Il concetto di presentazione di una tavola nipponica a cui accennava il pasticciere giapponese Tsasuya Ywasaki nel suo intervento ad Identità Golose, è dai noi in Italia poco percepito.
Spessissimo al ristorante siamo convinti di cenare all'orientale anche se sia l'elenco dei piatti nel menù sia l'arrivo delle portate in tavola seguono la sequenza per noi classica di suddivisione in antipasti, primi, secondi e contorni, e le porzioni sono tarate "all'italiana". Capita soprattutto in ristoranti ad insegna giapponese ma a gestione cinese, il cui intento è favorire il più possibile la familiarizzazione del cliente con piatti poco conosciuti e cercare comunque di vendere un numero alto di portate.
In Giappone invece, come anche alla mensa quotidiana cinese, compaiono sulla tavola tanti piatti in contemporanea ma in porzioni relativamente ridotte: una carne o un pesce, un paio di verdure e/o sottaceti, una ciotola di riso ed un bordino non mancano mai anche nel pasto più frugale, mentre quando si tratta di una ricorrenza oppure il numero dei commensali aumenta crescono in proporzione non le porzioni ma il numero di vivande servite.
La sequenza con cui si sceglie di assaggiare i vari alimenti non è codificata come da noi ma assolutamente libera, è anzi buona regola non avventarsi unicamente su un piatto e terminarlo tutto d'un colpo senza aver degustato nel mentre anche qualche boccone degli altri piatti.
Spesso quando siamo di fronte ad un vassoio giapponese con diverse proposte tendiamo a ripercorrere mentalmente le sequenze abituali per un occidentale. Ad esempio siamo portati a sorbire tutta la zuppa all'inizio come fosse un primo... ma rispetto al galateo giapponese è un errore. In realtà dal punto di vista nipponico la zuppa è interpretata più come una bevanda, da sorseggiare a tratti o ancor meglio da godersi a chiusura del pasto, se dobbiamo fare un paragone quasi un'ideale sostituzione del nostro caffè.
Ma la sequanza di assaggio è solo uno degli infiniti aspetti del cibarsi alla giapponese. L'osechi moritsuke, l'arte di composizione di un menù, di presentazione del cibo in tavola e di armonizzazione del cibo con le stoviglie che lo contengono, ha in Giappone una tradizione millenaria ricca di regole che fanno parte dell'educazione di ogni "signorina per bene", oltre che essere bagaglio di base indispensabile per ogni cuoco che si rispetti.
L'estetica del sapore è una componente davvero importantissima della cultura gastronomica del Sol Levante. Avrò modo di tornare con più cura sull'argomento, ora mi è venuta fame e passo direttamente ad un piattino che, ad esempio, viene spesso presentato come entrée chic nei ristoranti giapponesi che hanno adottato uno schema di servizio più occidentale e che in un menù giapponese tradizionale è frequente ritrovare in piccole porzioni a fianco di un piatto più importante, solitamente a base di carne.
Si tratta dello shake no nanbanzuke, un delizioso carpione di salmone che per me rappresenta una sorta di legame tra la mia passione per la tavola giapponese e le personali memorie di bambina. A casa infatti non era raro d'estate panare carne o pesce e ricoprirli di cipolle ed erbe sfumate con aceto caldo, per gustarsi nei giorni successivi un piatto marinato gustoso e saporito, già pronto a temperatura ambiente.
Non credo di essere storicamente tanto lontana dalla realtà in questa mia istintiva associazione mnemonica. Approfondendo l'etimologia infatti, il nome di questo piatto letteralmente significa "salmone in aceto alla barbara", dove la parola nanban, "barbari del sud", si riferisce ai mercanti e navigatori stranieri che arrivavano nei porti giapponesi da Sud, prevalentemente Portoghesi, Africani e Indiani, tra il 1500 ed il 1700, mentre. In campo artistico, inoltre, nanban è la parola giapponese più antica che significhi "influenzato dall'Occidente"...
Il carpione è in effetti un piatto diffuso, con le dovute varianti, in molti paesi europei e dell'Africa mediterranea, dove ha storicamente rappresentato, per la presenza dell'aceto e di erbe, un metodo di prolungamento della conservazione di alimenti facilmente deperibili e di copertura di sapori un pochino alterati. Se gli stessi Giapponesi considerano questo piatto nanban... il legame tra Europa e Giappone, tra carpione e salmone nanban non è solo nella mia testa. E l'influenza del carpione portoghese/europeo su quello giapponese, che poi ognuno ha declinato nel tempo con i propri ingredienti locali, è un fatto diretto!
Ultima noticina: sia che si serva ad una tavola tipicamente giapponese sia che lo si interpreti all'occidentale, come antipasto o come piatto principale il porzioni più importanti magari accompagnato da riso bianco, è utile ricordarsi che i Giapponesi preferiscono comunque in ogni piatto dei bocconi in numero dispari...
Shake no nanbanzuke - Salmone marinato in aceto
ingredienti per 4 persone come secondo, per 12 come antipastino
450/500 gr. di salmone in tranci spessi 4/5 cm.
1 piccola cipolla
1/2 carota in inverno, 1 falda di peperone rosso in estate
400 ml. di brodo dashi
100 ml. di aceto
3 cucchiai di zucchero
2 cucchiai di mirin
2 cucchiai di salsa di soja
20 gr. di farina
20 gr. di farina di riso (o fecola di patate)
olio di arachidi o per frittura
1 pezzetto di zenzero o fettine di limone per decorare
Tagliare il salmone in dadotti di circa 4 cm, eliminando con cura sia pelle che lische.
Tagliare la cipolla in due e ridurla a fettine e tagliare la carota o il peperone a julienne, entrambi con spessore circa 3 mm.
Setacciare le due farine insieme sopra una placca e rotolarvi i dadi di salmone.
Scaldare uno strato di olio senza farlo fumare (la temperatura ideale è 170°...) in un tegame a bordi alti e immergervi i dadi di salmone pochi per volta, badare che siano ben coperti e lasciar cuocere senza toccarli per circa 1 minuto e mezzo, scolandoli poi subito su carta assorbente.
Scaldare in un altro tegame il brodo con lo zucchero, l'aceto, la salsa di soja, il mirin e le verdure a filini, calcolare circa un minuto dal bollore e spegnere. Se si usa il peperone conviene scottarlo un minuto o due prima di unire la cipolla, in modo da ottenere una consistenza simile.
Disporre i dadi di salmone in un contenitore, versarvi sopra la marinata bollente, lasciar raffreddare quindi coprire e far marinare per almeno tre ore o anche tutta la notte in frigo.
Levare dal frigo un'oretta prima di andare a tavola perché il tutto torni a temperatura ambiente e, per una porzione giapponese da antipasto, servire 1 cubotto di salmone a testa in una ciotolina insieme ad un po' di verdure e ad un paio di cucchiai della marinata, decorando (io non l'ho fatto) con qualche filino di zenzero julienne oppure con una fettina sottile di limone. Si conserva in frigo un paio di giorni.
Una personale versione alternativa di questo carpione, in questo caso più che nanban da definire proprio yoshoku, cioè ad alta contaminazione occidentale, è l'utilizzo di fegato di manzo o vitello invece che di salmone. Con il fegato naturalmente il gusto della preparazione resta molto più deciso, meglio servirla dunque in piccole porzioni ed accompagnare con riso bianco caldo a vapore.
Il procedimento per la preparazione della marinata resta invariato, solo che va versata su fette di fegato spesse circa 1/2 cm., prima tagliate a quadrotti di circa 3 x 3 e scottate su una griglia o una piastra antiaderente pochi secondi per parte, fino a che i bocconcini si sono schiariti ma sono ancora molto morbidi. I tempi di marinatura e conservazione restano analoghi a quelli del salmone.
Spessissimo al ristorante siamo convinti di cenare all'orientale anche se sia l'elenco dei piatti nel menù sia l'arrivo delle portate in tavola seguono la sequenza per noi classica di suddivisione in antipasti, primi, secondi e contorni, e le porzioni sono tarate "all'italiana". Capita soprattutto in ristoranti ad insegna giapponese ma a gestione cinese, il cui intento è favorire il più possibile la familiarizzazione del cliente con piatti poco conosciuti e cercare comunque di vendere un numero alto di portate.
In Giappone invece, come anche alla mensa quotidiana cinese, compaiono sulla tavola tanti piatti in contemporanea ma in porzioni relativamente ridotte: una carne o un pesce, un paio di verdure e/o sottaceti, una ciotola di riso ed un bordino non mancano mai anche nel pasto più frugale, mentre quando si tratta di una ricorrenza oppure il numero dei commensali aumenta crescono in proporzione non le porzioni ma il numero di vivande servite.
La sequenza con cui si sceglie di assaggiare i vari alimenti non è codificata come da noi ma assolutamente libera, è anzi buona regola non avventarsi unicamente su un piatto e terminarlo tutto d'un colpo senza aver degustato nel mentre anche qualche boccone degli altri piatti.
Spesso quando siamo di fronte ad un vassoio giapponese con diverse proposte tendiamo a ripercorrere mentalmente le sequenze abituali per un occidentale. Ad esempio siamo portati a sorbire tutta la zuppa all'inizio come fosse un primo... ma rispetto al galateo giapponese è un errore. In realtà dal punto di vista nipponico la zuppa è interpretata più come una bevanda, da sorseggiare a tratti o ancor meglio da godersi a chiusura del pasto, se dobbiamo fare un paragone quasi un'ideale sostituzione del nostro caffè.
Ma la sequanza di assaggio è solo uno degli infiniti aspetti del cibarsi alla giapponese. L'osechi moritsuke, l'arte di composizione di un menù, di presentazione del cibo in tavola e di armonizzazione del cibo con le stoviglie che lo contengono, ha in Giappone una tradizione millenaria ricca di regole che fanno parte dell'educazione di ogni "signorina per bene", oltre che essere bagaglio di base indispensabile per ogni cuoco che si rispetti.
L'estetica del sapore è una componente davvero importantissima della cultura gastronomica del Sol Levante. Avrò modo di tornare con più cura sull'argomento, ora mi è venuta fame e passo direttamente ad un piattino che, ad esempio, viene spesso presentato come entrée chic nei ristoranti giapponesi che hanno adottato uno schema di servizio più occidentale e che in un menù giapponese tradizionale è frequente ritrovare in piccole porzioni a fianco di un piatto più importante, solitamente a base di carne.
Si tratta dello shake no nanbanzuke, un delizioso carpione di salmone che per me rappresenta una sorta di legame tra la mia passione per la tavola giapponese e le personali memorie di bambina. A casa infatti non era raro d'estate panare carne o pesce e ricoprirli di cipolle ed erbe sfumate con aceto caldo, per gustarsi nei giorni successivi un piatto marinato gustoso e saporito, già pronto a temperatura ambiente.
Non credo di essere storicamente tanto lontana dalla realtà in questa mia istintiva associazione mnemonica. Approfondendo l'etimologia infatti, il nome di questo piatto letteralmente significa "salmone in aceto alla barbara", dove la parola nanban, "barbari del sud", si riferisce ai mercanti e navigatori stranieri che arrivavano nei porti giapponesi da Sud, prevalentemente Portoghesi, Africani e Indiani, tra il 1500 ed il 1700, mentre. In campo artistico, inoltre, nanban è la parola giapponese più antica che significhi "influenzato dall'Occidente"...
Il carpione è in effetti un piatto diffuso, con le dovute varianti, in molti paesi europei e dell'Africa mediterranea, dove ha storicamente rappresentato, per la presenza dell'aceto e di erbe, un metodo di prolungamento della conservazione di alimenti facilmente deperibili e di copertura di sapori un pochino alterati. Se gli stessi Giapponesi considerano questo piatto nanban... il legame tra Europa e Giappone, tra carpione e salmone nanban non è solo nella mia testa. E l'influenza del carpione portoghese/europeo su quello giapponese, che poi ognuno ha declinato nel tempo con i propri ingredienti locali, è un fatto diretto!
Ultima noticina: sia che si serva ad una tavola tipicamente giapponese sia che lo si interpreti all'occidentale, come antipasto o come piatto principale il porzioni più importanti magari accompagnato da riso bianco, è utile ricordarsi che i Giapponesi preferiscono comunque in ogni piatto dei bocconi in numero dispari...
ingredienti per 4 persone come secondo, per 12 come antipastino
450/500 gr. di salmone in tranci spessi 4/5 cm.
1 piccola cipolla
1/2 carota in inverno, 1 falda di peperone rosso in estate
400 ml. di brodo dashi
100 ml. di aceto
3 cucchiai di zucchero
2 cucchiai di mirin
2 cucchiai di salsa di soja
20 gr. di farina
20 gr. di farina di riso (o fecola di patate)
olio di arachidi o per frittura
1 pezzetto di zenzero o fettine di limone per decorare
Tagliare il salmone in dadotti di circa 4 cm, eliminando con cura sia pelle che lische.
Tagliare la cipolla in due e ridurla a fettine e tagliare la carota o il peperone a julienne, entrambi con spessore circa 3 mm.
Setacciare le due farine insieme sopra una placca e rotolarvi i dadi di salmone.
Scaldare uno strato di olio senza farlo fumare (la temperatura ideale è 170°...) in un tegame a bordi alti e immergervi i dadi di salmone pochi per volta, badare che siano ben coperti e lasciar cuocere senza toccarli per circa 1 minuto e mezzo, scolandoli poi subito su carta assorbente.
Scaldare in un altro tegame il brodo con lo zucchero, l'aceto, la salsa di soja, il mirin e le verdure a filini, calcolare circa un minuto dal bollore e spegnere. Se si usa il peperone conviene scottarlo un minuto o due prima di unire la cipolla, in modo da ottenere una consistenza simile.
Disporre i dadi di salmone in un contenitore, versarvi sopra la marinata bollente, lasciar raffreddare quindi coprire e far marinare per almeno tre ore o anche tutta la notte in frigo.
Levare dal frigo un'oretta prima di andare a tavola perché il tutto torni a temperatura ambiente e, per una porzione giapponese da antipasto, servire 1 cubotto di salmone a testa in una ciotolina insieme ad un po' di verdure e ad un paio di cucchiai della marinata, decorando (io non l'ho fatto) con qualche filino di zenzero julienne oppure con una fettina sottile di limone. Si conserva in frigo un paio di giorni.
Una personale versione alternativa di questo carpione, in questo caso più che nanban da definire proprio yoshoku, cioè ad alta contaminazione occidentale, è l'utilizzo di fegato di manzo o vitello invece che di salmone. Con il fegato naturalmente il gusto della preparazione resta molto più deciso, meglio servirla dunque in piccole porzioni ed accompagnare con riso bianco caldo a vapore.
- rivoli affluenti:
- una versione semplificata di salmone marinato si trova in: Nanako Hamaguchi, La Cucina Giapponese, Giunti
Bellissima come sempre la tua introduzione, che prende per mano il lettore e lo porta dritto nel cuore della tradizione giapponese in modo semplice e diretto.
RispondiEliminaDopo aver letto il post e la ricetta viene una gran voglia di provarla e la buona volontà si esplicita nell'aggiunta di un altro articolo alla to-do list. :-)
Personalmente preferisco la versone nanban alla yoshoku, ma solo perché non vado matta per il fegato.
Un bacione!
@mapi: si vede che sei giapponese tradizionalista inside...
RispondiEliminaHo l'impressione che la sequenza "antipasto - primo di pasta o riso - secondo di carne o pesce con verdura - frutta - dolce" sia alla fine proprio tipico solo dell'Italia...
RispondiEliminaE' così?...
Mia cara hai scritto un post splendido, interessante, utile... l'ho letto godendomi ogni parola. Sono davvero ammirata dalla ricetta, è curioso poi che il fegato che mi preparava mia nonna da piccola abbia una preparazione similissima... resta inteso che m'è venuta voglia di provare subito tutte e due le varianti e di comprarmi una cassa di ciotole giapponesi!
RispondiEliminaUn abbraccio
mooolto interessante! ad aprile frequenterò un corso di cucina giapponese: non ne so praticamente nulla, ma ne sono da sempre affascinata... grazie!
RispondiElimina@virò: mica tanto. Diciamo che è abitudine europea da parecchi secoli scandire il pranzo in portate. Quasi solo noi contempliamo il primo anche fuori dai grandi pranzi ufficiali, in centro Europa di solito si serve un antipasto/zuppa/insalata, un piatto unico (il cui contorno può essere pasta o riso) ed un dessert, ma in ogni caso, ne' qui ne' lì, mai tutto insieme...
RispondiElimina@ginestra: infatti è interessantissimo indagare l'origine delle ricette e trovare le radici comuni più inaspettate. Ti rendi conto di quanto il cibo sia espressione materiale di storia e geografia.
Per le ciotole consolati: io oramai sono quasi ridotta a caso umano!
@cristina: scoprirai che mondo incredibile di sapori equilibrati, delicati e raffinatssimi si nasconde dietro la solita facciata di sushi e tenpura. Attenta, perchè una volta imboccato il tunnel è difficile uscirne e ti ritrovi addosso le stesse logiche anche quando cucini altro!
Caspita!
RispondiEliminainnanzi tutto, piacere di conoscerti.
leggere il tuo post è stato meraviglioso, mi hai fatto notare un sacco di differenze mai pensate prima, sono molto affascinata dalla cultura orientale, per questo ti ringrazio per questo post.
Ovviamente mi aggiungerò ai tuoi lettori, quindi ci vedremo spesso, per adesso ti ringrazio davvero per questo post :)
@erica: benvenuta! Se vuoi farti un bel tuffo nella vera cultura quotidiana giapponese, che nel mio blog tratto solo parzialmente, ti consiglio di leggerti con cura tutto il blog Bianco Rosso Giappone (link qui a fianco). E' fermo da qualche mese per un viaggio dell'autrice ma rappresenta un vero e proprio pozzo di informazioni interessanti...
RispondiElimina@littledessert: grazie, non sono abile ne' come panificatrice ne' come pasticcera ma vengo comunque a curiosare volentieri.
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