Interessanti i costumi sociali tibetani incontrati da Marco Polo, che ci racconta come la verginità fosse indice di poca desiderabilità tra le donne tibetane, tanto che le fanciulle che potevano dimostrare di essere state apprezzate da numerosi amanti sfoggiando i monili ricevuti da loro in dono erano poi le più richieste come mogli.
Tracce di questa mentalità rimangono testimoniate fino a qualche decennio fa da viaggiatori che si vedevano offrire la sposa in segno di ospitalità dal marito come il maggior valore disponibile in casa. Altri ai giorni nostri narrano di una stessa donna sposata da più fratelli o membri maschili della stessa famiglia, probabilmente a dimostrazione di quanto fossero tenute in conto le doti di tale donna e, secondo qualche sociologo, forse anche come semplice accorgimento per non vedere disperso il patrimonio di famiglia in questioni di successione.
Da lontano immaginiamo il Tibet come un Paese roccioso e mistico, abitato da monaci perseguitati, disseminato di monasteri in luoghi impervi, completamente dedito alla spiritualità. Forse per questo ci sembrano quasi "fuori luogo" questi racconti, che innegabilmente filtriamo attraverso il giudizio della nostra moralità e tendiamo a giudicare se non altro sessualmente "curiosi".
In realtà in un territorio così impervio e dal clima tanto rigido (sembra che le popolazioni tibetane abbiano addirittura delle predisposizioni genetiche che favoriscono la sopravvivenza alle temperature estreme dell'alta quota) la storia non poteva che sviluppare dei costumi sociali mirati a garantire la riproduzione della specie, intrecciando dei legami familiari praticamente indissolubili ed ignorando qualsiasi tentazione di egoismo.
La nostra visione parziale ce ne fa tracciare un giudizio di distaccato scetticismo. Chissà potendo levare questi occhiali tinti di moralità e romanticismo come ci apparirebbero invece delle usanze tanto differenti dalle nostre. E chissà quali alla fine sceglieremmo, si trattasse della nostra sopravvivenza in quei luoghi per generazioni.
Ma siamo davvero capaci di una semplice acquisizione della notizia completa di sospensione del giudizio? Probabilmente no, perchè in settecento e passa anni poco è cambiato: le nostri reazioni esprimono lo stesso sbigottimento di Marco Polo e forse pure un pochino di diffidenza in più.
Simmel sosteneva che automaticamente allontaniamo ciò che è diverso da noi perchè ciò che non conosciamo ci risulta sempre pericoloso e tendiamo a difendercene invece che a capire. Alla faccia della volontà di integrazione, della globalizzazione e di tutto quello che siamo tanto bravi a raccontarci.
Chissà se anche Marco Polo sarà stato tanto diffidente verso quegli originali costumi o se avrà contribuito volentieri a sostenere l'onore di qualche fanciulla tibetana... Di certo comunque, che si trattasse delle fatiche del viaggio o di quelle dell'amplesso, avrà ad un certo punto cercato ristoro in una zuppa calda e confortante.
Cosa avrà trovato disponibile nel Tibet di allora? La prima alternativa consisteva nell'unire al tè salato con burro che aveva assaggiato qualche giorno fa un po' di tsampa, una farina di orzo tostato onnipresente nei piatti della cucina tibetana, in modo da ottenere una ricca e densa "zuppa di tè".
L'orzo però in Tibet era disponibile anche in grani e, ora come allora, è molto usato per i thug-pa, ovvero le zuppe. Si usa orzo integrale, che deve cuocere a lungo. Per questa volta la vivandiera della sua carovana abbandola il tè e si dedica ad una zuppa di verdura. Qui per semplificare ho riprodotto una ricetta classica tibetana ma con orzo perlato. Se si preferisse l'orzo intero la cottura va prolungata di almeno una mezz'ora.
Thug-pa - Zuppa tibetana di orzo, con funghi
ingredienti per 4/6 persone:
150 gr. di orzo perlato
300 gr. di funghi misti (qui champignon, pletorus e chiodini)
4 funghi shijtake secchi (oppure 1 cucchiaio di porcini secchi)
4 funghi mu-her secchi (oppure qualche spugnola)
1 carota
50 gr. di burro di yak (o burro leggermente salato)
2 cucchiai di salsa di soja
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
sale
pepe al mulinello
Mettere a bagno i funghi secchi in 250 ml. di acqua calda (non bollente) per una mezz'oretta, quindi scolarli e tagliarli a fettine eliminando il gambo deglli shijtake, conservando l'acqua di ammollo e filtrandola attraverso un colino foderato di carta da cucina.
Pulire molto bene i funghi freschi con un panno umido per eliminare tutta la terra e tagliarli a fettine; tritare grossolanamente la carota; sciacquare brevemente l'orzo sotto l'acqua corrente e lasciarlo scolare bene; portare ad ebollizione circa 1 lt. di acqua.
Sciogliere il burro in una pentola dai bordi alti e saltarvi tutti i funghi e le carote a fuoco medio, senza mescolare troppo per evitare di rompere i funghi più teneri, fino a che cacciano eventuale acqua di vegetazione, quindi salare leggermente e saltare a fuoco vivace fino a che sono belli asciutti ma ancora non hanno cominciato a dorare. Ci vorrà in tutto circa una decina di minuti.
Unire l'orzo e tostare per circa un minuto, in modo che si insaporisca bene, quindi versare nel tegame l'acqua filtrata dei funghi e circa 700/800 ml. di acqua bollente.
Cuocere coperto per circa 20/25 minuti, fino a che l'orzo è morbido ma non spappolato, la zuppa ha una consistenza leggermente cremosa ed emergono in superficie una leggerissima occhiatura dorata di burro.
Se si vuole una zuppa più densa lasciar cucoere scoperto gli ultimi 5 minuti a fuoco vivace, se si preferisce più liquida (come ho fatto io) aggiungere gradualmente qualche altro cucchiaio di acqua bollente.
Condire con la salsa di soja, il prezzemolo ed abbondante pepe macinato al momento, regolare se serve di sale, mescolare bene, lasciar riposare coperto un paio di minuti e servire ben caldo.
Carote e prezzemolo in realtà sono aggiunte mie per dare un guizzo di colore ad una minetra altrimenti tutta sui toni del bruno-marrone. Con lo stesso sistema in Tibet si preparano altre zuppe di verdura, sostituendo totalmente o parzialmente i funghi con altre verdure disponibili (ad esempio patate, anche se non si trattava di un'alternativa proponibile all'epoca di Marco Polo).
Tracce di questa mentalità rimangono testimoniate fino a qualche decennio fa da viaggiatori che si vedevano offrire la sposa in segno di ospitalità dal marito come il maggior valore disponibile in casa. Altri ai giorni nostri narrano di una stessa donna sposata da più fratelli o membri maschili della stessa famiglia, probabilmente a dimostrazione di quanto fossero tenute in conto le doti di tale donna e, secondo qualche sociologo, forse anche come semplice accorgimento per non vedere disperso il patrimonio di famiglia in questioni di successione.
Da lontano immaginiamo il Tibet come un Paese roccioso e mistico, abitato da monaci perseguitati, disseminato di monasteri in luoghi impervi, completamente dedito alla spiritualità. Forse per questo ci sembrano quasi "fuori luogo" questi racconti, che innegabilmente filtriamo attraverso il giudizio della nostra moralità e tendiamo a giudicare se non altro sessualmente "curiosi".
In realtà in un territorio così impervio e dal clima tanto rigido (sembra che le popolazioni tibetane abbiano addirittura delle predisposizioni genetiche che favoriscono la sopravvivenza alle temperature estreme dell'alta quota) la storia non poteva che sviluppare dei costumi sociali mirati a garantire la riproduzione della specie, intrecciando dei legami familiari praticamente indissolubili ed ignorando qualsiasi tentazione di egoismo.
La nostra visione parziale ce ne fa tracciare un giudizio di distaccato scetticismo. Chissà potendo levare questi occhiali tinti di moralità e romanticismo come ci apparirebbero invece delle usanze tanto differenti dalle nostre. E chissà quali alla fine sceglieremmo, si trattasse della nostra sopravvivenza in quei luoghi per generazioni.
Ma siamo davvero capaci di una semplice acquisizione della notizia completa di sospensione del giudizio? Probabilmente no, perchè in settecento e passa anni poco è cambiato: le nostri reazioni esprimono lo stesso sbigottimento di Marco Polo e forse pure un pochino di diffidenza in più.
Simmel sosteneva che automaticamente allontaniamo ciò che è diverso da noi perchè ciò che non conosciamo ci risulta sempre pericoloso e tendiamo a difendercene invece che a capire. Alla faccia della volontà di integrazione, della globalizzazione e di tutto quello che siamo tanto bravi a raccontarci.
Chissà se anche Marco Polo sarà stato tanto diffidente verso quegli originali costumi o se avrà contribuito volentieri a sostenere l'onore di qualche fanciulla tibetana... Di certo comunque, che si trattasse delle fatiche del viaggio o di quelle dell'amplesso, avrà ad un certo punto cercato ristoro in una zuppa calda e confortante.
Cosa avrà trovato disponibile nel Tibet di allora? La prima alternativa consisteva nell'unire al tè salato con burro che aveva assaggiato qualche giorno fa un po' di tsampa, una farina di orzo tostato onnipresente nei piatti della cucina tibetana, in modo da ottenere una ricca e densa "zuppa di tè".
L'orzo però in Tibet era disponibile anche in grani e, ora come allora, è molto usato per i thug-pa, ovvero le zuppe. Si usa orzo integrale, che deve cuocere a lungo. Per questa volta la vivandiera della sua carovana abbandola il tè e si dedica ad una zuppa di verdura. Qui per semplificare ho riprodotto una ricetta classica tibetana ma con orzo perlato. Se si preferisse l'orzo intero la cottura va prolungata di almeno una mezz'ora.
ingredienti per 4/6 persone:
150 gr. di orzo perlato
300 gr. di funghi misti (qui champignon, pletorus e chiodini)
4 funghi shijtake secchi (oppure 1 cucchiaio di porcini secchi)
4 funghi mu-her secchi (oppure qualche spugnola)
1 carota
50 gr. di burro di yak (o burro leggermente salato)
2 cucchiai di salsa di soja
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
sale
pepe al mulinello
Mettere a bagno i funghi secchi in 250 ml. di acqua calda (non bollente) per una mezz'oretta, quindi scolarli e tagliarli a fettine eliminando il gambo deglli shijtake, conservando l'acqua di ammollo e filtrandola attraverso un colino foderato di carta da cucina.
Pulire molto bene i funghi freschi con un panno umido per eliminare tutta la terra e tagliarli a fettine; tritare grossolanamente la carota; sciacquare brevemente l'orzo sotto l'acqua corrente e lasciarlo scolare bene; portare ad ebollizione circa 1 lt. di acqua.
Sciogliere il burro in una pentola dai bordi alti e saltarvi tutti i funghi e le carote a fuoco medio, senza mescolare troppo per evitare di rompere i funghi più teneri, fino a che cacciano eventuale acqua di vegetazione, quindi salare leggermente e saltare a fuoco vivace fino a che sono belli asciutti ma ancora non hanno cominciato a dorare. Ci vorrà in tutto circa una decina di minuti.
Unire l'orzo e tostare per circa un minuto, in modo che si insaporisca bene, quindi versare nel tegame l'acqua filtrata dei funghi e circa 700/800 ml. di acqua bollente.
Cuocere coperto per circa 20/25 minuti, fino a che l'orzo è morbido ma non spappolato, la zuppa ha una consistenza leggermente cremosa ed emergono in superficie una leggerissima occhiatura dorata di burro.
Condire con la salsa di soja, il prezzemolo ed abbondante pepe macinato al momento, regolare se serve di sale, mescolare bene, lasciar riposare coperto un paio di minuti e servire ben caldo.
Carote e prezzemolo in realtà sono aggiunte mie per dare un guizzo di colore ad una minetra altrimenti tutta sui toni del bruno-marrone. Con lo stesso sistema in Tibet si preparano altre zuppe di verdura, sostituendo totalmente o parzialmente i funghi con altre verdure disponibili (ad esempio patate, anche se non si trattava di un'alternativa proponibile all'epoca di Marco Polo).
- rivoli affluenti:
- per l'istinto a difendersi dal diverso: Georg Simmel, Lo Straniero, 1908.
- ribadisco che un fantastico testo sul Tibet è: Fosco Maraini, Segreto Tibet, Corbaccio
Tutto vero. Non c'è dubbio che la poliandria, frequente almeno un tempo nell'Asia montuosa, sia necessitata dal fatto di non suddividere la scarsa terra coltivabile, parcelizzando l'eredità. Da noilo avevano risolto col sistema del Maso chiuso. Comunque il nostro buon marco quando racconta queste costumanze, e ne vedremo altre , mi par abbia sempre gli occhi golosi, anche se la sua posizione, credo consentisse avere a disposizione un numero notevole di concubine. Però credo che comunque no fossero tutte rose e fiori, in quanto(e ne parlerò a breve) c'è un testo che prescrive anche il numero (obbligatorio) di prestazioni a cui le diverse concubine avevano diritto a secondo della loro scala gerarchica. Non c'è da stupirsi che la farmacopea cinese privilegi i materiali simil viagra, tra tutte le varie specialità medicinali.
RispondiEliminaVallo a raccontare a un italiano di offrire la moglie agli ospiti ... ^___^
RispondiEliminaBuona la zuppa.
Mandi
Mah...il concetto di moralità, inteso come condotta che non offenda e sia considerata congrua dai più, è talmente volatile, soggettivo, fluttuante in base alle epoche, alle zone geografiche, ai ceti sociali che forse conviene coniarne uno ad hoc per la propria vita...Senza scambiare per morale ciò che è più comodo, ovviamente, ma i valori in cui crediamo e che sono il fulcro intorno a cui costruiamo le nostre relazioni.
RispondiElimina@enrico: diciamo che se dal nostro punto di vista è già complicato stare bene per una vita con un solo marito od una sola moglie di certo per considerare qualsiasi variante non basta un cambio di approccio culturale, il primo lavoro serio da fare è proprio sulla propria capacità e sapienza nell'amare ed impostare rapporti.
RispondiEliminaE devo dire che spesso ci penso anche se non ho nessuna intenzione di darmi ad esperimenti poligamici!
@rosetta: no no, non ci penso proprio, a livello di gelosia e possessività ci bastano già i guai che combiniamo così!
Comunque sì, la zuppa è davvero buona ed in realtà, come di certo sai meglio tu di me, soja a parte assomiglia anche a certe zuppe alpine nostrane.
@virò: se confrontiamo il divario tra la condivisione morale di alcune regole base ancora in vigore ai tempi dei nostri genitori (e me ne accorgo soprattutto guardando documentari d'epoca), la moralità personale che troviamo più diffusa mediamente tra le persone comuni ed i modelli di moralità proposti da tv e politica ci si rende conto che il discorso è complessissimo.
In realtà qui mi interessava semplicemente discettare di sospensione del giudizio quando non si conoscono tutti gli elementi della situazione,indipendentemente che si tratti di questione morale o di una lite ad un incrocio...
Pretendi troppa saggezza dal prossimo!
RispondiEliminaSe davvero fossimo capaci di sospendere il giudizio quando non ne sappiamo abbastanza, vivremmo di sicuro in un mondo ben migliore, più silenzioso, meno volgare, più sereno.
L'onestà intellettuale è merce rara e preziosa...
La sospensione di giudizio di cui parli e' cosa senz'altro nobile e saggia e penso che pochissimi siano in grado di metterla in atto.
RispondiEliminaLa zuppa mi ispira assai,sana e corroborante.Per ragioni di colore e praticita' avrei apportato gli stessi cambiamenti che hai proposto tu,ma questa non e' una sorpresa....
:)
@virò: forse un buon inizio sarebbe anche solo quello di essere interessati a saperne un pochino di più prima di partire in quarta, ma sono spessissimo io la prima a non riuscirci!
RispondiElimina@edith.pilaff: credo davvero non sia quasi umanamente possibile.
Secondo me noi potremmo sorprenderci a vicenda solo se ci mettessimo a cucinare spaghetti al pomodoro...
Mi mancava seguire Marco Polo! :)
RispondiEliminaIl Tibet mi ha sempre affascinato sin da piccola, con te ho scoperto nuove usanze... inclusa questa decisamente diversa dalla nostra della verginità come cosa poca attraente! :)
E poi che zuppa... sei unica nel scovare ricette speciali come questa!!!
un abbraccio!
@terry: grazie, ma in quanto ad unicità anche tu ed il tuo mondo di radici non scherzate!
RispondiElimina