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all'inseguimento di Uffizi da mangiare 12: Willem Van Aelst e il cramique

In questa tappa di Inseguendo l'arte da mangiare torniamo nella Firenze di metà '600 ma attraverso un giro strano...
Sono infatti dipinti in Italia ma da pittore fiammingo i dipinti di oggi,  di  cui uno è stato scelto come simbolo del progetto di Uffizi da mangiare.
Parliamo di Willem Van Aelst, conosciuto come Guglielmo il Fiammingo poiché lavorò in Italia tra il 1649 ed il 1656, quando realizzò questa coppia di dipinti datati tra il 1652 ed il 1656, intitolati il primo Natura morta con vaso di cristallo
ed il secondo che abbiamo imparato a conoscere bene, Natura morta con frutta.
Specializzato in nature morte, viaggiò a lungo in Francia oltre che in Italia e fu anche a Firenze presso la corte del Granduca Ferdinando II de' Medici. Forse per questo troviamo nelle sue opere non solo i classici soggetti fiamminghi come formaggi, carni salate, cacciagione, pesci e pasticci, ma molto più spesso tripudi di frutta e di fiori che, come risulta evidente nei due dipinti di oggi, hanno una qualità vitale molto coinvolgente ed un gioco sapiente di luci decisamente poco nordiche.

I suoi dipinti sono stati di ispirazione per lo chef Mario Consolati che ha servito un carré di cervo al vino rosso assieme ad alcuni dei frutti dei dipinti, uva susine e melone, saltati in burro e aceto balsamico, come racconta in questo video
Ciò che mi sono chiesta io invece, guardando i dipinti, è quanto dovesse essere affascinante la frutta fresca per un fiammingo che in patria ne vedeva poca e, di conseguenza, che importanza avesse la frutta nella cucina fiamminga di metà '600.

I frutti più coltivati nel Nord Europa erano quelli utilizzati per produrre sidro ed altre bevande: mele, pere, ciliegie, prugne, sorbe acide e cotogne, ed ovviamente erano presenti anche sulle tavole dei contadini, in stagione, così come frutti di bosco mentre sulle tavole dei ricchi si trovavano anche frutti di importazione e primizie fuori stagione. 

Sia i contadini che i cuochi dei palazzi conservavano la frutta essiccandola od affumicandola: i contadini li usavano come nutrimento alternativo anche nei periodi di pausa dai raccolti, quindi più diffusamente nelle aree dove scarseggiavano i cereali, almeno fino all'a diffusione delle patate. Composte e confetture, che prevedevano miele o zucchero, erano invece riservate prevalentemente ai più abbienti, tra cui solo la frutta fresca era consumata di per sé e le conserve si usavano di solito come contorni o salse di accompagnamento ad altre pietanze.

Oltre che dalle patate, l'uso della frutta fu condizionato a partire dal '600 anche dalla maggiore diffusione dello zucchero, che dilagò nel '700 dopo che gli Stati coloniali avevano impiantato coltivazioni di canna da zucchero nei territori climaticamente più adatti. 

Riflettendo su questi aspetti viene quasi da sé la scelta della ricetta da dedicare a Van Aelst: un  dolce dalla lunga evoluzione, che parte dal XIII secolo, sembra nella cittadina belga di Nivelles come pane dolce al latte detto cremmicha, prende poi il nome fiammingo di kramiek, arricchito di uova zucchero e burro come pane devozionale offerto ai sacerdoti, per arrivare infine alla brioche attuale, con uvetta (ma in origine erano ribes secchi) e perle di zucchero conosciuta oggi come cramique.

Il cramique oggi, declinato spesso antistoricamente nella versione al cioccolato, viene venduto dal panettiere, non nelle pasticcerie, e serve prevalentemente a colazione e merenda, spalmato di burro, ma anche come accompagnamento a formaggi, salumi e paté, che in Belgio hanno sapori spesso intensi, molto salati od affumicati. 

Interessantissime le dispute sull'origine del nome, che lascerei per il momento da parte per provare a ricostruirne una ricetta credibile per l'epoca del nostro pittore. I ribes secchi a quanto pare entrano nell'impasto solo con l'800, così come le perle di zucchero che lo rendono croccantino ai denti. Prima questo pane dolce non prevedeva ne' frutta, ne' le perle di zucchero ma in omaggio al sontuoso grappolo di uva ed alle prugne scure ritratti da Van Aelst decido di tralasciare le perle ma inserire uva passa e prugne secche, spostandomi così per l'epoca decisamente nello stile "pane di lusso".

Utilizzo però, come all'epoca proprio per il pane, del lievito liquido naturale, cui aggiungo una punta di lievito "di birra" in omaggio alla tradizione locale (e per aiutare, visto che di manitoba ai tempi nemmeno l'ombra). Addirittura la semplice farina totalmente bianca era rara all'epoca, quindi la rendo un filo più rustica con una manciata di integrale, e lo zucchero bianco nemmeno era conosciuto, ecco il perchè del più scuro zucchero di canna. 

E restando a cavallo della storia di questa ricetta, non cuocio più solo delle pagnottine dolci ma con burro uova e frutta, ne faccio un vero e proprio dolce da credenza, cotto intero in uno stampo in modo che la presentazione risulti più elegante per una tavola di riguardo. Va servito poi a fette, con uva fresca e, volendo, del burro morbido leggermente salato.

CRAMIQUE IN VERSIONE SEICENTESCA
Ingredienti per uno stampo rettangolare da 22x11 cm o per 8-12 pagnottelle:
200 g di farina bianca
50 g di farina integrale
75 g di licoli
5 g di lievito fresco
130 g di uova (3 piccole o 2 grandi più un pochino di latte)
85 g di burro leggermente salato, a temperatura ambiente
60 g di zucchero di canna
80 g di uvetta
20 g di prugne secche, a pezzettini
latte per spennellare

Ammollare la frutta in 45 g di acqua bollente per almeno mezz’ora, in modo che la assorba per bene, quindi scolare eventuale liquido residuo e strizzare delicatamente.

Mescolare le farine con licoli e lievito fresco sbriciolato nella planetaria con il gancio per 1 minuto a velocità bassa; unire poi lo zucchero e le uova e lavorare altri 3 minuti a velocità bassa, poi per 5 minuti alla velocità subito superiore.

Ridurre il burro morbido a pomata, unirlo all’impasto e lavorare altri 5-10 minuti, sempre alla seconda velocità, fino a che l’impasto si incorda. E' normale che sia molto morbido e appiccicoso.

Unire la frutta, sgocciolata e appena strizzata, mescolare delicatamente con le mani o una spatola per incorporarla in modo uniforme, quindi coprire e mettere a lievitare in luogo tiepido per 2 ore e mezza. Dovrà più che raddoppiare.

Dare qualche piega all’impasto, che ovviamente si sgonfierà, lasciarlo riprendere per una mezz’ora quindi stagliarlo delicatamente in palline da distribuire su una placca rivestita di carta forno oppure formare un unico cilindro e inserirlo in uno stampo, sempre rivestito di carta forno. e far lievitare altre due ore e mezza circa.
Spennellare molto delicatamente con il latte e infornare a 180 °C statico per 20 minuti, quindi coprire la superficie con alluminio e cuocere altri 15-20 minuti a 150 °C. Sformare e raffreddare su una gratella. Affettare solo quando è ben freddo.
  • rivoli affluenti:
  • l'immagine del dipinto con Vaso di cristallo viene da qui, quello con Frutta da qui; la foto dello chef è presa qui.
  • Flandrin Jean-Louis, "L'alimentazione contadina in un'epoca di sostentamento" in Flandrin, Montanari (cura), Storia dell'alimentazione, Laterza, 1997, ISBN 88-420-5347-3

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