Non ho mai saputo esattamente come mai il 25 aprile si celebrasse la Liberazione. Ho avuto un nonno partigiano che raccontava con entusiasmo quel giorno, quando cercò in tutte le mercerie della città nastri rossi, bianchi e verdi, con degli spilli ne fece coccarde e si mise poi a girare per la città cantando canzoni popolari ed appuntando fiocchi tricolori al bavero di tutti quelli che incorciava.
Mio nonno era una persona semplice, però. Per quanto le sue azioni si siano poi rivelate strategiche per la storia partigiana locale, credo gli mancasse una visione più generale e più "alta", e che avesse fatto le sue scelte fondamentalmente più spinto da un insopprimibile istinto per la libertà che da grandi ragionamenti filosofici.
Per questo io ho sempre vissuto il 25 aprile più come una festa di famiglia che come un'occasione di importanza nazionale. Esattamente come ce l'a trasmessa lui. Il 25 aprile della mia infanzia era il giorno in cui mio nonno prima, e dopo di lui mio padre, si vestivano eleganti e partecipavano con umiltà ed orgoglio alle manifestazioni rievocative locali, raccontando da un palco le stesse storie che il nonno aveva già narrato a noi bambini in casa, e che dunque per me erano proprio "storie di famiglia".
Per noi la clandestinità nei bosci, la fame, i razionamenti, le rappresaglie, il silenzio complice ma spaventato della gente, le torture in carcere, la fuga da un campo di internamento erano quasi delle favole avventurose, in cui l'eroe protagonista per una volta non era un cavaliere immaginario ma, guarda caso, la persona stessa che ce le stava raccontando.
Non ci era chiara la differenza tra le sofferenze e gli eroismi reali e quelli di fantasia e nella mia memoria ancora di adolescente quegli episodi erano collocati nel reparto "racconti di famiglia". Poi ho avuto l'occasione di vedere un'intervista a Sandro Pertini su quel che successe il 25 aprile 1945 a Milano e mi sono resa conto che avrei dovuto spostarli nel reparto "storia".
Perchè mi è arrivata come un'altra narrazione, questa volta da un "nonno" più colto, per cui la libertà non era solo una necessità primaria di vita ma una consapevolezza legata alla storia ed alla nazione ancor prima che alle persone.
Ma anche il suo racconto era fatto di uomini e donne: operai ed impiegati che occuparono le fabbriche milanesi per evitarne la distruzione da parte dei nazisti (catturati dopo ore di assedio per essere fucilati ma liberati la sera, quando oramai ai soldati tedeschi conveniva più fuggire che mettere in atto rappresaglie); negozianti che tennero aperte le botteghe nonostante i carri armati nelle strade per dare un minimo di supporto alla gente comune, il cardinale Shuster che tentò di mediare la resa tra Mussolini ed i capi partigiani invitando entrambi in arcivescovado.
Mussolini rifiutò di rimanere sotto la protezione del cardinale per essere poi consegnato agli alleati, chiese qualche ora di tempo per comunicare se avrebbe accettato di arrendersi ai partigiani lì presenti ed uscì da solo dall'arcivescovado, in realtà per tentare la fuga, come tutti ora sappiamo.
Pertini lo incrociò in quel momento: il duce che scendeva le scale fuori dallo studio del cardinale mentre lui le saliva per incontrarsi con gli altri capi partigiani. Non si parlarono. Passato e futuro, discesa e salita, scelte consapevoli o casualità, tutto in un incredibile attimo di silenzio.
Era il 25 aprile 1945. Credo che il senso della Liberazione sia tutto qui, nelle azioni eroiche come negli attimi di silenzio di persone reali, che hanno modificato la propria vita per lasciarci in eredità la possibilità di decidere oggi della nostra, di vita.
Che fossero a Milano o a Varese, che dopo anni di sofferenze chiudessero il loro personale cerchio guardando in silenzio negli occhi un dittatore impaurito o cantando e regalando coccarde per le strade. Erano tutti uomini e donne veri. Come dovremmo esserlo noi. Perchè "la storia siamo noi, nessuno si senta escluso".
Sulla tavola del mio 25 aprile, da quando ho capito, faccio in modo che non manchi un cibo tricolore, possibilmente semplice e schietto come le canzoni di mio nonno. Questo il mio omaggio di oggi:
Involtini di patate e carciofi nello speck
Ingredienti per 6 involtini:
2 patate novelle da circa 8 cm.
1 carciofo
12 fettine sottili di speck
1 rametto di rosmarino
2 cucchiai di olio extravergine
1 spicchietto di aglio
2 cucchiai di vino bianco
1/2 bicchiere di brodo
1 cucchaio di aceto bianco (o di succo di limone)
sale
pepe
Mondare il carciofo, tagliarlo in 12 spicchietti sottili e lasciarlo a bango in una ciotola d'acqua acidulata con l'aceto.
Lavare bene le patate, sfegandone la pelle con un panno ruvido per eliminare eventuali tracce di terra, quindi tagliarne ciascuna in 6 spicchi per il lungo.
Scaldare 1 cucchiaio di olio in un tegame con lo spicchio di aglio ed un pezzettino di romarino, versarvi le patate ed i carciofi scolati e saltare un paio di minuti a fuoco vivace perchè si insaporiscano bene.
Levare l'aglio, sfumare con il vino, quindi unire il brodo, abbassare leggermente il fuoco, coprire e lasciar stufarre circa 10-15 minuti, fino a che le verdure si sono un po' ammorbidite.
Levare il coperchio e far asciugare il fondo per un paio di minuti a fuoco di nuovo alto, se serve regolare di sale, pepare leggermente quindi spegnere.
Disporre due fettine di speck su un tagliere accostandole dal lato lungo e deporvi sopra un paio di spicchi di patata, un paio di carciofo ed un ciuffettino di rosmarino fresco, quindi arrotolare strettamente lo speck a formare un involtino compatto.
Ungere il fondo di una teglia e deporvi gli involtini in modo che ci sitano quasi in misura (io ho messo sul fondo alcune fettine di patata avenzate), condire con un filo di olio e cuocere in forno statico a 180° per 10-12 minuti, fino a che lo speck comincia ad incroccantirsi e servire ben caldo, eventualmente con un'altra spolveratina di pepe.
Mio nonno era una persona semplice, però. Per quanto le sue azioni si siano poi rivelate strategiche per la storia partigiana locale, credo gli mancasse una visione più generale e più "alta", e che avesse fatto le sue scelte fondamentalmente più spinto da un insopprimibile istinto per la libertà che da grandi ragionamenti filosofici.
Per questo io ho sempre vissuto il 25 aprile più come una festa di famiglia che come un'occasione di importanza nazionale. Esattamente come ce l'a trasmessa lui. Il 25 aprile della mia infanzia era il giorno in cui mio nonno prima, e dopo di lui mio padre, si vestivano eleganti e partecipavano con umiltà ed orgoglio alle manifestazioni rievocative locali, raccontando da un palco le stesse storie che il nonno aveva già narrato a noi bambini in casa, e che dunque per me erano proprio "storie di famiglia".
Per noi la clandestinità nei bosci, la fame, i razionamenti, le rappresaglie, il silenzio complice ma spaventato della gente, le torture in carcere, la fuga da un campo di internamento erano quasi delle favole avventurose, in cui l'eroe protagonista per una volta non era un cavaliere immaginario ma, guarda caso, la persona stessa che ce le stava raccontando.
Non ci era chiara la differenza tra le sofferenze e gli eroismi reali e quelli di fantasia e nella mia memoria ancora di adolescente quegli episodi erano collocati nel reparto "racconti di famiglia". Poi ho avuto l'occasione di vedere un'intervista a Sandro Pertini su quel che successe il 25 aprile 1945 a Milano e mi sono resa conto che avrei dovuto spostarli nel reparto "storia".
Perchè mi è arrivata come un'altra narrazione, questa volta da un "nonno" più colto, per cui la libertà non era solo una necessità primaria di vita ma una consapevolezza legata alla storia ed alla nazione ancor prima che alle persone.
Ma anche il suo racconto era fatto di uomini e donne: operai ed impiegati che occuparono le fabbriche milanesi per evitarne la distruzione da parte dei nazisti (catturati dopo ore di assedio per essere fucilati ma liberati la sera, quando oramai ai soldati tedeschi conveniva più fuggire che mettere in atto rappresaglie); negozianti che tennero aperte le botteghe nonostante i carri armati nelle strade per dare un minimo di supporto alla gente comune, il cardinale Shuster che tentò di mediare la resa tra Mussolini ed i capi partigiani invitando entrambi in arcivescovado.
Mussolini rifiutò di rimanere sotto la protezione del cardinale per essere poi consegnato agli alleati, chiese qualche ora di tempo per comunicare se avrebbe accettato di arrendersi ai partigiani lì presenti ed uscì da solo dall'arcivescovado, in realtà per tentare la fuga, come tutti ora sappiamo.
Pertini lo incrociò in quel momento: il duce che scendeva le scale fuori dallo studio del cardinale mentre lui le saliva per incontrarsi con gli altri capi partigiani. Non si parlarono. Passato e futuro, discesa e salita, scelte consapevoli o casualità, tutto in un incredibile attimo di silenzio.
Era il 25 aprile 1945. Credo che il senso della Liberazione sia tutto qui, nelle azioni eroiche come negli attimi di silenzio di persone reali, che hanno modificato la propria vita per lasciarci in eredità la possibilità di decidere oggi della nostra, di vita.
Che fossero a Milano o a Varese, che dopo anni di sofferenze chiudessero il loro personale cerchio guardando in silenzio negli occhi un dittatore impaurito o cantando e regalando coccarde per le strade. Erano tutti uomini e donne veri. Come dovremmo esserlo noi. Perchè "la storia siamo noi, nessuno si senta escluso".
Sulla tavola del mio 25 aprile, da quando ho capito, faccio in modo che non manchi un cibo tricolore, possibilmente semplice e schietto come le canzoni di mio nonno. Questo il mio omaggio di oggi:
Ingredienti per 6 involtini:
2 patate novelle da circa 8 cm.
1 carciofo
12 fettine sottili di speck
1 rametto di rosmarino
2 cucchiai di olio extravergine
1 spicchietto di aglio
2 cucchiai di vino bianco
1/2 bicchiere di brodo
1 cucchaio di aceto bianco (o di succo di limone)
sale
pepe
Mondare il carciofo, tagliarlo in 12 spicchietti sottili e lasciarlo a bango in una ciotola d'acqua acidulata con l'aceto.
Lavare bene le patate, sfegandone la pelle con un panno ruvido per eliminare eventuali tracce di terra, quindi tagliarne ciascuna in 6 spicchi per il lungo.
Scaldare 1 cucchiaio di olio in un tegame con lo spicchio di aglio ed un pezzettino di romarino, versarvi le patate ed i carciofi scolati e saltare un paio di minuti a fuoco vivace perchè si insaporiscano bene.
Levare l'aglio, sfumare con il vino, quindi unire il brodo, abbassare leggermente il fuoco, coprire e lasciar stufarre circa 10-15 minuti, fino a che le verdure si sono un po' ammorbidite.
Levare il coperchio e far asciugare il fondo per un paio di minuti a fuoco di nuovo alto, se serve regolare di sale, pepare leggermente quindi spegnere.
Disporre due fettine di speck su un tagliere accostandole dal lato lungo e deporvi sopra un paio di spicchi di patata, un paio di carciofo ed un ciuffettino di rosmarino fresco, quindi arrotolare strettamente lo speck a formare un involtino compatto.
Ungere il fondo di una teglia e deporvi gli involtini in modo che ci sitano quasi in misura (io ho messo sul fondo alcune fettine di patata avenzate), condire con un filo di olio e cuocere in forno statico a 180° per 10-12 minuti, fino a che lo speck comincia ad incroccantirsi e servire ben caldo, eventualmente con un'altra spolveratina di pepe.
- rivoli affluenti:
- La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto al cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono: “Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera”,
ma è solo un modo per convincerti
a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone:
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere.
E poi la gente [perché è la gente che fa la storia]
quando si tratta di scegliere e di andare
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti
che sanno benissimo cosa fare:
quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare.
Ed è per questo che la storia dà i brividi,
perché nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
la storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano. - Francesco De Gregori, La storia siamo noi, da "Scacchi e Tarocchi", 1985.
La storia siamo noi, giustissimo...credo che ce lo dimentichiamo, ogni giorno........purtroppo. Buon 25 aprile.
RispondiEliminaBuon 25 aprile! Tanti i giovani, oggi, che raccolgono tra le mani il filo sottile della memoria, che dicono "la storia siamo noi", che raccontano le storie di tuo nonno e del mio papà! Che porteranno avanti, meglio di noi spero, questo mondo duro ed imperfetto.
RispondiEliminaUn abbraccio
Intenso e vero.
RispondiEliminaUn mio nonno, non so perché, ha sempre avuto pudore a narrarmi il suo 25 aprile da partigiano e l'altro mi ha narrato sono con dei brevissimi accenni dei campi di prigionia tedeschi . Come se volessero salvarci, noi bambine, dalla storia...
Buon 25 aprile !
@mila: non è tanto il dimenticarsente credo, quanto il non rendersene proprio conto.
RispondiElimina@patrizia: concordo. Quel che non deve mai mancare ai ragazzi sono l'informazione e lo stimolo all'approfondimento.
@glu.fri: esiste credo una giusta forma narrativa per ogni età. Forse i tuoi nonni avevano paura non tanto di trasmettervi i fatti della storia quanto la sofferenza personale in essi implicata. Credo sia quello da cui volessero salvarvi, più che dall'evoluzione che loro stessi hanno contribuito a creare...
Però sembra che in questo periodo si voglia cambiare un po' le cose e direi che la festa di ieri sia stata sovrastata soprattutto dall'informazione dalla Pasquetta, per non parlare del fatto che chi ci rappresenta non ha ritenuto opportuno partecipare alla festa. Forse doveva preparare il meeting di oggi . Mah vedremo.
RispondiElimina@enrico: cerco sempre di tenere fuori la politica da questo blog, quindi ti rispondo solo sull'aspetto del costume: mi impressiona vedere la superficialità e la leggerezza con cui la maggior parte delle persone si gusta una giornata festiva senza minimamente interessarsi alle ragioni di tale festività. Anche la "Pasquetta" ha delle origini storiche e liturgiche profonde, che varrebbe la pena di conoscere a prescindere, anche senza sovrapposizioni di date o graduatorie di importanza o senso civico.
RispondiEliminaCome si fa, mi domando, a vivere senza mai chiedersi il perchè delle cose?
Hai risposto ad Enrico che preferisci tenere fuori la politica da questo blog...
RispondiEliminaConcordo quando per politica si intende riferirsi ai litigi sterili, agli slogan vuoti, alle ideologie del fai da te quel che serve a te, all'alleamoci pur di sederci sulla poltrona anche se abbiamo ben poco in comune, alla corruzione ed alla concussione.
C'è però ancora una piccola parte sana di chi continua a crederci, di chi si bea quando un ragazzo si appassiona alle possibili ideologie che vanno al di là della scelta tra Roma e Lazio e chiede uno spunto di riflessione per decidere se concordare o dissentire da ciò che l'informazione pubblica propone...
C'è ancora, come quel nonno sessant'anni fa, chi cerca di alzare la testa e di dire che non ci sta all'omologazione per forza, al sissignore perchè forse è più comodo, alla coerenza con i paraocchi.
Quella è la politica che mi piace, che si arricchisce con il dissenso costruttivo non gridato e che trovo a volte tra le righe di questo e di qualche altro blog, che utilizzano il linguaggio trasversale del cibo per proporre, proprio come a tavola, la possibilità di scambiare idee anche fuori dal coro...
@virò: per spiegarmi meglio dico allora che preferisco tenere fuori dal blog i personaggi della politica ed un po' tutto quello che finisce sotto i riflettori, perchè mi interessa di più occuparmi della vita concreta delle persone comuni.
RispondiEliminaPer costruire dal basso non c'è bisogno di criticare chi sta sopra di noi o spenderci tante parole, basta cercare di vivere onestamente ed apprezzare chi, nel suo piccolo, prova a fare la stessa cosa.