Dato che niente succede per caso, mentre ultimamente ero seduta sulla sponda del fiume in attesa degli eventi (come dicevo qualche giorno fa) non sono passati cadaveri di nemici ma intuizioni, desideri e, guarda un po', anche qualche inaspettata conferma rispetto alle mie scelte per il blog.
Non sono mai stata in nove anni una "foodblogger" tipica: cerco poco la visibilità, non punto sulle immagini, sono quasi inesistente sui social, accompagno le ricette con le divagazioni più assurde e non sempre recensisco i prodotti che ricevo o gli eventi a cui sono invitata. L'insieme del mio comportamento generalmente allontana gli imprenditori del food, specie quelli che puntano sui blogger come forma di comunicazione, ne' il fatto in sè mi è mai sembrato un dramma.
A quelli che si avvicinano comunque, poi, chiarisco sempre da subito che non sono un'opinionista di peso ne' una giornalista dalla vasta audience e che, nonostante questo, mi gusto il diritto di selezionare di cosa parlare bene e di cosa invece tacere (che di parlar male non mi passa neanche per la testa, per carattere). Moltissimi sono spariti al volo, giustamente. Anche perché, lo dico sempre, "i miei venticinque lettori sono davvero poca cosa". Soprattutto per chi, concentrato sostanzialmente sul numero, non coglie l'ironia della citazione ne' quanto una cifra scritta il lettere non valga solamente come numero.
Non ha affatto torto chi si rivolge altrove: il mercato delle parole, come quello dei prodotti a cui sono dedicate, funziona prevalentemente sui numeri, da imprenditori sarebbe un errore ignorarli. Però "prevalentemente" non significa "esclusivamente"... E se non sono in moltissimi a coltivare con cura anche altri aspetti della comunicazione, le persone e le aziende che colgono il sottile potere del "prevalentemente" sono quelle che poi si sanno anche togliere lo sfizio di fare le cose per bene e talvolta di offrire comunque spunti pure a chi scrive solo per venticinque lettori.
Così, chissà come, capita che Rustichella d'Abruzzo a primavera mi coinvolga in una cena futurista a base di pasta. E che, decantate le emozioni, tempo dopo io ne scriva spiegando perché, culturalmente e gastronomicamente (che poi spesso è la stessa cosa), l'incompatibilità tra Futurismo e pastasciutta nella mia esperienza sia solo apparente. E capita pure, chissà come, che il mio articolo venga notato dall'azienda. E capita infine che, un po' di tempo dopo, mentre me ne sto estivamente seduta sulla riva del fiume a capire in che direzione voglio scorrere con il blog, mi arrivi un invito alla trescatura.
Pe i vocabolari moderni la trescatura richiama un legame illecito o fraudolento ma, se si legge il Manuale dell'abitatore di campagna di G. B. Margaroli del 1831, si impara che è invece l'operazione di separazione dei chicchi di grano o di riso dalla pula della spiga e che, per estensione, in Abruzzo la trescatura (o pranzo della tresca) è la festa contadina che chiude le operazioni del raccolto.
I titolari di Rustichella credono che approfondire in concreto il legame con il territorio e mostrare dal vivo la tradizione a chi non li conosce abbia un valore anche culturale, oltre che "prevalentemente" di promozione del prodotto e di fidelizzazione al marchio. E così dal 2003 quasi ogni estate invitano giornalisti, chef ed operatori del settore ad assistere di persona alla prima trebbiatura del grano locale, quello con cui poi sarà prodotta la pasta Primo Grano.
E a questo punto sgorga spontanea la domanda: che c'entro io? Bello: non appartengo a nessuna delle tre categorie professionali eppure mi alzerò dalla riva del fiume per trovarmi a vivere questa esperienza, che è impossibile non definire "sul campo", con un'altra ventina di persone molto più titolate di me e provenienti da Armenia, Cina, Cipro, Francia, Germania, Israele, Russia e Stati Uniti. Senza che io abbia fatto nulla se non aver usato parole qui dentro per raccontare a soli venticinque lettori il senso nobile di un'iniziativa promozionale giocata sul piacere di fare anche cultura.
Sedevo al fiume in attesa di un segnale ma non mi aspettavo arrivasse dall'esterno: pensavo ad un moto interiore, ad uno spunto derivato da una sensazione, ad una elucubrazione filosofica, alla concretizzazione di un'idea suggerita dall'acqua in movimento. E invece le occasioni interessanti a quanto pare non guardano in faccia a nessuno e non si nutrono ne' di sola filosofia ne' di soli numeri. E ti colgono quando in realtà non le stai davvero aspettando, ne' richiedono tresche o "visibilità" per piombarti addosso.
Così lo scorrere del fiume mi porta incredibilmente tra i campi di grano abruzzesi, in mezzo a gente che fa informazione, cultura e cucina decisamente meglio di me. E mi fa sorgere il dubbio che in questo blog gli articoli scritti "per bene" vengano letti anche da qualcun altro, oltre che dai miei venticinque soliti, pazienti lettori. E che in fin dei conti, stranamente, piacciano.
- rivoli affluenti:
- questa l'azienda. Il resto lo scopriremo solo scorrendo
- Giovanni Battista Margaroli, Manuale dell'abitatore di campagna e della buona castalda, o sia guida ai medesimi, opera in un sol volume compilata per cura di G.B. Margaroli, Luigi Nervetti Editore, Milano, 1831.
Ha ha non attendi il cadavere perché sai che sua quelle sponde arriverà sicuramente qualcosa per cui varrà la tua interpretazione la tua parola scritta e la tua inventiva e comr vedi è accaduto così. Le cose vengono a te sanno che saprai accoglierle nel migliore dei modi. Una delle 20 che ti legge 😆😆
RispondiEliminaNon attendo il cadavere perché non voglio dedicare nemmeno un attimo di pensiero ai "nemici", sprecherei energie che preferisco impiegare nel fissare la bellezza dell'acqua che scorre😉
Elimina