Passa ai contenuti principali

bunny chow sudafricano alle banane, di nuovo per un MTChallenge esterofilo

Come dicevo nel post precedente, in questa puntata dell'MTChallenge in versione smart si propongono ricette di pollo straniere rivisitate a nostro modo. Io sto cercando di ricavarne quattro da un unico pollo per comporre un menù intero a base di piatti di nazioni differenti e, se l'altro giorno ho proposto un dessert, ecco oggi un secondo a base di pollo che ragiona su una ricetta sudafricana: il bunny chow.

E' in verità, di solito, un piatto unico e con il coniglietto Bunny non c'entra nulla! Con questo nome si intende una scatola di pane riempita di uno stufato speziato (volgiamo chiamarlo curry, all'anglosassone? ok), che in origine era solo a base di fagioli e sempre molto speziato: ogni cuoco ha la sua segreta miscela di spezie, di solito molto più piccante di quanto proposto qui, in cui però peperoncino, anice e cannella non mancano mai.

Se con il tempo il piatto si è arricchito di carne di pollo, manzo, maiale od agnello (specie a Durban, dove si dice sia nato e dove spesso le patate sostituiscono i fagioli), in origine si trattava di uno stufato molto economico ma sostanzioso destinato a sfamare, insieme al pane, le fasce meno abbienti della popolazione sudafricana.

Prende il nome dalla storpiatura di Bania, la casta indiana di imprenditori che in Sudafrica ha aperto moltissimi ristoranti, influenzando la cucina locale con le spezie e le tecniche di cottura tipiche dell'India, mentre nello slang sudafricano la parola chow significa "cibo". Ma che c'entrano gli Indiani?

Questa etnia è giunta in Sudafrica schiava dei coloni nel '600, in seguito è approdata sulle coste grazie al commercio delle loro spezie, dall'800 è immigrata alla ricerca di lavoro, ed ha finito per rappresentare oggi quasi un quarto della popolazione totale del Paese. Esistono varie teorie che spiegano la curiosa abitudine di usare come contenitore di cibo una forma di pane: gli Indiani, in un modo o nell'altro, sono protagonisti di tutte le versioni!

Secondo alcuni l'uso del pane scavato nasce negli anni ‘30 del secolo scorso quando, ancora prima delle esplicite leggi dell’apartheid, era già considerato disdicevole per le persone di colore entrare nei ristoranti o servirsi delle stesse stoviglie dei bianchi. I ristoratori indiani (i Bania), non volevano scontentare la clientela nera ma cucinavano questo stufato piccante con abbondante sugo, quindi non riuscivano a servirlo dentro i classici pani indiani sottili, ne' avevano stoviglie usa e getta per l'asporto.

Così scavavano il pane più economico a disposizione per ricavarne una scodella, lo riempivano di cibo (chow), lo avvolgevano in carta da giornale perchè non colasse troppo e restasse caldo e lo vendevano ai neri dal retro delle loro cucine.
proteste multirazziali in Sudafrica contro l'apartheid negli anni '50
Un'altra storia vuole il bunny chow inventato invece per i caddie indiani del magnifico campo da golf poco fuori Durban, che non avevano un intervallo sufficientemente lungo per andare a pranzo nei ristorantini indiani in città e rientrare per tempo, così venivano raggiunti da amici o familiari sul posto di lavoro con la schiscetta calda dentro il contenitore di pane.

Ci sono anche ristoranti che se ne attribuiscono direttamente una paternità più nobile, come il Queen’s Tavern o il G.C. Kapitan di Durban, ma si tratta di un piatto davvero semplice e povero, anche se sostanzioso, sono quindi più credibili le sue origini molto popolari: teniamo anche conto, in questo senso, che per tradizione anche quando è servito a tavola su un piatto si usa mangiarlo comunque con le mani (come gli Indiani...), partendo dal pane superiore, ancora bianco, e terminando con il fondo golosamente inzuppato di aromi. Non proprio un comportamento da ristorante...

Entrambe le ipotesi di origine popolare sono coerenti anche con il fatto che il bunny chow localmente si chiama anche kota, che significa “quarto”, in riferimento alla dimensione della porzione di pane che accoglie lo stufato e che corrisponde ad un quarto delle grandi government loaf, le pagnotte offerte dal governo a prezzi calmierati durante il secolo scorso.

Il concetto della scatola di pane si è ora allargato, sia nei localini alla moda che nei fast food, a qualsiasi cosa sia contenuta in una ciotola di pane, tanto che con il nome di bunny chow e kota,  ma anche di sphatlosephatlo, si serve oggi quasi sempre su un piatto ed imbottito in modo talmente abbondante che la farcitura strabordante si mescola volutamente con altri sapori e consistenze.

Nelle versioni più easy non è addirittura detto che sia presente lo stufato ma si accavallano nel piatto una ridda di farciture e/o contorni, tra cui verdure cotte e crude, patate, carni e pesci fritti, salsicce, polpette, insalate, uova, salse varie, salumi e formaggi. E' diventato un tale simbolo del cibo godurioso sudafricano che ogni anno a Soweto si tiene il Kota Festival con sfide tra i pani farciti nei modi più improbabili.
(... non comment!)
Nella mia versione, anche se disposta su un piatto, conservo lo stufato classico di pollo e fagioli  a riempire il pane da solo, però mi voglio allontanare dalla acclarata origine indiana della ricetta tradizionale per sottolinearne l'oramai totale appartenenza alla cultura africana.

Aggiungo quindi, sia nell'impasto del pane che tra gli aromi del pollo, un prodotto tipicamente locale: il platano. In realtà avevo già in casa la farina di platano ma non il frutto, essendo il mio spacciatore di fiducia troppo lontano rispetto alle corrette ragioni del contenimento. Sia nel pane che in sostituzione di parte dei fagioli dello stufato ho quindi italianamente (per modo di dire) usato delle normali banane del supermercato.

Poi, per temperare la dolcezza delle banane comuni, ho ceduto ai giovani suggerimenti modaioli sudafricani del formaggio, ma al finto cheddar fuso ho sostituito un ben più sapido ed italiano pecorino. D'altronde avevamo già visto qui come formaggio e banane si sposino divinamente.

Le varianti dunque sono: l'invenzione di un pane a (quasi) cassetta al platano/banana e la sostituzione di parte dei fagioli con banane, con relativo ri-dosaggio delle spezie, per un twist africano, e infine l'aggiunta di pecorino per un tocco di compensazione tutto italiano. Avevo pensato anche ad una presentazione di versa, con crostini di pane tostato da intingere in uno stufato ridotto a salsa, ma ho preferito mantenere l'aspetto assolutamente riconoscibile come un bunny chow all'antica, sorprendendo invece poi nei sapori.

Le dosi degli ingredienti sono per due o tre persone, ma suggerisco vivamente di raddoppiarle perchè lo stufato è ancora più buono riscaldato... sempre che ne avanzi. Il pane è pronto per cena se si impasta la mattina ma, potendo, conviene preparare anche quello il giorno prima: è più facile da tagliare e da scavare se è vecchio di un giorno.

Il pane risulta profumato ma, con queste proporzioni, non è ne' particolarmente dolce ne' "bananoso". Il sapore della banana invece si avverte nello stufato, sostenuto dalla dolcezza dei fagioli, bilanciato dagli aromi piccanti e speziati della salsa, che pervadono anche la carne. Il giorno dopo, riscaldato dopo il riposo, i sapori sono meglio fusi e la banana diventa un sapore originale ma non immediatamente identificabile.
BUNNY CHOW CON TWIST ALLE BANANE
ingredienti per 2 persone come piatto unico, per 4 come secondo:
per il pane:
160 g di licoli attivo
230 g di farina semiforte, con almeno 15 g di proteine
150 g di farina 00
50 g di farina di platano
80 g di latte intero
80 g di olio di arachidi
50 g di polpa di banana matura
2 cucchiai di miele
1 cucchiaino di zucchero
sale
per lo stufato:
300 g di carne di pollo (peso netto, qui ricavata da 2 sovracosce più sfridi vari)
250 ml di passata di pomodoro
1/2 cucchiaio di concentrato di pomodoro
50 g di cannellini secchi (avrei preferito fagioli con l'occhio)
60 g di polpa di banana leggermente acerba
2 cucchiai di pecorino grattugiato
1 piccola cipolla
1 spicchio di aglio
1 pezzetto di zenzero fresco grosso come l'aglio
5 foglie di curry
1 foglia di alloro
1 peperoncino rosso lungo secco
1/4 di cucchiaini di semi di cumino
1/2 stella di anice
2x1 cm di corteccia di cannella
1 bacca di cardamomo
2 cucchiai di olio di arachidi
bicarbonato
sale
zucchero
Mescolare al lievito il latte mescolando con un frustino; unire 80 g di farina semiforte e un pizzico di zucchero, mescolare bene, coprire e lasciar riposare per mezz'ora in luogo tiepido.

Schiacciare la polpa della banana matura con una forchetta, per ricavarne una crema leggermente granulosa, (oppure frullarla, per un composto liscio) e diluirla in 130 ml di acqua fresca. Setacciare insieme un paio di volte le farine, per arieggiarle bene e poi salarle leggermente.

Unire al primo impasto l'acqua alla banana, l'olio arachidi e il miele e mescolare bene con una frusta, poi aggiungere il mix di farine e mescolare bene fino a che sono completamente assorbite. Risulta un impasto appiccicoso ma uniforme.

Versare l'impasto in uno stampo rettangolare rivestito di carta forno coprire con pellicola e mettere a lievitare in luogo tepido per circa 8 ore, fino al raddoppio.

(Io non ho lo stampo a cassetta e mi sono accorta che per il mio da plumcake, da 10 x 22 cm, l'impasto era troppo: ne ho levati 190-200 g e li ho messi in una formina da torta da 12 cm; può essere un'idea usare stampi così piccoli per delle pagnottine individuali in un servizio più elegante, o anche tanti stampi da muffin se si serve il piatto come secondo in un pranzo con altre portate, dove quindi il pane è più un piccolo contorno che parte integrante del piatto.)

Inserire in forno statico che sia a 180° C da qualche minuto e cuocere per 30-35 minuti sul ripiano centrale, fino a che la superficie è ben dorata e l'interno testato con lo stecchino non risulta troppo umido.
Sformare e far raffreddare il pane capovolto su una griglia rivestita con un telo, in modo che la cupola si schiacci leggermente e la forma finale sia più vicina ad un parallelepipedo. Tagliarlo in due solo quando il pane è bel freddo, dopo almeno 3 ore, oppure conservare il pane intero avvolto in un telo per usarlo il giorno dopo.
Mettere a bagno i fagioli per 8 ore; scolarli, coprirli con acqua fresca, unire un pizzico appena di bicarbonato, la foglia di alloro e 1 foglia di curry, portare a bollore e cuocere un paio di ore, fino a che i fagioli sono belli morbidi.

Scolare e conservare la loro acqua, in cui si mettono a bagno per 10-15 minuti le foglie di curry rimaste con anice, cumino, cannella, cardamomo e il peperoncino inciso per il lungo, per ammorbidirli.

Tagliare la polpa del pollo a pezzetti da 1-1,5 cm; tritare la cipolla; grattugiare aglio e zenzero.

Soffriggere la cipolla nell'olio fino a che comincia ad imbiondire; unire la pasta di aglio e zenzero e le spezie, ben scolate ed asciugate, e far insaporire un minuto a fuoco vivace.

Versare il pollo nel tegame e far schiarire bene i dadini su tutti i lati, per sigillarli.

Unire la passata di pomodoro, il concentrato, un bicchiere dell'acqua di ammollo delle spezie e regolare di sale e zucchero, se serve, portare a bollore, abbassare la fiamma e cuocere piano per circa 20 minuti.

Tagliare la banana a pezzetti grandi come i fagioli e versarle nello stufato insieme ai fagioli e cuocere fino a che è tutto ben insaporito e i pezzetti di banana quasi sciolti, circa 10 minuti, unendo, se serve, qualche cucchiaio di acqua delle spezie se il fondo si addensasse troppo oppure alzando la fiamma se fosse troppo liquido.
Intanto tagliare il pane a cassetta in due  quadrati e, dal lato del taglio, scavarli all'interno per creare due ciotole e disporli su due piatti individuali.
Spegnere il pollo, levare, se si vuole, se spezie intere (io le lascio) unire una cucchiaiata di pecorino e mescolare bene. Se non si consuma subito meglio unire il pecorino solo dopo avere riscaldato di nuovo il pollo.
Versare in abbondanza lo stufato nelle scodelle di pane, tanto che coli anche all'esterno;
spolverizzare con il pecorino rimasto e servire.
Anche con questa ricetta partecipo all'MTChallenge smart di aprile 2020 sul pollo in vesti internazionali.
  • rivoli affluenti:
  • per una versione meno estrema, la ricetta del mio bunny chow classico si trova pubblicata su A Tavola di gennaio 2014, a pagina 83.
  • la foto delle proteste antiappartheid è presa qui, quella del kota superfarcito qui.

Commenti

  1. ....e niente, questo lo mangerei volentieri ��

    RispondiElimina
    Risposte
    1. di certo ha un aspetto più familiare e rassicurante del dolce di pollo... ma non scordarti la banana, se vuoi osare davvero.

      Elimina
  2. ........ le tue non sono solo ricette da acquolina ma sono sempre lezioni di storia che affascinano e che arricchiscono ogni piatto
    Grazie per queste meraviglie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. purtroppo la dietrologia è uno dei miei tanti difetti, almeno ogni tanto mi torna anche un po' utile...

      Elimina
  3. Come sempre ci proponi piatti commoventi, ricchi di storia e tradizioni culturali e poi fai dei mix pazzeschi ma che funzionano grazie alla tua grande sapienza e meticolosità!! Bella anche questa e io sono in crisi per la mia, ecco...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma come puoi essere in crisi tu?! Se vuoi parliamone, ma stento tremendamente a crederci.

      Elimina
  4. quando arrivo qui da te, leggo avidamente tutto quello che scrivi perchè quello che fai non sono solo ricette. Ogni cosa è frutto del tuo immenso sapere e io sono felice di poter imparare da te, sempre. Grazie Annalena, davvero di cuore. Ora mi aspetto gli altri fuochi d'artificio, curiosa come una scimmia di vedere cosa farai...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ma dai, questo non è un fuoco d'artificio, solo una ricetta banalotta con una storia curiosa! Basta alzare lo sguardo e di poesia vera ne trovi davvero. Tipo il tuo piatto, per dire.

      Elimina
  5. Passare di qua è come frequentare un corso monografico di antropologia del cibo e dei popoli! Detto questo, taccio, e voglio approfondire la conoscenza di questa farina di platano. Se fosse gluten free potrebbe essere una bella alternativa. Grazie Annalena!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. è una farina che stanno ultimamente testando molto in Equador, grande produttore di banane, per ridurre le importazioni di grano da panificazione. Miscelabile fino al 30% con la farina normale per un pane altrettanto alveolato, non ha glutine ne' grassi ma fibre e vitamine interessanti. Si usa anche come addensante e sta diventando di moda nelle diete paleo. La trovi nei negozi di alimenti etnici sudamericani e africani. E nei negozi bio più trendy, ovviamente. In italiano si chiama farina di banane verdi, in inglese plantain flour e in spagnolo harina de platano.

      Elimina
    2. Grazie, sono le info che cercavo.

      Elimina

  6. Sono rimasto incantato con la tua spiegazione e l’originalità della ricetta proposta. Mi sono subito ricordato di un romanzo della letteratura africana di lingua portoghese, “Terra sonâmbula”, del mozambicano Mia Couto (non so se già tradotto in italiano), in cui, tra le altre vicende, si racconta l’amicizia di un ragazzo africano negro, Kindzu, e un indiano, Surendra Vala, giustamente un venditore di spezie venuto dall’India. I dialoghi tra il nativo e lo straniero indiano sono bellissimi. A un dato momento Surendra dice a Kindzu: “Siamo della stessa razza, Kindzu: siamo dell’ Índico.”

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille del tuo contributo! Lo avevo sentito nominare ma non ancora letto. Il tema è attualissimo e figurati che nell'edizione italiana la prefazione è di Sepulveda. Ora lo leggerò di sicuro.

      Elimina
  7. E' sempre un piacere imparare da te,proposta molto interessante anche per il mio palato che non ama troppo il piccante.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Già qui ho parecchio ingentilito la piccantezza originale e tieni conto che i fagioli, come le patate, tendono ad abbassare la piccantezza percepita, inoltre qui anche la banana gioca un ruolo fondamentale in questa direzione. Ma il divertente quando si parla di "curry" è che in realtà ti puoi inventare la tua miscela di spezie come ti pare... compreso eliminare il peperoncino.

      Elimina
  8. Ma sai che, a Napoli, il "cozzetiello" del palatone (cioè la parte terminale di un filone di pane a lievitazione naturale) ripieno di qualunque cosa (ragù, polpette, parmigiana) è un classico? Quando ero bambina, mia nonna me lo preparava ripieno di pomodori appena colti, olio e basilico e lo chiamava culurcio

    RispondiElimina
    Risposte
    1. è vero, e secondo me il cozzetiello è la vera ispirazione del trapizzino romano. Tra l'altro ora pure il cozzetiello è stato registrato come marchio, anche se non ne hanno poi fatto ancora niente.

      Elimina
  9. Dunque, non saprei cosa dire se non iniziando che sono rimasta totalmente sorpresa da questo abbinamento, fagioli e banane, chi l'avrebbe mai immaginato? A me piacciono i contrasti dolce/salato e la farina di banane è davvero intrigante, in tempi meno sospetti la cercherò ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. la farina di banane non ha vero o sapore di banana, per questo ho aggiunto anche un po' di frutto schiacciato nel pane. l'abbinamento banana fagiolo, di per sé dolce, va sostenuto con erbe o spezie e contrastato con sapidità o pungenza. Per il resto... se lo provi mi interessa moltissimo il tuo parere.

      Elimina
  10. qui sono veramente in difficoltà, perché l'unica cosa che non riesco a mangiare sono le banane. Sono venuta a patti con il coriandolo e con tanti altri sapori "difficili", ma questo è un problema che mi porto dietro da bambina, con cui non riesco proprio a venire a patti. Se me lo immagino senza banane, però, lo mangerei eccome, ecco :)
    Una cosa che però secondo me va detta è che solo tu hai questa capacità di giocare con la cultur, di fare ironia sul tozzo di pane fighetto e ricondurlo alle sue origini, guardando tutto da questa lente che diverte e dissacra. Quello che imparo io da te non sono le nozioni, che me le dimentico ogni volta- ma proprio questa allegra e scanzonata leggerezza che è solo di chi se la può permettere. E tu sei fra questi pochi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ...l'allegria abbatterà la cucina banale e un sacco di risate la seppellità.

      Elimina
  11. Alessandra ha scritto magnificamente quello che io non sarei riuscita a dirti neanche con un poema. Mi piace molto come scherzi e "utilizzi" la tua cultura, ma non so se riuscirei a mangiare il tuo piatto, visto che odio le banane anche io. Pensa che mia madre, esasperata da me che, bimba di pochi mesi, serravo le labbra per rifiutare la merenda di banana ,me l'ha proprio strofinata in faccia, a mò di schiuma da barba... Oggi l'assaggio, ma non la scelgo. Mi hai fatto, però, innamorare della tua storia, come sempre.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. credo che la cosa più terribile sia trovarsi forzati a mangiare ciò che non piace. E' successo a mia sorella da piccola con il formaggio, a mio fratello con i porri e al mio compagno con la zucca. A me con niente... ma solo fino ad ora!

      Elimina

Posta un commento

post più popolari

MTC di settembre 2014: un sacco di riso!

Diceva un vecchio slogan anarchico: "con l'ironia abbatteremo il potere e un sacco di riso lo seppellirà".  A no? Erano risate?! Va be'... per un MTC di questa portata ci si può anche concedere una licenza! Premessa... ... avevo scritto un post lunghissimo per raccontare perché e per come ho scelto questo tema per l'MTChallenge di settembre 2014. Poi l'ho ridotto della metà, lasciando solo alcune note che mi sembravano indispensabili, e l'ho mandato alla Gennaro per un parere.  E lei ha detto che un terzo di quanto le ho mostrato era già troppo! Allora ho ricomposto alcuni dei contenuti in articoli di supporto da pubblicare più avanti ed ho cassato il resto. Qui è rimasto il riassunto della selezione della selezione, ovvero il puro tema dell'MTC. Che, mi spiace, adesso vi tocca leggere per intero! Se scegliere un ingrediente invece che una ricetta tende ad allargare gli orizzonti, questa volta scegliere IL RISO , come capirete, li spalanca fran...

a tu per tu con il Fleischkäse svizzero, questo sconosciuto di famiglia

Nel curioso elenco dei cibi svizzeri che hanno caratterizzato la mia infanzia mi rendo conto che, fatto strano, sul blog non ho ancora parlato del  Fleischkäse, una via di mezzo tra un polpettone ed un würstel gigante di cui da bambini venivamo spesso nutriti. Ma un episodio di vita vera me lo ha messo sotto il naso proprio l'altro giorno, ed eccomi qui con il mio reportage storico-familiare. Alcuni Svizzeri, come quelli di casa mia, vivono il   Fleischkäse come un salume, da comprare pronto, intero o affettato sottile in buste, da servire in tavola come fosse prosciutto cotto o da infilare nei panini per merenda con maionese, senape e cipolline sottaceto (Be'... che c'è?! Se mia mamma per evitare che noi figli mangiassimo troppa Nutella la teneva in frigo ad indurire, così era più difficile da spalmare e sul pane se ne metteva di meno, perché stupirsi di quella che lei invece considerava una merenda "sana"?!) Altri amanti del  Fleischkäse  lo ...

una salsa di cipolle svizzera per würstel e per mamme lavoratrici

Lo so: sono rimasta indietro di una puntata! Parlavo di  ricette svizzere  quando un'irrefrenabile tentazione di cibo americano  si è intrufolata in cucina ed ha avuto  la meglio. Riprendo ora il filo con un piatto che ho proposto pochi giorni fa anche alla mia cara mammina svizzera in occasione del suo compleanno: Bratwurst con salsa di cipolle. L'aspetto curioso non sta tanto nel tipo di würstel utilizzato, una salsiccia bianca di vitello il cui nome per alcuni significa "salsiccia di carne spezzettata" e per altri "salsiccia da arrostire". In Germania di solito viene speziata in modo deciso con pepe, noce moscata e/o cumino, mentre in Svizzera il suo sapore è molto più delicato. In Ticino ne esiste una versione mignon, una "collana" di micro-salsiccine detta cipollata  non perchè contenga cipolle ma perchè, appunto, di solito si serve in salsa di cipolle. Ma, a casa della mia mamma lavoratrice senza tempo ne' passione per la cucina,...

MTC giugno 2011... verso Oriente!

Continuo a pensare che le giudici  titolari  e aggiunte  dell'MTC fossero completamente fuori quando hanno passato a me il testimone e nessuno potrà convincermi del contrario, anche perchè potevano ben immaginare in che gorgo storico-etnico-confusionale avrei trascinato la sfida... ma si sono fidate lo stesso! No, è oggettivo: non possono essere completamente normali... Accertato questo, dichiaro anche di non essermi mai emozionata tanto nello scrivere un post e soprattutto nel proporre una ricetta, sentendo tanti occhi puntati addosso ed il fiato trattenuto di tanti MTC addicted... Ebbene sì, rilassatevi (o disperatevi) pure: come temevate, questa volta si va davvero tutti in Giappone! Niente succede per caso, si sa. Tanto è vero che l'eterno girovagare di Marco Polo (a cui faccio da qualche tempo da vivandiera ) l'ha portato proprio a questo punto del suo viaggio a confrontarsi con  Cipango , il Paese del Sol Levante... Come potevo non cogliere il suggerimento ...

peperoni farciti alla croata: massaia batte bustina millemila a zero!

Riprendere a parlare di cucina non è facilissimo, soprattutto con il tono scanzonato che avevo in mente per questo post. Mi limiterò all'aspetto "documentaristico" ed umano, che l'umore magari sa beneficiare della concentrazione e della dolcezza richieste da una simile impostazione. Dopo una lunga serie di articoli e ricette a base di riso penso di cambiare direzione dedicandomi ai peperoni bianchi croati che di solito si cucinano ripieni di carne, per scoprire poi che nella farcia è presente riso crudo. Quando si dice il caso... I peperoni bianchi, babura paprika, in Croazia sono reperibili facilmente proprio in questa stagione. Ne ho in frigo tre e decido di prepararli, appunto, come  punjene paprike , ovvero farciti e cotti nel pomodoro, ricetta tipica che con piccole varianti è diffusa anche in altri Paesi limitrofi e che ogni famiglia, ovviamente, prepara secondo i propri criteri. La versione più semplice prevede di profumare carne trita di manzo o m...

riso Otello: un nero integral(ista)

Il primo giorno di autunno una ricetta con le ultime verdure estive, che sono ancora buone visto che sembra far più caldo ora che nei mesi trascorsi... Sollecitata da alcuni dubbi posti sulle modalità di cottura del riso integrale e sull'utilizzo di varietà di riso "esotiche", ho pensato di provare le risposte sul campo e chiarire soprattutto le idee a me stessa, la prima che ha tutto ancora da imparare. Così, per prendere due piccioni con una fava, ho scelto un riso sia nero che integrale. No, non famoso ed idolatrato riso Venere, fantastica varietà di nobile origine cinese che, grazie a opportune ibridazioni, ora è coltivato anche in Italia.  Ho pescato  invece una varietà tutta italiana: il riso Otello, che deriva anch'esso da varietà cinesi ma è di concezione e di coltivazione tutta nostrana. Chissà se il  nome è stato ispirato ispirato dal famoso personaggio shakespeariano, dalla sua pelle scura e dalla sua natura piuttosto integral ista... Si utilizz...

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!