Nonostante nei primi mesi non avessi reso pubblico ciò che scrivevo, come qualcuno negli ultimi commenti ha voluto farmi notare... da più di un anno ho cominciato a mettere qui dentro il mondo disordinato del mio stile culinario. E in questo lungo periodo di "pratica" mi sono accorta di avere sviluppato una inaspettata forma di lento e costante blog-pensiero.
Me ne sono resa conto solo ultimamente rileggendo i miei primi post, il cui spirito in questo momento mi sembra molto chiuso al mondo, più vicino ad una sorta di diario delle ricette familiari e delle letture amate, dove ogni piatto era legato con affetto quasi esclusivamente a persone, episodi o libri della mia vita.
Inizialmente nel pensare ad un nuovo post guardavo molto al passato. Forse perché ero poco convinta del presente e totalmente assente nei confronti di una qualsiasi visione di futuro. Sentivo inconsapevolmente la necessità di costruire una sorta di base di partenza, quasi volessi sottolineare a me stessa quanto fossi, prima o poi, destinata a muovermi verso qualcosa.
Non che i fatti siano cambiati nella sostanza, anzi: forse la mia vita in questi momenti è pure più complessa di allora ed una direzione sensata continua comunque a mancarmi. Ma nel blog ho gradualmente cominciato a prendere in considerazione in generale i miei pensieri e poco per volta anche gli stimoli provenienti dal confronto con nuovi incontri ed esperienze, indipendentemente da ricordi e presenze.
Dunque mi sono effettivamente, costantemente mossa, senza saperlo. Dunque non sono cresciuta solo in età lungo questi quattordici mesi circa... Il blog-pensiero si è riversato nella vita quotidiana per cercare almeno un paio di volte la settimana qualche cosa (di me o meno) che valesse la pena di considerare più da vicino. Forse l'avrei fatto lo stesso, ma lo sprone della scrittura continua ha accelerato lentamente i tempi, come la tartaruga che con lentezza e costanza capita arrivi prima della lepre...
Probabilmente, come tutti, sono insieme la stessa persona di un anno fa ed anche un pochino nuova. E la cosa mi diverte perché posso osservare sulla carta (ok, no... sullo schermo del pc) l'evoluzione della mia serenità, guardandone con tenerezza i piccoli segnali che durante il percorso mi risultavano assolutamente impercettibili e che magari lo sarebbero anche ora, se non li avessi nel frattempo fissati sulla carta (eddai... nel blog!).
Mi piace dunque paragonare questa suggestione appena sussurrata, questa ombra chiara, questa aria sottile di mutamento ad un piatto della cucina giapponese che mi assomiglia molto, nato per essere diverso da ciò che è ora, nato in un luogo che ora si chiama in un modo differente...
Il nome di questo piatto richiama le sue origini geografiche. Cita l'antica Chikuzen, una zona dell'isola di Kyushu che corrisponde all'odierna Fukuoka. E' uno stufato della tradizione, semplice e casalingo, preparato prevalentemente agli inizi dell'autunno con prodotti di stagione quali renkon e shijtake, cioè radici di loto e funghi, e con le delicate carni di suppon... ovvero di tartaruga!
No no, nessun capello da rizzare in testa: anche in Giappone ora si usa solo pollame, preferibilmente a carne scura... Questa preparazione ad ogni modo mi affascina anche perché è semplice e veloce ma prevede una preparazione degli ingredienti calma e meticolosa, che per me ha quasi il profumo di un rituale. Ed i rituali rasserenano, come i mutamenti graduali.
Ecco dunque una versione odierna e personale dell'antico
Chikuzen Ni - Stufato di Chikuzen
ingredienti per 4 persone giapponesi o per 2 o 3 occidentali:
450 gr. di petto di pollo con la pelle (ma anche polpa di faraona o tacchino)
1 panetto da circa 250/300 gr. di konnyaku (gelatina molto soda di amido ricavato dal bulbo di una pianta giapponese)
1 carota piccola (c.a 60 gr.)
3 funghi shijtake secchi
1 pezzo di renkon (radice di loto) di c.a 5 cm., cioè circa 30 gr.
1 pezzo di gobo (radice di bardana)* di c.a 5 cm., cioè circa 30 gr.
2 cucchiai di pisellini sgranati (ev. surgelati)
120/150 ml. di dashi
2 cucchiai di sake
1 cucchiaio di maizena
1 cucchiaio di olio di semi leggero (qui ho usato arachide)
2 cucchiaini di zucchero
1,5 cucchiai di salsa di soia chiara
Mettere a bagno i funghi (avevo parlato velocemente degli shijtake qui) in 200 ml. di acqua tiepida, volendo con 1 pizzico di zucchero che aiuta ad ammorbidire (oppure usare dashi invece dell'acqua) per almeno mezz'oretta, poi scolare i funghi senza buttare l'acqua di ammollo, eliminare i gambi e tagliare le cappelle in quarti. A parte filtrare l'acqua di ammollo con un telo fine o con carta da cucina.
Eliminare grasso e nervetti dal pollo e tagliarlo a dadini poco più grandi di 1 cm., cercando di lasciare un po' di pelle ad ogni pezzo.
Miscelare 1 cucchiaio di sake all'amido e mettervi il pollo, rigirandolo per ricoprirlo bene su tutti i lati con la pastella e lasciandolo poi a marinare per mezz'oretta, in una ciotola coperta, a temperatura ambiente oppure un paio d'ore in frigo.
Scolare ed asciugare bene il blocco di konnyaku, inciderne la superficie a piccoli tagli paralleli ravvicinati lungo le diagonali per permettere agli aromi di insaporirlo meglio, ripetendo anche dall'altro lato piatto, quindi tagliare il blocco in circa 15 o 20 cubetti. Io ho fatto il lavoro troppo deconcentrata, i tagli dovrebbero in realtà essere molto più fitti.
Pelare la carota e tagliarla a pezzatti partendo con un taglio diagonale dalla cima
e ruotando poi la carota di 90° per ogni taglio successivo, in modo da ottenere pezzi tutti grossomodo della stessa forma e dimensione (taglio ran-giri).
Tagliare allo stesso modo renkon e gobo.
Scottare i piselli un minuto in acqua leggermente salata, scolare e sciacquare sotto l'acqua fredda, in modo che siano teneri ma il colore resti brillante. Io li ho semplicemente messi 1 minuto al microonde con 2 cucchiai di acqua.
Scaldare una padella antiaderente e tostarvi i dadi di konnyaku per un minuto o due muovendoli sempre, fino a che sono belli asciutti e cominciano a "cantare" (tostatura kara-iri), quindi aggiungere l'olio in una spirale dal perimetro al centro e friggere per circa 30 secondi, spostando poi i dadini sul perimetro per fare spazio al centro dell'olio.
Mettere al centro del tegame il pollo con la pelle sul fondo e lasciarlo cuocere senza muoverlo per un minuto o due, o comunque fino a quando si colorano i bordi inferiori.
Scuotere vigorosamente il tegame per staccare il pollo dal fondo e rivoltarlo, quindi riportare al centro i dadini di konnyaku ed unire funghi, carote, daikon e gobo, saltandoli a fuoco vivo per un altro minuto.
Unire il dashi (magari tenendone da parte un paio di cucchiai), l'acqua dei funghi, il resto del sakè e lo zucchero, abbassare la fiamma e lasciar sobbollire dolcemente per 10-12 minuti, meglio se coperto con un otoshi-buta (**), ruotando ogni tanto la padella inclinata per assicurarsi che tutto cuocia uniformemente.
Quando il liquido è decisamente ristretto e le verdure sono tenere (tanto da offrire poca resistenza ad uno stuzzicadenti ma essere ancora un pochino croccanti sotto i denti) versare la soia, sempre a spirale, miscelare velocemente con una spatola e lasciar cuocere di nuovo semicoperto per un altro minuto, fino a che il liquido si è ridotto grossomodo ad un paio di cucchiai.
Spegnere il fuoco e lasciar riposare coperto nello stesso tegame fino a che si è raffreddato, in modo che i sapori si amalgamino alla perfezione. Si serve a temperatura ambiente oppure brevemente intiepidito, unendo i piselli solo al momento di servire perché rimangano verde brillante.
In famiglia si mette la ciotola al centro della tavola, in un servizio più formale si divide lo stufato in ciotole individuali, badando a distribuire in ognuna lo stesso numero di pezzi di ogni ingrediente, disponendoli in modo da creare un piacevole contrasto di colori, con la pelle del pollo verso l'alto ed i piselli sparsi sopra per ultimi a decorare.
In versione vegetariana (e anche per chi in questo caso ha per i polli la stessa considerazione che ha per le tartarughe...) si può sostituire il pollo con blocchetti di tofu fritto (atzu-age), elimimando in questo caso sia la pastella che l'olio che non servono, avendo già l'atzu-age la propria crosticina; il dashi può allora essere sostituito con kombu-dashi (brodo di sole alghe). Entrambe le versioni si conservano in frigo fino a tre giorni.
Me ne sono resa conto solo ultimamente rileggendo i miei primi post, il cui spirito in questo momento mi sembra molto chiuso al mondo, più vicino ad una sorta di diario delle ricette familiari e delle letture amate, dove ogni piatto era legato con affetto quasi esclusivamente a persone, episodi o libri della mia vita.
Inizialmente nel pensare ad un nuovo post guardavo molto al passato. Forse perché ero poco convinta del presente e totalmente assente nei confronti di una qualsiasi visione di futuro. Sentivo inconsapevolmente la necessità di costruire una sorta di base di partenza, quasi volessi sottolineare a me stessa quanto fossi, prima o poi, destinata a muovermi verso qualcosa.
Non che i fatti siano cambiati nella sostanza, anzi: forse la mia vita in questi momenti è pure più complessa di allora ed una direzione sensata continua comunque a mancarmi. Ma nel blog ho gradualmente cominciato a prendere in considerazione in generale i miei pensieri e poco per volta anche gli stimoli provenienti dal confronto con nuovi incontri ed esperienze, indipendentemente da ricordi e presenze.
Dunque mi sono effettivamente, costantemente mossa, senza saperlo. Dunque non sono cresciuta solo in età lungo questi quattordici mesi circa... Il blog-pensiero si è riversato nella vita quotidiana per cercare almeno un paio di volte la settimana qualche cosa (di me o meno) che valesse la pena di considerare più da vicino. Forse l'avrei fatto lo stesso, ma lo sprone della scrittura continua ha accelerato lentamente i tempi, come la tartaruga che con lentezza e costanza capita arrivi prima della lepre...
Probabilmente, come tutti, sono insieme la stessa persona di un anno fa ed anche un pochino nuova. E la cosa mi diverte perché posso osservare sulla carta (ok, no... sullo schermo del pc) l'evoluzione della mia serenità, guardandone con tenerezza i piccoli segnali che durante il percorso mi risultavano assolutamente impercettibili e che magari lo sarebbero anche ora, se non li avessi nel frattempo fissati sulla carta (eddai... nel blog!).
Mi piace dunque paragonare questa suggestione appena sussurrata, questa ombra chiara, questa aria sottile di mutamento ad un piatto della cucina giapponese che mi assomiglia molto, nato per essere diverso da ciò che è ora, nato in un luogo che ora si chiama in un modo differente...
Il nome di questo piatto richiama le sue origini geografiche. Cita l'antica Chikuzen, una zona dell'isola di Kyushu che corrisponde all'odierna Fukuoka. E' uno stufato della tradizione, semplice e casalingo, preparato prevalentemente agli inizi dell'autunno con prodotti di stagione quali renkon e shijtake, cioè radici di loto e funghi, e con le delicate carni di suppon... ovvero di tartaruga!
No no, nessun capello da rizzare in testa: anche in Giappone ora si usa solo pollame, preferibilmente a carne scura... Questa preparazione ad ogni modo mi affascina anche perché è semplice e veloce ma prevede una preparazione degli ingredienti calma e meticolosa, che per me ha quasi il profumo di un rituale. Ed i rituali rasserenano, come i mutamenti graduali.
Ecco dunque una versione odierna e personale dell'antico
Chikuzen Ni - Stufato di Chikuzen
ingredienti per 4 persone giapponesi o per 2 o 3 occidentali:
450 gr. di petto di pollo con la pelle (ma anche polpa di faraona o tacchino)
1 panetto da circa 250/300 gr. di konnyaku (gelatina molto soda di amido ricavato dal bulbo di una pianta giapponese)
1 carota piccola (c.a 60 gr.)
3 funghi shijtake secchi
1 pezzo di renkon (radice di loto) di c.a 5 cm., cioè circa 30 gr.
1 pezzo di gobo (radice di bardana)* di c.a 5 cm., cioè circa 30 gr.
2 cucchiai di pisellini sgranati (ev. surgelati)
120/150 ml. di dashi
2 cucchiai di sake
1 cucchiaio di maizena
1 cucchiaio di olio di semi leggero (qui ho usato arachide)
2 cucchiaini di zucchero
1,5 cucchiai di salsa di soia chiara
Eliminare grasso e nervetti dal pollo e tagliarlo a dadini poco più grandi di 1 cm., cercando di lasciare un po' di pelle ad ogni pezzo.
Miscelare 1 cucchiaio di sake all'amido e mettervi il pollo, rigirandolo per ricoprirlo bene su tutti i lati con la pastella e lasciandolo poi a marinare per mezz'oretta, in una ciotola coperta, a temperatura ambiente oppure un paio d'ore in frigo.
Scolare ed asciugare bene il blocco di konnyaku, inciderne la superficie a piccoli tagli paralleli ravvicinati lungo le diagonali per permettere agli aromi di insaporirlo meglio, ripetendo anche dall'altro lato piatto, quindi tagliare il blocco in circa 15 o 20 cubetti. Io ho fatto il lavoro troppo deconcentrata, i tagli dovrebbero in realtà essere molto più fitti.
Scottare i piselli un minuto in acqua leggermente salata, scolare e sciacquare sotto l'acqua fredda, in modo che siano teneri ma il colore resti brillante. Io li ho semplicemente messi 1 minuto al microonde con 2 cucchiai di acqua.
Scaldare una padella antiaderente e tostarvi i dadi di konnyaku per un minuto o due muovendoli sempre, fino a che sono belli asciutti e cominciano a "cantare" (tostatura kara-iri), quindi aggiungere l'olio in una spirale dal perimetro al centro e friggere per circa 30 secondi, spostando poi i dadini sul perimetro per fare spazio al centro dell'olio.
Mettere al centro del tegame il pollo con la pelle sul fondo e lasciarlo cuocere senza muoverlo per un minuto o due, o comunque fino a quando si colorano i bordi inferiori.
Scuotere vigorosamente il tegame per staccare il pollo dal fondo e rivoltarlo, quindi riportare al centro i dadini di konnyaku ed unire funghi, carote, daikon e gobo, saltandoli a fuoco vivo per un altro minuto.
Unire il dashi (magari tenendone da parte un paio di cucchiai), l'acqua dei funghi, il resto del sakè e lo zucchero, abbassare la fiamma e lasciar sobbollire dolcemente per 10-12 minuti, meglio se coperto con un otoshi-buta (**), ruotando ogni tanto la padella inclinata per assicurarsi che tutto cuocia uniformemente.
Quando il liquido è decisamente ristretto e le verdure sono tenere (tanto da offrire poca resistenza ad uno stuzzicadenti ma essere ancora un pochino croccanti sotto i denti) versare la soia, sempre a spirale, miscelare velocemente con una spatola e lasciar cuocere di nuovo semicoperto per un altro minuto, fino a che il liquido si è ridotto grossomodo ad un paio di cucchiai.
Spegnere il fuoco e lasciar riposare coperto nello stesso tegame fino a che si è raffreddato, in modo che i sapori si amalgamino alla perfezione. Si serve a temperatura ambiente oppure brevemente intiepidito, unendo i piselli solo al momento di servire perché rimangano verde brillante.
In famiglia si mette la ciotola al centro della tavola, in un servizio più formale si divide lo stufato in ciotole individuali, badando a distribuire in ognuna lo stesso numero di pezzi di ogni ingrediente, disponendoli in modo da creare un piacevole contrasto di colori, con la pelle del pollo verso l'alto ed i piselli sparsi sopra per ultimi a decorare.
In versione vegetariana (e anche per chi in questo caso ha per i polli la stessa considerazione che ha per le tartarughe...) si può sostituire il pollo con blocchetti di tofu fritto (atzu-age), elimimando in questo caso sia la pastella che l'olio che non servono, avendo già l'atzu-age la propria crosticina; il dashi può allora essere sostituito con kombu-dashi (brodo di sole alghe). Entrambe le versioni si conservano in frigo fino a tre giorni.
(*Io qui non avevo gobo sotto mano ed ho usato doppia dose di radice di loto.)
(** l'oshi-buta è un coperchio giapponese di legno leggermente più piccolo del tegame, che galleggia sul brodo evitando che evapori troppo in fretta e che schizzi. In alternativa si può usare un coperchio piccolo foderato di stagnola o semplicemente un coperchio normale lasciato leggermente scostato, eventualmente aggiungendo dashi se il fondo di cottura si dovesse consumare troppo.)- rivoli affluenti:
- Elisabeth Andoh, Washoku. Recipes from the Japanese Home Kitchen, Ten Speed Press
- Esopo, La lepre e la tartaruga
Ciao Acquavica..quanto tempo..!!
RispondiEliminaSicché dici che il blog pensiero si insinua lentamente e insidiosamente e si arriva a cambiare un po' e genrosamente l'approccio alla vita? ... Mumble mumble...e´con l'egocentrismo come la mettiamo ? mumble muble.
La ricetta tartarugosa mi intriga assai assai...chissá se trovo tutti gli ingredienti nel mitico barrio chino...Baci
non mi ero accorta della riapertura del blog e leggo con piacere questo post, che rimanda ad un mondo reale che, da qualsiasi parte lo si guardi, riesce sempre ad avere la meglio sul virtuale. E ad un "blog pensiero" :-) che travolge mode, vetrine, autopromozioni e autoreferenzialismi vari. Mi fa piacere che tu abbia registrato questo cambiamento: ma noi che aspettiamo con impazienza i tuoi post e ce li godiamo dalla prima all'ultima parola... beh, noi ce ne eravamo già accorti!
RispondiEliminasono proprio felice di poterti leggere di nuovo
ale
Il rituale fotografato (mi riferisco ai tagli) mi ha affascinato. Spesso si tende a fotografare il piatto pronto, o al massimo gli ingredienti che lo compongono, dando così poco spazio a questi dettagli, che io invece amo.
RispondiEliminaCerto non tutti i piatti hanno dettagli interessanti, ma quando ci sono, è bello che si vedano!
Welcome back ;-)
@glu.fri: di certo il blog-pensiero ha funzionato da accellerante ma i processi di mutamento sotterranei erano già in atto per conto loro...
RispondiEliminaL'egocentrismo credo sia indispensabile in certe fasi della vita: se continui a concentrarti sugli altri invece che su te stesso finisci per disperderti, senza poi essere davvero utile ne' a te ne' a loro. Forse la vera svolta è proprio l'aver ad un certo punto aperto questi scritti alla visione pubblica, non tanto per volontà di protagonismo quanto forse più per imporsi rigore, costanza e coerenza...
Al barrio cino non porre mai limiti... a parte forse il renkon fresco (che però si trova surgelato a rondelle) ed il gobo (che in genere si trova essiccato)!
@alessandra: sì sì, aspetta di leggere della mia futura cotton cheese cake, se mai ci riuscirò, e poi ne riparliamo...
@muscaria: come di molti gesti quotidiani, la cultura giapponese ha fatto del taglio degli alimenti una vera e propria arte. Forse è per questo che adoro immergermi in quel loro mondo: perchè riescono a sublimare e rendere palpabile la bellezza insita in ogni piccola cosa...
Perdona la mia banalita',ma non si puo' non dire che questo post e' una meraviglia.
RispondiEliminaA proposito di konnyaku che canta,in Galles
c'e' una torta chiamata "cantante",per via del
rumore che emette mentre cuoce sul griddle,ed il mitico bubble and squeak dei lunedi' inglesi
prende il nome dal rumore che fa in padella.
A quando un post sui cibi parlanti?
Molti baci.
ehilà!!!!!!!!!!!!! bentornata acquetta mia! si sentiva la tua mancanza :)
RispondiEliminacondono il tuo silenzio bloggifero solo perchè ci siam sentite ogni tot in viva voice :)
baciotti
@edith pilaff: in effetti ne avevo già pubblicato uno sulla baklawa(http://acquavivascorre.blogspot.com/2010/03/il-dolce-che-canta.html), ma sai che l'idea è assolutamente intrigante?!
RispondiEliminaIl bubble'n squeak è un must, ma sul dolci sono meno ferrata: dimmi tutto sulla torta gallese!!!
@babs: metre io stavo lontana del web tu ti sei data parecchio da fare, vedo... Brava!
Stupendo questo tuo looking back... :)
RispondiEliminaI veri cambiamenti son quelli impercettibili, quelli piccoli e quotidiani che pian piano ci fan crescere ...e poi tutto d'un tratto ti guardi indietro e ti rendi conto!
Il blog è poi proprio un diario che ci aiuta a rivedere il tutto...a tener traccia!
intrigante la zuppetta Jap... interessante il rituale che tu hai seguito con cura... un sacco di ingredienti di cui ho solo sentito parlare ma non ho mai usato!...devo provvedere!:)
@terry: devi provvedere assolutamente, scoprirai gusti raffinatamente semplici e delicatamente intriganti.
RispondiElimina