Capita di proporre piatti giapponesi che contengono burro. Sono tutte preparazioni che, per quanto "tradizionali", hanno comunque origine relativamente recente. L'utilizzo della carne era abbastanza raro in generale e la produzione ed il consumo di latticini in terra nipponica infatti sono presenti dalla seconda metà dell'800, per espolodere poi negli anni '60 con il velocizzarsi del processo di occidentalizzazione della società e della gastronomia giapponese.
Prima della seconda guerra mondiale i contatti con gli Occidentali storicamente furono scarsissimi ed il Giappone fino a metà dell'800 era politicamente, economicamente, culturalmente e militarmente isolato rispetto al mondo occidentale, a parte gli antichi contatti nel XVI secolo con missionari portoghesi e sporadici rapporti con mercanti olandesi.
Quando si riaprirono i confini giapponesi nel 1868 i primi Inglesi ed Americani misero piede sul suolo nipponico, i loro occhi chiari e capelli biondi e rossi spaventarono molto i Giapponesi, la cui iconografia classica attribuiva quei colori a folletti e spiriti maligni del folklore popolare. Ma ciò che più convinse i Giapponesi dell'epoca a diffidare di quei biondi stranieri i fu il loro odore...
La dieta occidentale ricca di grassi animali conferiva infatto al sudore degli stranieri un sentore che risultava acre e sgradevolissimo per una popolazione che non precedeva quegli alimenti nella propria alimentazione e che aveva generalmente una scarsa attitudine al contatto con gli animali o la natura selvatica.
I Giapponesi si convinsero che la responsabilità fosse fondamentalmente del burro e soprannominarono gli Occidentali bataa-kusai, バタ臭い, "quelli che puzzano di burro" (il termine bataa paroma moderna deriva dal suono inglese della parola butter). Ancora oggi il termine definisce le persone occidentali pigre o sciatte ed in generale tutto ciò che per i Giapponesi è sinonimo di "sgradevolmente occidentale"...
Si tentò comunque di iniziare una produzione locale di latte e burro, prevalentemente nell'area settentrionale dell'isola di Hokkaido, dove nella seconda metà dell'800 vennero importate delle vacche frisone e si stabilirono dei casari danesi.
Venne loro chiesto ufficialmente negli anni '20, in cambio del monopolio della produzione di carne e latticini, di fare formazione alla popolazione locale, ma il personale inviato dal Governo per imparare a lavorare i latticini era fondamentalmente composto da ronin, ovvero samurai mercenari, all'epoca disoccupati.
La loro mentalità guerriera poco si adattava però ad attività di allevamento e manifattura, così dopo nemmeno un anno la fama dello stabilimento era talmente compromessa che l'esperimento fallì, il monopolio saltò e la fabbrica chiuse.
Si tentò allora di favorire il consumo di latte come bevanda nutriente e salutare e di carne come energizzante per il corpo e per la mente, utilizzando anche un po' all'americana degli slogan che legassero l'incremento della salute della popolazione all'orgoglio nazionale.
Si ottenne solo negli anni '50 di farli consumare a bambini, anziani e convalescenti e c'è chi commenta che sarebbe bastato aromatizzare il latte con fragole o vaniglia e lo scopo sarebbe stato raggiunto più velocemente... come è successo di fatto negli Stati Uniti.
Il burro rimaneva però sempre off-limits per i Giapponesi, la diffidenza nei suoi confronti del burro alimentata dai primi disastrosi tentativi di importazione degli anni '30, che non erano ancora in grado di garantire la corretta conservazione del prodotto e lo sbarcavano in terra giapponese praticamente sempre rancido e deteriorato.
Nonostante tutte queste "disavventure della comunicazione", dopo la seconda guerra mondiale, quando il rapporto con gli Occidentali è gradualmente diventato meno conflittuale ed è calata la diffidenza nei confronti della gastronomia estera, anche la cucina giapponese ha cominciato ad apprezzare ed utilizzare il burro, tanto è vero che oggi vengano consumati in Giappone 90 milioni di tonnellate di burro all'anno (in media circa un terzo del consumo pro-capite americano ed un decimo di quello francese o tedesco...).
Addirittura l'intero Paese è andato in crisi nel 2008 quando, per problemi legati al foraggio, è drasticamente diminuita la produzione giapponese di latte e per qualche settimana il burro è totalmente sparito dagli scaffali dei negozi.
Avevo già proposto una ricetta giapponese con il burro ad aromatizzare delle vongole, ma un esempio decisamente più "classico" del recente amore dei Giapponesi per il burro è rappresentato dal suo abbinamento con i funghi, un binomio ora quasi indissolubile. In questo caso usiamo dei tipici funghi giapponesi, piccoli e sottili "bottoncini" dorati che ricordano un pochino i nostri chiodini e che si chiamano enoki:
Enokitake no bataa - Cartoccio di funghi enoki al burro
ingredienti per 4 persone:
4 mazzi di funghi enoki, circa 100 gr. ciascuno
25 gr. di burro
1/2 limone
8 cucchiai di brodo dashi
2 cucchiai di salsa di soja
4 steli di erba cipollina (qui l'ho usata essiccata)
pepe al mulinello
zucchero
sale
Accendere il forno a 220°.
Mondare bene i funghi tagliando via la base coriacea, dividendoli in piccoli mazzetti e passandoli delicatamente con un panno umido.
Imburrare leggermente il centro di quattro ampi rettangoli di carta stagnola e suddividere i funghi in 4 porzioni.
Distribuire sopra ogni porzione 1/4 del burrosalato ed 1 pizzico di sale, quindi arrotolare molto strettamente i bordi laterali della stagnola, formando dei sacchettini sulla misura dei funghi, ben sigillati sui lati.
Versare in ogni cartoccio un paio di cucchiai di brodo ed appena un pizzico di zucchero. Se non si ha a disposizione il dashi usare semplicemente acqua ed evitare lo zucchero. C'è chi al posto del brodo usa sakè o vino bianco, ma a me in questo piatto non piacciono troppo i vapori alcolici.
Cuocere in forno statico ben caldo per circa 15 minuti, in modo che il burro si sciolga ed il liquido formi del vapore che ammorbidirà i funghi e gonfierà i cartocci. Si ottiene lo stesso effetto cuocendo i cartocci sopra il barbecue, meglio in questo caso usare un doppio strato di fogli di alluminio per ogni porzione.
Nel frattempo tagliare il limone in 4 spicchi, tagliuzzare l'erba cipollina con un paio di forbici in rondelle sottili e suddividere la salsa di soja in 4 minuscole ciotoline individuali, quindi disporre sui 4 piatti individuali uno spicchio di limone, un mucchietto di erba cipollina ed una ciotolina di soja.
Appena pronti distribuire i cartocci sopra i 4 piatti individuali e servire, avvertendo i commensali di aprire la stagnola con precauzione per evitare il vapore caldo.
Ognuno condirà a piacere i propri funghi con una macinata di pepe, qualche goccia di salsa di soja, una spruzzata di limone e/o un pizzico di erba cipollina oppure se li gusterà al naturale (come faccio io). Non dimenticare i cucchiai, che serviranno alla fine per sorbire il delicato brodo di fondo.
Alcuni usano unire la soja ai funghi prima della cottura od aromatizzare il cartoccio con aglio ed erbe profumate, come le foglie di shiso giapponesi. Di certo si ottengono dei funghi più saporiti e possono essere variazioni interessanti se si usano dei funghi nostrani al posto degli enoki, ma per il mio gusto degli aromi molto forti rischiano di negare al palato la delicata profumazione e la scioglievolezza tipica del binomio enoki-burro.
Prima della seconda guerra mondiale i contatti con gli Occidentali storicamente furono scarsissimi ed il Giappone fino a metà dell'800 era politicamente, economicamente, culturalmente e militarmente isolato rispetto al mondo occidentale, a parte gli antichi contatti nel XVI secolo con missionari portoghesi e sporadici rapporti con mercanti olandesi.
Quando si riaprirono i confini giapponesi nel 1868 i primi Inglesi ed Americani misero piede sul suolo nipponico, i loro occhi chiari e capelli biondi e rossi spaventarono molto i Giapponesi, la cui iconografia classica attribuiva quei colori a folletti e spiriti maligni del folklore popolare. Ma ciò che più convinse i Giapponesi dell'epoca a diffidare di quei biondi stranieri i fu il loro odore...
La dieta occidentale ricca di grassi animali conferiva infatto al sudore degli stranieri un sentore che risultava acre e sgradevolissimo per una popolazione che non precedeva quegli alimenti nella propria alimentazione e che aveva generalmente una scarsa attitudine al contatto con gli animali o la natura selvatica.
I Giapponesi si convinsero che la responsabilità fosse fondamentalmente del burro e soprannominarono gli Occidentali bataa-kusai, バタ臭い, "quelli che puzzano di burro" (il termine bataa paroma moderna deriva dal suono inglese della parola butter). Ancora oggi il termine definisce le persone occidentali pigre o sciatte ed in generale tutto ciò che per i Giapponesi è sinonimo di "sgradevolmente occidentale"...
Si tentò comunque di iniziare una produzione locale di latte e burro, prevalentemente nell'area settentrionale dell'isola di Hokkaido, dove nella seconda metà dell'800 vennero importate delle vacche frisone e si stabilirono dei casari danesi.
Venne loro chiesto ufficialmente negli anni '20, in cambio del monopolio della produzione di carne e latticini, di fare formazione alla popolazione locale, ma il personale inviato dal Governo per imparare a lavorare i latticini era fondamentalmente composto da ronin, ovvero samurai mercenari, all'epoca disoccupati.
La loro mentalità guerriera poco si adattava però ad attività di allevamento e manifattura, così dopo nemmeno un anno la fama dello stabilimento era talmente compromessa che l'esperimento fallì, il monopolio saltò e la fabbrica chiuse.
Si tentò allora di favorire il consumo di latte come bevanda nutriente e salutare e di carne come energizzante per il corpo e per la mente, utilizzando anche un po' all'americana degli slogan che legassero l'incremento della salute della popolazione all'orgoglio nazionale.
Si ottenne solo negli anni '50 di farli consumare a bambini, anziani e convalescenti e c'è chi commenta che sarebbe bastato aromatizzare il latte con fragole o vaniglia e lo scopo sarebbe stato raggiunto più velocemente... come è successo di fatto negli Stati Uniti.
Il burro rimaneva però sempre off-limits per i Giapponesi, la diffidenza nei suoi confronti del burro alimentata dai primi disastrosi tentativi di importazione degli anni '30, che non erano ancora in grado di garantire la corretta conservazione del prodotto e lo sbarcavano in terra giapponese praticamente sempre rancido e deteriorato.
Nonostante tutte queste "disavventure della comunicazione", dopo la seconda guerra mondiale, quando il rapporto con gli Occidentali è gradualmente diventato meno conflittuale ed è calata la diffidenza nei confronti della gastronomia estera, anche la cucina giapponese ha cominciato ad apprezzare ed utilizzare il burro, tanto è vero che oggi vengano consumati in Giappone 90 milioni di tonnellate di burro all'anno (in media circa un terzo del consumo pro-capite americano ed un decimo di quello francese o tedesco...).
Addirittura l'intero Paese è andato in crisi nel 2008 quando, per problemi legati al foraggio, è drasticamente diminuita la produzione giapponese di latte e per qualche settimana il burro è totalmente sparito dagli scaffali dei negozi.
Avevo già proposto una ricetta giapponese con il burro ad aromatizzare delle vongole, ma un esempio decisamente più "classico" del recente amore dei Giapponesi per il burro è rappresentato dal suo abbinamento con i funghi, un binomio ora quasi indissolubile. In questo caso usiamo dei tipici funghi giapponesi, piccoli e sottili "bottoncini" dorati che ricordano un pochino i nostri chiodini e che si chiamano enoki:
Enokitake no bataa - Cartoccio di funghi enoki al burro
ingredienti per 4 persone:
4 mazzi di funghi enoki, circa 100 gr. ciascuno
25 gr. di burro
1/2 limone
8 cucchiai di brodo dashi
2 cucchiai di salsa di soja
4 steli di erba cipollina (qui l'ho usata essiccata)
pepe al mulinello
zucchero
sale
Accendere il forno a 220°.
Mondare bene i funghi tagliando via la base coriacea, dividendoli in piccoli mazzetti e passandoli delicatamente con un panno umido.
Imburrare leggermente il centro di quattro ampi rettangoli di carta stagnola e suddividere i funghi in 4 porzioni.
Distribuire sopra ogni porzione 1/4 del burro
Chiudere il lato superiore dei cartocci arrotolandoli strettamente, fino a formare delle "barchette"insieme, e disporre i cartocci su una teglia da forno.
Nel frattempo tagliare il limone in 4 spicchi, tagliuzzare l'erba cipollina con un paio di forbici in rondelle sottili e suddividere la salsa di soja in 4 minuscole ciotoline individuali, quindi disporre sui 4 piatti individuali uno spicchio di limone, un mucchietto di erba cipollina ed una ciotolina di soja.
Appena pronti distribuire i cartocci sopra i 4 piatti individuali e servire, avvertendo i commensali di aprire la stagnola con precauzione per evitare il vapore caldo.
Ognuno condirà a piacere i propri funghi con una macinata di pepe, qualche goccia di salsa di soja, una spruzzata di limone e/o un pizzico di erba cipollina oppure se li gusterà al naturale (come faccio io). Non dimenticare i cucchiai, che serviranno alla fine per sorbire il delicato brodo di fondo.
Alcuni usano unire la soja ai funghi prima della cottura od aromatizzare il cartoccio con aglio ed erbe profumate, come le foglie di shiso giapponesi. Di certo si ottengono dei funghi più saporiti e possono essere variazioni interessanti se si usano dei funghi nostrani al posto degli enoki, ma per il mio gusto degli aromi molto forti rischiano di negare al palato la delicata profumazione e la scioglievolezza tipica del binomio enoki-burro.
Grazie..post interessante...avevo notato che il burro mancava nella cucina Giapponese, ma non mi ero mai chiesta il perchè...grazissime!!!Ciao Flavia
RispondiEliminaNon so come ringraziarti, ti ho letta di un fiato.
RispondiEliminaImparare una cosa nuova non ha prezzo :-)
@eli.fla: pensa che anticamente consideravano il latte una "secrezione" animale, quindi poco appetibile al pari di lacrime o di sudore. La globalizzazione non è sempre un bene ma a volte c'è del positivo nello scambio di conoscenze...
RispondiEliminaGrazie a te comunque per l'entusiasmo che sai sempre trasmettere!
@arabafelice: come "non ha prezzo"?! Puoi sempre ripagarmi con qualche dolcetto della fantomatica pasticceria segreta nascosta nel deserto...
Ma lo sai che a volte (solo a volte, non montarti la testa!) leggere la storia del cibo e delle tradizioni è davvero interessante?
RispondiEliminaAnche più delle singole ricette...
Chissà quale soprannome avrebbero inventato i giapponesi per gli amanti delle meravigliose e burrose ricette valtellinesi, tipo pizzoccheri e polenta taragne!
Premessa moooolto interessante, tutti i giorni si impara qualcosa.
RispondiEliminaTu nella descrizione del procedimento citi "burro salato" -e in effetti dalla foto si nota che il burro contiene qualcosa-, ma nell'elenco degli ingredienti citi semplicemente "burro". E' allora burro salato, o e' burro normale in qualche modo "intrugliato"?
(pedante, vero?)
@virò: non esagerare: imporre ad un giapponese un piatto di pizzoccheri chiavennaschi che navigano nel burro fuso sarebbe come chiedere a te di insaporire tutte le portate del pasto cosa con la soja invece che con il sale!
RispondiEliminaPoi ci sono pure i Giapponesi strani, come me che uso davvero la soja, ma questa è un altra storia...
@corradoT: hai ragione, un refuso rimasto perchè quando ho il burro buono inglese salato uso quello, in assenza metto burro normale e sale.
Quel che vedi sopra il burro nel cartoccio è una spolverata di pepe che questa volta ho messo anche prima della cottura ma che in effetti resta più profumato aggiunto dopo mentre in cottura ai funghi aggiunge poco.
Dettagliatissima e molto interessante questa storia del burro in Giappone. Ora non ne possono più fare a meno, è un "chiodino fisso"...
RispondiEliminaFabio
Passare di qui è sempre un arricchimento-e mai come in questi mesi forsennati mi mancano le tue chiacchiere dotte sul cibo. Ora faccio un salto all'indietro e cerco di rimettermi in pari con gli arretrati, ma prima una domanda, che volevo farti da un po': tutti questi ingredienti freschi, dove li recuperi?
RispondiEliminaciao e, come sempre, grazie
ale
@fabio: il tuo commento si rivela "pungente" ed "acuto" come sempre!
RispondiElimina@alessandra: a Varese di fresco trovo poco o niente, a Milano invece ci sono diversi negozi di alimenti etnici anche con il banco frigo. In specifico per l'orientale ci sono un paio di fruttivendoli ed una botteghina di tofu in via Sarpi molto affidabili.
Bellissimo post, come sempre! Ci si immerge d'un fiato nel viaggio meraviglioso tra popoli e culture, tra storia e storie!
RispondiEliminaTentata da cercare questi funghi delicati e profumati...ti dirò!
Grazie e un bacio
Grazie di esistere....allora vedi che ho fatto bene a mettere la panna (dai quasi un burro..) con i funghi shiitake...
RispondiEliminama anche i greci e romani, se non ricordo male, chiamavano con un po' di disprezzo mangiatori di latte i barbari del nord. Insomma 'sti biondi nordici ....chi l'avrebbe detto che l'antenato di Brad Pitt era considerato un puzzone mangiatore di burro....
Baci
Un post,una delizia.Per quanto non ho mai avuto esperienze personali so bene dell'avversione (ed in certi casi,disgusto) ai latticini in certe parti dell'oriente.Pero' l'idea "americana" del latte alla fragola per i bambini e' tragica.
RispondiEliminaGli enoki sono una meraviglia,al supermercato mi fermo sempre a guardarli come una scema..
Un bacio
@patrizia: che ne sai, magari al Mercato Orientale...
RispondiElimina@glu.fri: i Greci contrapponevano le popolazioni "civili", che si nutrivano cioè di cibi derivati da sapienti coltivazioni e lavorazioni, come pane, vino ed olio, ai popoli "barbari" che si nutrivano con cibi slegati dalla conoscenza della natura, della terra e delle lavorazioni sofisticate, quindi carne, sangue e latticini.
Per gli shijtake alla panna... devo un attimo abituarmi all'idea!
@edith.pilaff: be', se ne trovi un'altra imbambolata davanti al banco delle verdure strane... fammi un fischio perchè sappi che sono io!