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la ricchezza del cibo povero

Come saranno state le bancarelle di streetfood a Bombay all'epoca di Marco Polo? Anche ai tempi si usava che gli abitanti passeggiassero lungo la spiaggia al tramonto o nel tempo libero, rilassandosi tra le attrazioni da fiera ed i baracchini di chaat, i golosissimi snack indiani? Probabilmente no, tempo libero e relax essendo concetti alquanto moderni in relazione alla "gente comune".

Il nostro Marco non specifica nulla in merito e si concentra molto i più sui commerci e sulle abitudini della gente che popolava ai suoi tempi il porto di Bombay... La sua vivandiera invece  non riesce a farsi completamente assorbire dai suoi racconti e si perde tra i profumi delle bancarelle sulla spiaggia di Chowpatty, dove si radunano la maggior parte dei venditori di snack e cibo da asporto, e si immagina che i cibi esposti sui loro banchetti non siano poi tanto diversi da quelli attuali...


... a parte il fatto che oggi, a differenza ovviamente dell'offerta presente ai tempi di Marco Polo,  moltissime specialità di Mumbay, dove prevale la cucina vegetariana, sono a base o contengono  patate!

Prevedibile: il cibo da strada in India si è sviluppato in modo importante soprattutto nelle grandi città, in cui la confluenza di grandi masse di persone è sempre stata continua e c'era dunque bisogno di proporre una gran varietà di sapori diversi basandosi su prodotti facilmente reperibili e di costo contenuto.

Ma anche prima della comparsa delle patate i chaat potevano diventare dei pasti sostanziosi, servendo ogni specialità su pane, frittelle di farina di legumi oppure sopra piatti metallici colmi di riso. Una tipicità di Bombay in questo senso è il ladi pav, letteralmente "pane a tavoletta", che la consistenza morbida, il sapore delicato ed il formato comodo rendono perfetti per accogliere e contenere qualsiasi delizia importata in città dagli immigrati provenienti dalle più remote regioni del Paese.

Specialità sugose come il pav bahji (patate o ceci schiacciati e saltati con pomodoro e spezie) od asciutte come i vada pav (frittelle di patate o semolino in pastella di ceci servite con chutney ed erbe), cremose come l'unda pav (uova strapazzate con cipolle e peperoni) o consistenti come il keema pav (a base di agnello speziato), tutte vengono servite all'interno di un morbido panino al latte, il pav appunto, che finisce dunque per caratterizzare qualsiasi chaat come tipico di Bombay indipendentemente dalla sua terra d'origine iniziale.

La maggior parte delle bancarelle, come quella della foto qui sopra, utilizza pav di produzione industriale ed il venditore si occupa prevalentemente di curare la sua offerta di ripieni, un po' come succede da noi nelle paninerie o (si auspicherebbe) per gli hamburger. Ma la vivandiera vuole approfittare dell'occasione ed imparare sul posto a confezionarselo da sola, il suo pane da asporto di Bombay, per poterselo poi riprodurre anche a casa nei momenti di acuta nostalgia per i viaggi...


Ladi pav - Pane  di Bombay al latte
ingredienti per circa 12 pezzi formato hamburger o per circa 20 formato tartina:
380 gr. di farina 0
170 gr. di manitoba
1 bustina di lievito di birra secco (io ho usato 15 gr. di lievito fresco)
370 ml. di latte di bufala (io ho usato 360 ml. di latte di vacca intero + 30 gr. di burro)
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaino scarso di sale

Intiepidire 70 ml. di acqua, sciogliere lo zucchero  e poi il lievito ed una cucchiaiata di farina, lasciando riposare coperto una decina di minuti fino a che comincia a produrre bolle.

Scaldare il latte (senza assolutamente farlo bollire!), spegnere ed unirvi il sale ed il burro a fiocchetti, rimestare fino a che si è tutto ben sciolto e lasciar intiepidire.

Setacciare insieme le due farine.

Versare entrambi i liquidi tiepidi nella planetaria o in un'ampia ciotola e mescolare bene, quindi unirvi il mix di farine qualche cucchiaio per volta, mescolando delicatamente con una frusta fino a che le farine sono ben assorbite prima di unire la dose successiva. Potrebbe essere sufficiente un po' meno farina o servirne una cucchiaiata in più, l'iportante è che l'impasto si sia compattato ma sia ancora un po' appiccicoso, in modo che rimanga molto elastico durante la lavorazione.

Lavorare nella planetaria con il gancio a velocità media per circa 6 minuti, oppure impastare a mano su un piano leggermente infarinato per ameno 12-15 minuti, fino a che l'impasto è bello uniforme e soffice, quindi coprire la ciotola con pellicola o con un telo umido e lasciar lievitare in luogo tiepido e riparato per un paio d'ore, fino a che il volume è raddoppiato.

Stendere l'impasto sulla spianatoia in un quadrato e dividerlo con un coltello nel numero di pezzi desiderato, quindi rotolare ogni pezzo tra le mani, piegandole all'interno verso il basso gli orli, in modo da formare delle palline grossomodo di grandezza uniforme.

Disporre ordinatamente i panetti su una teglia imburrata o foderata di carta forno, tenendoli distanziati di circa 3 cm. nel caso di panini grandi, 1 cm. se si è scelto il formato piccolo. Lasciar di nuovo lievitare fino al raddoppio, in modo che i panini si saldino l'uno con l'altro (come nel caso del danubio, con cui ci sono incredibilmente molte affinità...). Ci vorrà circa un'ora e mezza.

Se si vuole spennellare la superficie con latte e/o burro (io non l'ho fatto) ed infornare a 180° statico per circa 30-35 minuti nel casi di panini grandi, un po' più brevemente se i panini sono piccoli, fino a i pav sono belli gonfi e la superficie è ben dorata.


Lasciar raffreddare e servire l'intera stecca per un effetto scenografico se si vuole utilizzare come pane da tavola (perché no, anche per una colazione rilassata od un brunch), oppure dividere i panini e farcirli con il ripieno preferito, come fingerfood o ad un picnic.


Qui oggi ho usato il pav per una merenda salata un po' inconsueta, con una farcitura ispirata al vada pav: frittelle di riso gallo in farina di ceci, chutney di pomodori e gelatina di menta (!) Le frittelle in questo caso sono in verità il riciclo di un risotto zafferano e arancia, a riprova che in ogni parte del mondo la ricchezza del cibo povero è infinita...

  • rivoli affluenti:
  • la foto del baracchino di chaat sulla spiaggia di Chowpatty è tratta da: Priya Wickramasinghe, Carol Selva Rajah, The Food of India, Murdoch Books.

Commenti

  1. uhhhhhh, ma questa è una roba irresistibile!!! qui adoriamo il pane indiano in tutte le sue fogge, ma a Genova oltre al naan con varie declinazioni non si va. Ma questo ha tutta l'aria di uno di quei piatti da "metto-tutti-d'accordo" (a parte la bilancia, ovviamente). Le affinità col Danubio sono sorprendenti- e ci sarebbe da meditarci su, a proposito di rivoli affluenti...
    un bacione e buona notte
    ale

    RispondiElimina
  2. @alessandra: quando torni facciamo uno scambio filosofico/gastronomico tra pani polacchi e pani indiani (ma anche cinesi e inglesi e via e via, volendo...)

    @enrico: e devi sentire quando li farcisci cosa diventano!

    RispondiElimina
  3. Ciao passavo di qui e sono rimasta affascinata dai tuoi racconti (e dalle tue ricette).
    Mi appiccico!

    RispondiElimina

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