dopo la lunga elencazione dei vini consigliati ad un palato raffinato, la lettera si conclude elencando alcuni vini prodotti in territori papali che apparivano di scarsa qualità, che commenta con questa nota:
Di tali vini S.S. non beva di nessuno perchè certo per esperienza sono vini cotti et arrosti et arsi e matrosi e grassi. Sicché sono vini da lassarsi alli contadini.

Dalla lettura del trattatello, e soprattutto dalle sue ultime righe, appare evidente come qualsiasi buongustaio nobile o danaroso potesse approvvigionare la propria cantina con vini di grande qualità facendoli arrivare anche da località  distanti se non soddisfatto della produzione locale, e che essi avessero qualità organolettiche abbastanza paragonabili ai vini attuali, anche se certamente più difficili da stabilizzare e mantenere. 

Per il popolino invece, quando poteva permettersi di accedere al vino, erano disponibili vini rustici, generalmente forti e acetosi, che si tentava di rendere più gradevoli al palato diluendoli oppure sobbollendoli con aromi, non sempre in verità con grandi risultati. C'è ancora memoria oggi di certi "vini del contadino" che bevevano con piacere i nostri nonni e che a noi nipoti fanno storcere il naso...

Che il vino fosse una cosa seria alle  cortei un po' di tutta Italia è testimoniato anche dalla figura stessa del bottigliere, come spiega il Panunto nel suo trattato di scalcheria del 1560 dedicato ai Gonzaga. Lo scalco era un delegato del signore, spesso nobile lui stesso, che aveva la responsabilità della mensa. Potremmo paragonare la sua figura professionale aa quella di un direttore di ristorante attuale, che aveva al proprio comando un responsabile della cucina (il cuoco secreto), uno di sala (il credenziere) e un addetto agli acquisti (lo spenditore).

Facendola breve, tutti questi personaggi facevano da referenti per le figure professionali legate ai vini e presenti in ogni palazzo di alto livello, ovvero il bottigliere, che era responsabile della cantina, ed il coppiere, che potremmo definire una sorta di sommelier e che consigliava l'ordine dei servizio dei vini ed i bicchieri più adatti, l'abbinamento delle bevande alle pietanze, e che mesceva il vino in sala da pranzo e serviva personalmente il signore.

Un altro trattato vede la luce nel 1596 ad opera del medico e naturalista Andrea Bacci; illustra non solo le caratteristiche organolettiche, i metodi di coltivazione e le proprietà salutari di molti vini, ma ne traccia anche la storia, con riferimenti frequenti alle consuetudini di Greci e Romani. Rappresenta di fatto la testimonianza che la materia enologica, a differenza di quella gastronomica, era allora ritenuta un argomento colto.
 
Questo è lo spunto che ha colpito maggiormente Eleonora, probabilmente, visto che nel suo disegno raffigura un calice colmo delle parole di una poesia di Baudelaire. Me ne faccio trascinare volentieri:

UBRIACATEVI!
Bisogna sempre essere ubriachi.
Tutto qui: è l'unico problema.
Per non sentire l'orribile fardello del Tempo.
Del tempo che che vi spezza la schiena
e vi tiene a terra,
dovete ubriacarvi senza tregua.
Ma di che cosa?Di vino, poesia o di virtù,
come vi pare.Ma ubriacatevi.
E se talvolta, sui gradini di un palazzo
sull’erba verde di un fosso,
nella tetra solitudine della vostra stanza,
vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa,
chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio,
a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme,
a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta,
a tutto ciò che parla, chiedete che ora è
e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno 
"È ora di ubriacarsi!
Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi.
Ubriacatevi sempre!
Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare.

Per godere pienamente di questa ubriacatura di vino e arte cerco per la nostra tavola un piatto raffinato (tenendo conto che entrambi i dipinti erano commissionati da personaggi eminenti) ma anche che sappia sottolineare gli aromi del vino nell'accostamento ad altri sapori delicati. Dunque pesce e poco altro, come nella ricetta che Francesco Vasselli, scalco del duca Alessandro I Pico della Mirandola, riporta nel suo trattato di scalcheria nel 1647 intitolato ad Apicio:
Insalata di Storione
Piglierai un pezzo di Storione arrostito, e raffreddato, lo sfilerai sottilmente nella parte della schiena, in quantità sufficiente al tuo bisogno, e sfilato lo metterai ne’ piatti con uva passa bollita in generoso vino, garofani, e cannella, quale renderà odore, e sapore molto gustoso, lo condirai con olio di Toscana, aceto garofanato, e sale, quando non sia intieramente salato allo spiede. Deui regalarlo con fettoline intorno l’orlo del piatto fatte del medesimo Storione nelle parti più grasse in forma di gelosia, ritocca d’oro, mettendo ne’ vacui un oliua inargentata grossa. 

Rispetto alle sue indicazioni riduco certamente le dosi di spezie ed aceto per valorizzare il cuore aromatico del vino cotto, che riduco ed utilizzo insieme all'uvetta per condire direttamente il pesce. Non il pregiato storione rinascimentale, all'epoca pescato in tarda primavera nelle acqua dei grandi fiumi oppure allevato nelle piscine delle ville di campagna, ma pesce bianco di mare, oggi più semplice da reperire. E se non riesco a tagliarlo a fette compatte non rinuncio a decorare con un tocco d'oro e d'argento, che tanto raccomanda lo scalco per una buona presentazione. 

INSALATA DI SPIGOLA AL VINO ROSSO SPEZIATO

ingredienti per 4 persone come antipasto, per 2 come secondo:
1 pesce a polpa bianca da circa 800 g (qui 2 piccole spigole da circa 400 g l’una)
6 belle olive verdi
15 g di uva passa
40 g di vino rosso mediamente corposo
½ cucchiaino di aceto
¼ di cucchiaino di zucchero
1 piccolo chiodo di garofano
1 piccolo pezzo di cannella
2 o 3 cucchiai di olio extravergine
sale
foglia oro e argento (qui polvere alimentare dorata e argentata) per decorare

Eviscerare e mondare il pesce, salare leggermente l’interno e ungere l’esterno con un cucchiaio di olio e poi cuocere alla griglia, in padella (come qui) oppure a vapore, fino a che gli occhi sono perlacei e le carni bianche e morbide. A seconda del tipo di cottura e delle dimensioni del pesce ci vorranno da 20 a 40 minuti.

Lasciar intiepidire, eliminare la testa (se è un pesce unico se ne recuperano le guance), la pelle, le lische e eventualmente anche le parti scure, e sfilacciarne delicatamente la polpa con le dita, seguendo la venatura della carne. Se ne ricavano circa 400 g.

Portare a bollore il vino con garofano e cannella, unire l’uvetta e lasciar sobbollire 3 o 4 minuti, poi spegnere e lasciar gonfiare l’uva. Quando è morbida levarla dal tegame ed unirla al pesce.

Aggiungere al vino rimasto nel tegame aceto e zucchero e far restringere a fuoco basso fino ad ottenere una cucchiaiata di sciroppo denso e profumato; levare le spezie e lasciar intiepidire.

Incidere le olive in 4 spicchi, separarne delicatamente la polpa dal nocciolo e poi  dorarne  la metà ed argentarne l'latra metà con dei pezzettini di foglia oro e argento (o, nel mio caso, con una sottile pennellata di polvere alimentare).

Emulsionare la riduzione di vino con 1 o 2 cucchiai di olio e una presina di sale e condirvi i fiocchi di pesce, mescolando delicatamente per non danneggiarli.

Disporre l’insalata di pesce nel piatto da portata o nei piatti individuali, decorare con gli spicchi di olive e servire, accompagnando con un calice dello stesso vino usato per la salsa. 
Per un piatto più fresco e completo si possono aggiungere  un paio di coste di sedano tagliate a dadini e adagiare il tutto su un letto di insalatina fresca: diventa un'insalata di pesce ottima ma non è più quella di Vasselli e a quel punto perde senso anche la doratura delle olive.

  • rivoli affluenti:
  • Lacerio Sante, "Della qualità dei vini", Roma, circa 1559, in: Emilio Faccioli (cura), L'arte della cucina in Italia. Libri di ricette trattati sulla civiltà della tavola dal XIV al XIX secolo, Einaudi, 1987 e 1992, ISBN 88-06-59880-5
  • Romoli Domenico detto Panunto, "La Singolar Dottrina", Venezia, 1590, in: Emilio Faccioli (cura), idem
  • Bacci Andrea, "De naturali vinorum historia", Roma, 1596, in: Emilio Faccioli (cura), idem
  • Baudelaire Charles, "Ubriacatevi!" in: Lo Spleen di Parigi. Piccoli poemetti in prosa (a cura di Giuseppe Montesano), Collana Oscar Classici n.236, Mondadori, 1992
  • Vasselli Gio. Francesco, "L'Apicio ovvero Il Maestro de' Conviti", in: Benporat Claudio, Storia della gastronomia italiana, 1990, Mursia
  • le immagini dei dipinti provengono dall'archivio delle Gallerie, quella del Bacco è presa qui, quella della Burla qui; la foto di Lamberto Frescobaldi viene da qui.
  • Commenti

    1. Mi manca solo la foglia d'oro...per il resto ho tutto e sarà la cena di stasera!

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      1. senza l'oro non è Rinascimento... quindi sii pratica ed aggiungi il sedano, che ci sta divinamente!

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    2. Fatto! Esperimento riuscitissimo!

      RispondiElimina

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