In varie zone d'Italia il 2 novembre, giorno di commemorazione dei defunti, per antichissima tradizione popolare si serviva in tavola la minestra dei morti, una zuppa a base di legumi di cui qualche porzione spesso vieniva offerta a poveri e mendicanti mentre qualcun'altra veniva lasciata la sera sul tavolo, per i parenti già trapassati che sarebbero venuti a visitare la casa durante la notte.
A seconda della zona si trattava di fagioli, di ceci, di fave o di un misto, in Lombardia spesso cotti con le parti povere del maiale. Se l'usanza del cibo lasciato la sera per i morti sembra avere origini celtiche, come si diceva l'altro giorno anche a proposito della zucca, il legame tra legumi ed aldilà risale invece all'antica Grecia ed ancor prima all'Egitto, dove sono sempre stati protagonisti dei riti funerari e simbolo di comunicazione con il regno dei morti.
Un'interessante approfondimento del rapporto tra oltretomba e legumi è questo, ma indipendentemente dalla ricostruzione storica delle tradizioni perdute, la cosa che più mi interessa è capire come mai queste siano scomparse. Perchè se fino a qualche decennio fa la morte faceva parte naturalmente delle nostre famiglie, ora quasi nemmeno la si nomina: si finge che non c'entri con la vita e con il quotidiano, la si nasconde ai bambini e moltissime usanze ad essa legate sono state non direi solo dimenticate ma veramente rimosse.
E' diventata un'estranea, una sconosciuta che con il suo arrivo sconvolge i deboli equilibri, impreparati al dolore, su cui tentiamo di reggerci. E questo non è utile ne' educativo per nessuno. Oltre che dal pensiero del futuro, l'idea e l'esperienza della morte sono sparite anche dalla percezione del presente e dal ricordo del passato, rischiando a volte di travolgere in questo colpo di spugna anche persone che invece del nostro passato hanno fatto parte.
Per quel che vale la mia esperienza, nel Varesotto come in Canton Ticino la specialità per questa ricorrenza non è una zuppa ma un biscotto a base di mandorle, talmente duro che va intinto nel vino o sgranocchiato con pazienza e buoni denti. E' detto oss di mort o oss de mord, nome che in base alla pronuncia può significare sia "ossa dei morti" che "ossa da mordere"...
Non sono ferratissima sulle tradizioni gastronomiche locali perchè quando ero bambina in famiglia per quel giorno non avevamo piatti dedicati, nemmeno apparivano sulla tavola i suddetti biscottini per la verità. Però è sempre stata un'abitudine fare insieme il "giro dei cimiteri" dove erano sepolti i nostri cari. E, come per un tacito appuntamento, si incontrava sempre qualche parente tra le tombe e si finiva inevitabilmente a casa dell'uno o dell'altro, trascorrendo il pomeriggio in chiacchiere con prozii, cugini e bisnipoti che altrimenti era raro frequentare.
Si mangiucchiava, si brindava, si condividevano ricordi, aneddoti, aggiornamenti,. pettegolezzi e leggende di famiglia. Ed i piccoli imparavano la propria storia ed il valore delle origini condivise.Anche quando per legge le ricorrenze dei Santi e dei Morti sono state riunite in un unico giorno festivo al 1° novembre l'abitudine è stata mantenuta. Se non che la presuntuosa spocchia dell'adolescenza mi ha tenuto ben presto ed a lungo lontana da questa riunione quasi rituale.
Ora che ne ho capito il valore quasi tutti gli anziani e gli adulti dell'epoca non ci sono più e la nuova generazione è molto più dispersa e meno legata della precedente. Sono dunque anni che la giornata dei morti non si trascorre più così. Non è tanto il rito che mi manca, quanto il calore di quelle riunioni familiari.
Perchè era confortante legare la visita alle tombe delle persone care con l'incontro tra amici e parenti che li avevano conosciuti e con cui si poteva condividere la loro memoria. Dava a tutti uno stesso senso di continuità, di comunione, di legame profondo con le proprie origini che era superiore al trascorrere del tempo ed a qualsiasi disgrazia personale.
Ma forse una memoria tanto profonda e condivisa ora farebbe paura. Ci costringerebbe a confrontarci con modelli che vivevano secondo valori difficili: duro lavoro, onestà, solidarietà non condizionata. Inoltre "ritrovarsi sugli argini e contarsi", come dice Vecchioni, con ogni anno qualcuno di nuovo che manca all'appello, ci mette a confronto con la morte vera. E la sua esorcizzazione, tanto tipica di un mondo che rifiuta di guardare ciè che può ferire, non ci serve a nulla, in quel momento siamo soli e senza strumenti consolidati.
La morte oggi viene nascosta, quando non completamente negata. I bambini la imparano quotidianamente in versione sublimata attraverso TV e videogiochi ma raramente capita che possano salutare "dal vivo" il nonno nella bara o che venga spiegato loro davvero quello che significa "morire" nella vita reale. Gli adulti ci scherzano con le zucche di halloween ed i film horror, ma il moribondo va ospedalizzato, un funerale in casa non è più un evento naturale ed il contatto fisico con il morto viene completamente demandato agli specialisti delle pompe funebri.
Perchè non spiegare invece la morte ai bambini perchè la vivano come una normale componente della vita, da affrontare con armonia e naturalezza, preparati ed aperti e non sorpresi ed in fuga di fronte al dolore che implica?
Perchè non abituare i bambini ad apparecchiare un po' di cibo per i nostri morti come si fa per le renne di Babbo Natale, con la stessa aura di magico mistero, insegnando da subito che il rimpianto dell'anima può essere stemperato dalla tenerezza dei gesti e dalla dolcezza della condivisione? Perchè non raccontare abitualmente le storie di famiglia come favola della buonanotte? Abbiamo tali miti e tali esperienze nelle pieghe passate di ogni nucleo familiare ed una tale povertà di tradizione orale, ora che la sera non ci si riunisce più davati al camino...
E alla fine perchè oggi non recuperare, insieme al cibo della ricorrenza, anche la semplicità del suo nome, chiamandolo come facevano i nostri nonni? Non dovrebbe suonare macabro ma familiarmente rassicurante. Come siamo abituati dunque a sbafarci le uova di Pasqua, la torta di Compleanno, le frittelle di Carnevale ed il cappone di Natale... oggi non ci mangiamo una qualsiasi zuppa lombarda di ceci e maiale ma, guarda un po':
La minestra dei Morti
ingredienti per 4 persone:
250 gr. di ceci secchi
150 gr. di cotiche di maiale
8 verzitt (salsiccine lombarde da cassöla, sostituibili con circa 200 gr. di salsiccia)
1 osso di manzo da brodo
2 cipolle
1/2 porro
1 carota
1 costa di sedano
2 cucchiai di funghi secchi
1 spicchio di aglio
1 foglia di alloro
6 foglie di salvia
2 piccoli rametti di rosmarino
1 pezzetto di alga kombu circa 6x6 cm.
4 grani di pepe + pepe al mulinello
2 cucchai di olio extravergine leggero
sale grosso
bicarbonato
Mettere a bagno i ceci in abbondante acqua con un pizzico di bicarbonato per almeno 12 ore, quindi scolarli e sciacquarli bene sfregandoli leggermente tra le mani per eliminare le pellicine che dovessero essersi staccate.
Metterli in un tegame di coccio insieme ad una cipolla intera sbucciata, ai grani di pepe, ad un rametto di rosmarino, all'alloro e a 3 foglie di salvia. Unire 1 cucchiaio di olio, l'alga (che non da sapore, serve solo ad evitare i fastidiosi effetti collaterali dei legumi) e coprire con circa 700 ml. di acqua. Coprire, portare a bollore e cuocere a fuoco dolce per circa 1 ora e mezza, fino a che i ceci saranno belli morbidi.
Nel frattempo mettere a bagno i funghi in un bicchiere di acqua tiepida; tritare grossolanamente la seconda cipolla con carota, sedano e porro; schiacciare lo spicchio di aglio; grattare la cotenna di maiale e tagliarla a striscioline.
Scaldare il secondo cucchiaio di olio in un altro tegame di coccio e soffriggervi brevemente le verdure tritate con l'aglio, la salvia ed il rosmarino rimasti, i funghi scolati e sminuzzati e l'osso da brodo, in modo che si colorino leggermente.
Unirvi le cotiche, saltare altri 30 secondi quindi coprire con circa 1 litro scarso di acqua più 'acqua di ammollo dei funghi filtrata; unire una presa di sale, coprire, portare ad ebollizione e cuocere, sempre a fuoco basso, per circa un'ora, fino a quando le cotiche sono abbastanza morbide.
Scolare i ceci con un mestolo forato e versarli nell'altro tegame, levare l'osso da brodo e rimestare bene, quindi tuffare le salsicce nella minestra dopo averle leggermente sforacchiate (oppure tagliandole a grosse rondelle), facendo in modo che vengano ben coperti dal brodo e cuocere un altra mezz'ora.
Se la zuppa si asciuga troppo aggiungere qualche cucchiaio dell'acqua di cottura dei ceci, se rimane troppo brodosa alzare leggermente la fiamma e lasciar cucoere scoperto qualche minuto, regolando di sale poco prima di spegnere e spolverizzando con una leggera grattata di pepe.
Servire la minestra ben calda con un paio di verzitt a testa. E' ottima anche riscaldata il giorno dopo. Se non si usa l'osso ed il brodo viene quindi meno "gelatinoso", per una minestra più legata si possono passare un mestolo o due di ceci scolati ed unirli al resto, scaldando tutto bene prima di servire.
A seconda della zona si trattava di fagioli, di ceci, di fave o di un misto, in Lombardia spesso cotti con le parti povere del maiale. Se l'usanza del cibo lasciato la sera per i morti sembra avere origini celtiche, come si diceva l'altro giorno anche a proposito della zucca, il legame tra legumi ed aldilà risale invece all'antica Grecia ed ancor prima all'Egitto, dove sono sempre stati protagonisti dei riti funerari e simbolo di comunicazione con il regno dei morti.
Un'interessante approfondimento del rapporto tra oltretomba e legumi è questo, ma indipendentemente dalla ricostruzione storica delle tradizioni perdute, la cosa che più mi interessa è capire come mai queste siano scomparse. Perchè se fino a qualche decennio fa la morte faceva parte naturalmente delle nostre famiglie, ora quasi nemmeno la si nomina: si finge che non c'entri con la vita e con il quotidiano, la si nasconde ai bambini e moltissime usanze ad essa legate sono state non direi solo dimenticate ma veramente rimosse.
E' diventata un'estranea, una sconosciuta che con il suo arrivo sconvolge i deboli equilibri, impreparati al dolore, su cui tentiamo di reggerci. E questo non è utile ne' educativo per nessuno. Oltre che dal pensiero del futuro, l'idea e l'esperienza della morte sono sparite anche dalla percezione del presente e dal ricordo del passato, rischiando a volte di travolgere in questo colpo di spugna anche persone che invece del nostro passato hanno fatto parte.
Per quel che vale la mia esperienza, nel Varesotto come in Canton Ticino la specialità per questa ricorrenza non è una zuppa ma un biscotto a base di mandorle, talmente duro che va intinto nel vino o sgranocchiato con pazienza e buoni denti. E' detto oss di mort o oss de mord, nome che in base alla pronuncia può significare sia "ossa dei morti" che "ossa da mordere"...
Non sono ferratissima sulle tradizioni gastronomiche locali perchè quando ero bambina in famiglia per quel giorno non avevamo piatti dedicati, nemmeno apparivano sulla tavola i suddetti biscottini per la verità. Però è sempre stata un'abitudine fare insieme il "giro dei cimiteri" dove erano sepolti i nostri cari. E, come per un tacito appuntamento, si incontrava sempre qualche parente tra le tombe e si finiva inevitabilmente a casa dell'uno o dell'altro, trascorrendo il pomeriggio in chiacchiere con prozii, cugini e bisnipoti che altrimenti era raro frequentare.
Si mangiucchiava, si brindava, si condividevano ricordi, aneddoti, aggiornamenti,. pettegolezzi e leggende di famiglia. Ed i piccoli imparavano la propria storia ed il valore delle origini condivise.Anche quando per legge le ricorrenze dei Santi e dei Morti sono state riunite in un unico giorno festivo al 1° novembre l'abitudine è stata mantenuta. Se non che la presuntuosa spocchia dell'adolescenza mi ha tenuto ben presto ed a lungo lontana da questa riunione quasi rituale.
Ora che ne ho capito il valore quasi tutti gli anziani e gli adulti dell'epoca non ci sono più e la nuova generazione è molto più dispersa e meno legata della precedente. Sono dunque anni che la giornata dei morti non si trascorre più così. Non è tanto il rito che mi manca, quanto il calore di quelle riunioni familiari.
Perchè era confortante legare la visita alle tombe delle persone care con l'incontro tra amici e parenti che li avevano conosciuti e con cui si poteva condividere la loro memoria. Dava a tutti uno stesso senso di continuità, di comunione, di legame profondo con le proprie origini che era superiore al trascorrere del tempo ed a qualsiasi disgrazia personale.
Ma forse una memoria tanto profonda e condivisa ora farebbe paura. Ci costringerebbe a confrontarci con modelli che vivevano secondo valori difficili: duro lavoro, onestà, solidarietà non condizionata. Inoltre "ritrovarsi sugli argini e contarsi", come dice Vecchioni, con ogni anno qualcuno di nuovo che manca all'appello, ci mette a confronto con la morte vera. E la sua esorcizzazione, tanto tipica di un mondo che rifiuta di guardare ciè che può ferire, non ci serve a nulla, in quel momento siamo soli e senza strumenti consolidati.
La morte oggi viene nascosta, quando non completamente negata. I bambini la imparano quotidianamente in versione sublimata attraverso TV e videogiochi ma raramente capita che possano salutare "dal vivo" il nonno nella bara o che venga spiegato loro davvero quello che significa "morire" nella vita reale. Gli adulti ci scherzano con le zucche di halloween ed i film horror, ma il moribondo va ospedalizzato, un funerale in casa non è più un evento naturale ed il contatto fisico con il morto viene completamente demandato agli specialisti delle pompe funebri.
Perchè non spiegare invece la morte ai bambini perchè la vivano come una normale componente della vita, da affrontare con armonia e naturalezza, preparati ed aperti e non sorpresi ed in fuga di fronte al dolore che implica?
Perchè non abituare i bambini ad apparecchiare un po' di cibo per i nostri morti come si fa per le renne di Babbo Natale, con la stessa aura di magico mistero, insegnando da subito che il rimpianto dell'anima può essere stemperato dalla tenerezza dei gesti e dalla dolcezza della condivisione? Perchè non raccontare abitualmente le storie di famiglia come favola della buonanotte? Abbiamo tali miti e tali esperienze nelle pieghe passate di ogni nucleo familiare ed una tale povertà di tradizione orale, ora che la sera non ci si riunisce più davati al camino...
E alla fine perchè oggi non recuperare, insieme al cibo della ricorrenza, anche la semplicità del suo nome, chiamandolo come facevano i nostri nonni? Non dovrebbe suonare macabro ma familiarmente rassicurante. Come siamo abituati dunque a sbafarci le uova di Pasqua, la torta di Compleanno, le frittelle di Carnevale ed il cappone di Natale... oggi non ci mangiamo una qualsiasi zuppa lombarda di ceci e maiale ma, guarda un po':
La minestra dei Morti
ingredienti per 4 persone:
250 gr. di ceci secchi
150 gr. di cotiche di maiale
8 verzitt (salsiccine lombarde da cassöla, sostituibili con circa 200 gr. di salsiccia)
1 osso di manzo da brodo
2 cipolle
1/2 porro
1 carota
1 costa di sedano
2 cucchiai di funghi secchi
1 spicchio di aglio
1 foglia di alloro
6 foglie di salvia
2 piccoli rametti di rosmarino
1 pezzetto di alga kombu circa 6x6 cm.
4 grani di pepe + pepe al mulinello
2 cucchai di olio extravergine leggero
sale grosso
bicarbonato
Mettere a bagno i ceci in abbondante acqua con un pizzico di bicarbonato per almeno 12 ore, quindi scolarli e sciacquarli bene sfregandoli leggermente tra le mani per eliminare le pellicine che dovessero essersi staccate.
Metterli in un tegame di coccio insieme ad una cipolla intera sbucciata, ai grani di pepe, ad un rametto di rosmarino, all'alloro e a 3 foglie di salvia. Unire 1 cucchiaio di olio, l'alga (che non da sapore, serve solo ad evitare i fastidiosi effetti collaterali dei legumi) e coprire con circa 700 ml. di acqua. Coprire, portare a bollore e cuocere a fuoco dolce per circa 1 ora e mezza, fino a che i ceci saranno belli morbidi.
Nel frattempo mettere a bagno i funghi in un bicchiere di acqua tiepida; tritare grossolanamente la seconda cipolla con carota, sedano e porro; schiacciare lo spicchio di aglio; grattare la cotenna di maiale e tagliarla a striscioline.
Scaldare il secondo cucchiaio di olio in un altro tegame di coccio e soffriggervi brevemente le verdure tritate con l'aglio, la salvia ed il rosmarino rimasti, i funghi scolati e sminuzzati e l'osso da brodo, in modo che si colorino leggermente.
Unirvi le cotiche, saltare altri 30 secondi quindi coprire con circa 1 litro scarso di acqua più 'acqua di ammollo dei funghi filtrata; unire una presa di sale, coprire, portare ad ebollizione e cuocere, sempre a fuoco basso, per circa un'ora, fino a quando le cotiche sono abbastanza morbide.
Scolare i ceci con un mestolo forato e versarli nell'altro tegame, levare l'osso da brodo e rimestare bene, quindi tuffare le salsicce nella minestra dopo averle leggermente sforacchiate (oppure tagliandole a grosse rondelle), facendo in modo che vengano ben coperti dal brodo e cuocere un altra mezz'ora.
Se la zuppa si asciuga troppo aggiungere qualche cucchiaio dell'acqua di cottura dei ceci, se rimane troppo brodosa alzare leggermente la fiamma e lasciar cucoere scoperto qualche minuto, regolando di sale poco prima di spegnere e spolverizzando con una leggera grattata di pepe.
Servire la minestra ben calda con un paio di verzitt a testa. E' ottima anche riscaldata il giorno dopo. Se non si usa l'osso ed il brodo viene quindi meno "gelatinoso", per una minestra più legata si possono passare un mestolo o due di ceci scolati ed unirli al resto, scaldando tutto bene prima di servire.
- rivoli affluenti:
- ritrovarsi e contarsi: Roberto Vecchioni, "Canzone per Sergio", in Samarcanda, 1977
- i pretesti per negare la sofferenza della morte: Philippe Ariès, L'uomo e la morte dal Medioevo ad oggi, Editori Laterza
Bellissimo post! Esattamente le sensazioni del mio ricordo. Se non ti spiace ti rubo una foto.
RispondiEliminaE' un post bellissimo, che affronta un argomento importante. Da tempo sostengo con amarezza che l'unico tabu della nostra società sia la morte: si è sdoganato tutto e il contrario di tutto e invece si è sempre più a disagio con una realtà che ci riguarda e che, fino a pochi anni fa, faceva parte del quotidiano. Io sono cresciuta in campagna e mio padre ha sempre amato pescare- e quindi per noi veder morire dei pesci o sentire di animali che venivano macellati o uccisi era assolutamente normale, anzi: veniva percepito come una parte essenziale del ciclo dela vita. I riti dei morti, poi, erano i riti più importanti, quelli che consolidavano i legami familiari: i nostri morti venivano ricordati ad ogni festività, in modo naturale e spontaneo e per mia nonna era inconcepibile non visitare le tombe dei suoi cari almeno una volta al mese: se penso che oggi la maggior parte dei nostri figli sono a scuola- ma magari sabato scorso erano in giro a festeggiare Halloween- mi viene una tristezza infinita.
RispondiEliminaGrazie per queste riflessioni e per questa ricetta.
Un bacione
Ale
Ciaocara, bellissimo il tuo post!
RispondiEliminaCondivido in pieno ciò che dici!Da noi, oggi, a pranzo, come sempre il 2 Novembre, c'è la pasta e ceci, minestra tradizionale della Commemorazione dei Defunti. Ieri, 1 Novembre, al solito, pollo e quaglie, comunque un"becco" come si usa qui a Genova. Le mie figlie, per fortuna, rispettano con fervore ed amore le tradizioni familiari. Niente halloween per noi!
La morte è una cosa seria, non un videogioco horror da condividere sgranocchiando pop corn!
Grazie, per le belle parole e il sentimento dolce e pacato che le accompagna!
Post: bello, bello, bello. Reazione: da rileggere con calma, paragrafo per paragrafo
RispondiEliminaMinestra: grassa, grassa, grassa. Reazione: echissenefrega
@enrico: se vuoi ti mando una foto diversa, anche se in tutte si vedono poco le cotiche che tu nomini e molto le salsicce che tua mamma non usava...
RispondiElimina@ale: grazie, mi sentivo così anacronistica a non nascondere il profondo valore aggregativo di condivisione di queste giornate dietro una maschera carnevalesca. Perchè poi il dolore e la paura ti rimangono dentro lo stesso, quindi va anche bene imparare a sdrammatizarli ogni tanto ma non si può rinunciare anche aconoscerli... e la familiarità con i vampiri di Twilight non aiuta ad affrontare davvero ne'la vita ne' la morte.
@patrizia: appunto... E tu devi solo essere orgogliosa di essere riuscita a trasmettere alle tue figlie strumenti indispensabili al confronto con il reale, tipo proprio la pacatezza e la serenità interiore.
PS: racconta racconta, mi interessano le tradizioni e le ricette liguri che non conosco...
@corradoT: dopo la tua sbafata russa credo che questi due innocui pezzettini di maiale non ti possano proprio spaventare!
E poi ho usato olio invece di lardo e ci ho pure messo l'alga "antiaria", quindi c'abbiamo pure l'alibi...
Bel post...me lo leggo con calma!!Grazie
RispondiElimina@eli.fla: grazie, tanto non c'è fretta...
RispondiEliminaLibro! Libro! L'aggiunta di alga kombu e' un tocco di un genio..
RispondiEliminaLe ossa di morto ogni tanto le faccio ancora,mia mamma mi dice che quando era piccola lei esistevano a forma di tibia,pero' io non le ho mai viste ne' ho mai trovato le formine!
Baci.
@adith pilaff: altro che libro, dimmi tu invece come fai le ossa dei morti!!! Qui sono a forma di "offella" un po' allungata, diciamo tra in rombo e l'ovale.
RispondiEliminaSe non lo trovi lo stampino a tibia nei normali negozi di casalinghi prova a cercarlo i quelli per animali...
quanta misura e armonia nelle tue parole Acquaviva! Grazie per avermi invitato a una riflessione che mi vedeva recalcitrante, modello mulo, ma che, poi, mi ha portato a iniziare la giornata di ieri con il dolcetto "da meditazione" e "da sgranocchio" ( no Corrado, non è da inzuppo!) che descrivi tu, insieme a un tazzone da latte (di latte) che mi segue, casa dopo casa, da quando sono bambina. Insieme a chi ha diviso con me tanti inizi di giornata.
RispondiElimina@iomilanese.laura: senti... quando sei un bambino negli anni '60 a tavola con nonni veneti nel vino ci inzuppi qualsiasi cosa, a partire dal pane che hai davanti per finire con le fette di frutta di fine pasto. Figurarsi se nel bicchiere non ci cascavano pure i biscottini...
RispondiEliminaQuesta immagine del mulo negazionista che si perde nella tazza del latte mi commuove.
Oggi non si parla più della morte perchè le generazioni dell'"apparire" prima che dell'"essere" sono eticamente già parzialmente morte dentro e quindi come pretendi che un non-valore sia riconosciuto come tale. Bada bene questa non è l'anacronistica e amara riflessione di uno (io nella fattispecie) che sta invecchiando perchè nelle nuove leve io ho grande speranza per aspetti e sensibilità che invece forse a noi sono mancati e nemmeno comprendiamo. La mia è solo una considerazione sul panta rei che inevitabilmente porta altro con sè che è diverso da quello che c'era prima.
RispondiEliminaProbabilmente e qui mi sforzo di essere ottimista...per un valore che pensiamo si perda uno nuovo si acquisisce ma forse siamo noi a non avere gli strumenti per rilevarlo lucidamente.
Firmato
Uno...che vecchio lo era già da adolescente! :DD ahaahahahahahah
@diciamo che se le nuove generazioni potessero cogliere fin da principio proprio il senso del panta rei forse avrebbero un atteggiamento meno superficiale rispetto alla morte. Ma è lo stesso difetto che avevamo noi "da giovanissimi" (che "giovani" lo siamo ancora, dai... almeno dentro!): credersi invincibili ed immortali.
RispondiElimina(Parlo per me)
RispondiElimina"E facciamocela questa concessione va...oggi mi sento anche io giovane dentro!!!" ahahahahahah :DDD
Grazie per la dritta del pet shop!
RispondiEliminaLa mamma mi dice infatti che le ossa dei morti le vendevano nelle "offellerie",ma quand'ero piccola io gia' le offellerie non esistevano piu'...
La ricetta che uso io e' ,paradossalmente,italo-americana.
Appena la becco tra le mie cianfrusaglie te la passo.
Ciao!
@edith pilaff: ti aspetto, ancor più incuriosita dalle radici ibride della tua versione...
RispondiEliminaCondivido a pieno il tuo pensiero... vedo scomparire molte cose in questi giorni, dalle nostre tradizioni che fan posto a quelle straniere... dalle ricette che han sempre fatto parte della nostra tradizione (da noi le fave dei morti per esempio) per far posto ai dolcetti di Halloween... al valore più intrinseco della morte nella vita e come hai ben detto tu... non se ne parla... ma la si vede ovunque insieme alla violenza! ...e poi come dicevi...si perdono il valore delle leggende e tradizioni e storie familiari!
RispondiEliminaLo sai che non conoscevo questa zuppa?! ... la proporrò d'ora in poi! :)
bacioni!
@terry: in cambio voglio notizie sulle tue tradizioni con le fave...
RispondiEliminabellissimo post, e sai perchè, per noi la giornata del 1 novembre era anche una festa perchè era il compleanno di mio padre. Uscivamo di gran fretta, dopo aver mangiato minimo la cassoeula (ricordo assieme alle preghiere anche la digestione faticosa) per andare sulla tomba di mio nonno paterno che casualmente si trova vicino anche alle tombe dei suoi cognati e cognate.
RispondiEliminaC'erano tutti i cugini, i fratelli di mio padre con le loro famiglie e dopo aver "benedetto" i defunti si correva a casa a festeggiare il fratello maggiore, colui che ha sempre avuto anche il potere legante in famiglia. Me lo ricordo così: sempre abbronzato (da pescatore appassionato), con il suo impermeabile chiaro e le lacrime agli occhi.
In questi anni con i miei figli e, fortunatamente, mio marito non abbiamo cambiato le abitudini tranne forse la cassoeula....
Per quanto riguarda le abitudini invece, in casa di mia mamma, nel paese vicino, c'era l'usanza di cuocere le castagne e lasciarle la sera perchè fossero a disposizione dei morti...Lo fa' ancora.
Grazie Annalena!
@gabri: grazie a te per la tua testimonianza così intima...
RispondiElimina