E' partita in 17 gennaio un'iniziativa fantastica delle Gallerie degli Uffizi di Firenze in cui l'arte si confronta con la cucina: Uffizi da mangiare. Ogni domenica un importante chef racconta la propria visione di un dipinto della collezione degli Uffizi: nell'opera è presente del cibo, ovvero si tratta di una natura morta, ed il cuoco/osservatore abbina alla suggestione da essa derivata una propria ricetta, raccontando entrambe in un video (tutti raccolti nel link qui sopra e visibili anche sul canale Youtube dedicato) come anche sulla pagina Facebook del museo.
Nei miei ultimi due anni di lavoro in una prestigiosa galleria di arte antica di Milano la mia passione per il cibo nell'arte ha trovato uno sfogo: con il permesso dei titolari ho portato a casa cataloghi e riviste specializzate che ogni settimana loro eliminavano dal proprio archivio, ne ho ritagliato con costanza riproduzioni di nature morte e mi sono costruita una personale raccolta di piccole meraviglie.
Alcune di esse ho finito per incorniciarle ed appenderle in cucina, fitte fitte, a ricordarmi che ogni gesto compiuto nella preparazione del cibo è esso stesso una rappresentazione della bellezza. qui si respira arte in cucina in tutti i sensi, insomma.
Lo avevo accennato in un post di qualche mese fa in cui approfondivo le citazioni di cibo nei dipinti di De Chirico, post di corollario ad un articolo pubblicato nel Calendario del Cibo Italiano dal titolo Il senso della rappresentazione del cibo: i simboli della natura morta seicentesca e la necessità di certezze di quella contemporanea.
Del rapporto tra gastronomia e arte avevo anche ragionato, sempre per il Calendario, della visione futurista del cibo e delle bevande, ma soprattutto in un articolo per MTChallenge, dove, con la collaborazione della galleria di Milano, presentavo una tavola apparecchiata con preziose maioliche settecentesce di Bassano e con coerenza storica presentavo un elegante menu veneto che avrebbe potuto essere servito all'epoca (qui i relativi retroscena) e per la galleria stavo organizzando degli eventi che mettevano proprio in relazione la pittura ed il cibo, poi purtroppo tutto fermato dai noti eventi comuni.
L'operazione promossa ora dagli Uffizi è certo molto più colta ed autorevole rispetto alle mie piccole iniziative, ma per me rappresenta uno stimolo irresistibile a riprendere quel filone di passione storico-gastronomica anche qui nel blog. Dunque, come avevo seguito anni fa il viaggio di Marco Polo fingendomi la sua vivandiera, acchiappo al volo questa golosa (!) occasione per tuffarmi nel rapporto tra arte e cibo seguendo il viaggio proposto dalle Gallerie degli Uffizi.
L'idea non è certo quella di emulare gli chef blasonati che prendono autorevolmente la parola nel progetto ufficiale: semplicemente mi piace l'idea di raccogliere le emozioni suscitate dalla visione dei dipinti (appena si potrà andrò naturalmente ad incontrarli tutti dal vivo!) e raccontarle attraverso una piccola ricetta, una di quelle che avrebbe potuto essere preparata all'epoca con gli ingredienti e vivande raffigurati.
Come simbolo di questo mio viaggio prendo a prestito, per questioni totalmente affettive, un dipinto di un pittore del '900 a me molto caro: Ugo Celada da Virgilio.
Di questa scelta parlo oggi, "puntata zero" del mio percorso, che viaggia parallelo al progetto degli Uffizi, in leggera differita. Riprendo il cammino, infatti il giorno 27, a dieci giorni di distanza rispetto alla domenica di partenza di Uffizi da Mangiare. Il tema di arte e cucina viene lì sviluppato attorno alla loro prima proposta, il settecentesco Ragazzo con la cesta di pesci, dipinto da Giacomo Cerruti ed avvolto dalle parole sapienti dello chef Fabio Picchi. A seguire, a 10 giorni da domenica 24, arriverà La dispensa di Jacopo Chimenti, affidato alla graticola di Dario Cecchini, e così via, ogni settimana.
Ugo Celada da Virgilio è un pittore mantovano che viaggiò molto, lavorò prevalentemente nel Nord Italia e in Francia e trascorse l'ultimo terzo della sua vita a Varese, mia città natale. La mostra permanente allestita in suo onore una decina di anni prima della sua morte nel paese natìo venne curata da quello stesso Flavio Caroli che fu poi il mio docente di Storia dell'Arte alla Facoltà di Architettura.
Secondo Alfredo Accatino "Ugo Celada rappresenta la reale punta di congiunzione tra la Metafisica, il Realismo Magico, la Nuova Oggettività, il Novecento. Quattro movimenti apparentemente e geograficamente distanti, che in lui – e che dire solo in lui - si esaltano e si completano. Ogni sua opera diviene così un quadro idealmente dipinto a tante mani, dove sembra di ascoltare le pagine di Bontempelli, le suggestioni di Cagnaccio di San Pietro e Donghi, i paesaggi immoti di De Chirico, la pittura dei maestri internazionali della Neue Sachlichkeit, come Dick Ket, o del precisionismo."
Nato nel 1895 a Cerese di Virgilio, vicino Mantova (toponimo che Celada volle aggiungere al proprio cognome), era noto e molto apprezzato nell'ambiente artistico a lui contemporaneo ma molto meno presso il grande pubblico, che per conoscerlo dovette aspettare una mostra postuma del 2005 a Milano.
In parte questo misconoscimento fu dovuto alle sue idee antifasciste, che dagli anni '30 lo esclusero da tutti i canali della cultura "ufficiale", in parte alla complessità della sua pittura, amata dalla borghesia colta ma guardata, in parte con diffidenza in parte con invidia, da molti, compresi alcuni suoi colleghi, specie dopo che nel '31 disconobbe il movimento artistico del Novecento per intraprendere una sua strada molto personale.
La natura morta che ho scelto è perfetta espressione del suo "realismo magico" e di una capacità straordinaria di definire la qualità di una luce che teoricamente nemmeno c'è. Adoro la trasparenza del vetro a riflettere dettagli invisibili, in questo caso una finestra, unica luce brillante teoricamente presente nel dipinto. E la bottiglia di sinistra, che sembra quasi sospesa a levitare illusoriamente sopra il realistico drappo rosso.
Il colore scuro del tessuto sullo sfondo gioca tra lucido e opaco, ancora a rivelare e negare la luce, e segna con il telo rosso brillante una geometria ortogonale, in verità attenuata dai movimenti morbidi dei drappi stessi e dalle tinte scariche di quanto disposto sulla tavola. Adoro quei suoi frutti, infine, che sembrano ritratti in quanto reali, persino imperfetti, e invece vengono sottratti al quotidiano dalla loro tranquilla, metafisica opacità.
Adorare un dipinto e da esso ricavare delle suggestioni gastronomiche è la mia piccola sfida personale in questo cammino. Nulla ha a vedere (purtoppo!) con la sapienza e l'esperienza degli chef protagonisti di Uffici da mangiare, ne' con le altrettanto sapienti descrizioni dei dipinti da parte degli esperti critici d'arte delle Gallerie. Qui si tratta del puro diletto di una appassionata di arte e di cucina, che semplicemente ritiene la natura morta una meravigliosa forma di lettura della tavola storica.
Il diletto ovviamente qui riguarda mele e pere. E quell'acqua che non c'è, anche se la luce catturata dalla bottiglia tende a suggerirla, e un pizzico di impalpabile zucchero, richiamato dalla polverosità del drappo blu. Filologicamente, poi, qui si guarda alla cucina domestica quotidiana della Varese degli anni '60, dove Celada arrivò con moglie e figlia (nel '59, per la precisione) e dove io cominciavo la mia infanzia. Anche grazie alla merenda di mele cotte della mia nonna.
Le prossime sfide saranno certamente più impegnative per soggetto e per ricostruzione storica della cucina d'epoca... ma qui, onestamente, gioco in casa! Le aggiunte a frutta, acqua e zucchero per crema di mele della nonna sono semplici: due tocchi di alloro e di scorza di limone, come faceva lei. Anche perchè inseguendo Uffizi da mangiare ritroveremo spesso il limone nelle raffigurazioni pittoriche, così come profumi e spezie nelle ricette d'epoca, dunque era d'obbligo che presenziassero alla partenza, a prescindere dai gusti di mia nonna.
La ricetta questa volta non ha bibliografia, essendo di casa e "di modernariato" più che antica; anche le dosi ovviamente sono indicative, come tutte le ricette delle nonne. E, incidentalmente, sono sua eredità anche i vetri nelle mie foto.
PUREA DI MELE DELLA NONNA, CON UGO CELADA DA VIRGILIO
ingredienti per 4 persone:
2 mele
2 cucchiai di zucchero
la scorza di 1/2 limone bio, tagliata a nastro
1/2 fogliolina di alloro
Ridurre le mele sbucciate a fettine e metterle in un tegame con gli altri ingredienti. Coprire a filo con acqua, portare a leggero bollore e cuocere scoperto a fuoco medio-alto per una mezz'oretta circa, mescolando ogni tanto in modo che le mele si frantumino.
Spegnere quando l'acqua è quasi tutta asciugata, è rimasto solo un velo di sciroppo sul fondo del tegame e le mele sono morbide e un po' sfaldate; levare alloro e scorza di limone e frullare.
Volendo si può rimettere sul fuoco a fiamma vivace e per ottenere una maggiore densità, ma io non lo faccio quasi mai. Si serve sia calda che tiepida che a temperatura ambiente, da sola per merenda o con biscottini e panna montata come semplice dessert di fine pasto.
- rivoli affluenti:
- la presentazione ufficiale dell'iniziativa degli Uffizi: qui
- l'immagine del dipinto di Ugo Celada da Virgilio viene da un catalogo del 2018 di Farsetti Arte, che si trova anche qui on line
- la fotografia di Ugo Celada da Virgilio viene dall'articolo di Accatino al link nel testo; consiglio vivamente le sue "Storie di artisti sconosciuti", che ha raccolto nei libri Outsiders e Outsiders 2
- per seguire questo mio percorso basta cliccare sopra l'icona del progetto nella barra laterale del blog, oppure usare questo link.
No va beh...riesci sempre a stupirmi!
RispondiEliminavedrai: lo stupore crescerà ad ogni opera... Non per merito mio però: l'arte meraviglia da sola!
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