Di un'intera giornata trascorsa al Salone del Gusto di Torino ho memorizzato poco. Non che mancassero gli stimoli, le curiosità e le novità, visto il numero impressionante di espostitori italiani e stranieri nei cinque padiglioni che ospitavano l'evento, e devo dire che un centinaio foto scattate e qualche chilata di opuscoli raccolti nell'arco del mio vagabondare tra gli stand mi aiutano senz'altro a ricollocare ogni specialità nel suo apposito cassettino della memoria.
Dico che ricordo poco perchè in realtà una bancarella tra tutte mi ha talmente colpito da offuscare l'impatto di tutte le meraviglie viste, annusate ed assaggiate fino a quel momento ed è stata in grado di relativizzare qualsiasi esperienza successiva, compreso il tuffo nella pantagruelica Eataly e nella sua interessante libreria...
Padiglione 1 - Mercato internazionale, stand E070, località Herat, Afghanistan. Donne velate ritratte tra i campi e nelle manifatture, riservate e sorridenti. Lontane, perchè infiniti sono i motivi per cui non possono uscire dal loro Paese. Donne in divisa, gentili, informate, efficienti. Vicine, appena dietro il banco a parlare con noi, lontane mille miglia dal nostro gironzolare colpevole e viziato. E ci raccontano quella che sembra una favola della speranza e della collaborazione.
L'Afghanistan è grande due volte l'Italia ed ha la metà della sua popolazione; la metà del territorio è montano, in gran parte desertico, privo di foreste e senza sbocco sul mare. La speranza media di vita è 44 anni, solo 1/5 della popolazione ha accesso diretto all'acqua potabile, l'economia di sussistenza è ora prevalentemente fondata sugli aiuti umanitari e... sulla coltivazione di oppio.
L'idea è semplice: l'Aquila (territorio che conosce bene quanto sia pesante e complesso ogni tentativo di ricostruzione) ha fornito bulbi di zafferano e fertilizzante, il Ministero della Difesa li ha pagati, gli Alpini della Taurinense ne hanno distribuiti una parte nel distretto di Shindand, zona a sud di Herat, per favorire la sostituzione delle piantagioni di oppio con coltivazioni di zafferano. Le nostre interlocutrici sono appena rientrate proprio da questa missione...
Ci spiegano i dettagli della straordinaria iniziativa italiana citando le stime del Provincial Reconstruction Team italiano di Herat (PRT), un organismo misto civile e militare che coordina l'intera operazione: "un ettaro coltivato a grano frutta 1.200 dollari, uno a oppio 4.500 e uno a zafferano fino a 12.000. I primi risultati si vedono solo dopo tre anni, dunque gli Italiani stanno lavorando anche per sostenere le popolazioni contadine durante questo periodo".
Ed infatti la provincia di Herat, affidata al controllo dei militari italiani, è una di quelle in cui la coltivazione di papaveri da oppio si è drasticamente ridotta negli ultimi anni, passando da 2.000 ettari coltivati con papavero nel 2005 a circa 566 nel 2009. Non ha ancora raggiunto la condizione di poppy-free, fissata in meno di 100 ettari dall’agenzia dell’ONU impegnata a contrastare il narcotraffico, ma si tratta di un processo lento e costante.
Gli aiuti italiani infatti non mirano alla semplice sostituzione diretta del papavero con lo zafferano ma al potenziamento della filiera alternativa dello zafferano, una tradizione già esistente ma stroicamente poco remunerativa, che si vorrebbe facilitare e potenziare attraverso studi sulla capacità dei singoli agricoltori di intraprendere la nuova coltura, con distribuzioni dei nuovi materiali per la coltivazione dello zafferano concordate con i capi delle comunità locali interessate, con corsi di formazione per i contadini e con il loro affiancamento nelle prime fasi di impianto da parte di agronomi specializzati del PRT.
Se tutto procede secondo i piani verranno realizzati anche 17 km di strada asfaltata per unire i villaggi più sperduti a Shindand ed ai suoi mercati, oltre ad un ospedale e degli ambulatori, perchè la vita sulle montagne afghane possa realmente ricominciare a parlare di speranza e cambiamento. Le bustine di zafferano in vendita a Torino, per dire, sono state confezionate proprio da una cooperativa di 480 donne, la Ghoryan's Women Saffron Association, che è già un segno concreto di esperienza vissuta proprio nel cambiamento e nella speranza.
Un altro progetto, spiegano le soldatesse, riguarda invece l'uva passa di Herat, la cui coltivazione risale a quanto pare al 2000 a.C e che fino agli anni '70, quando scoppiò il conflitto con la Russia, esisteva in oltre 120 varietà, copriva il 60% del mercato mondiale e rappresentava il principale prodotto agricolo del Paese.
Di tutte quelle varietà oggi ne restano 72, quasi tutte cultivar poco pregiate e di semplice lavorazione, dato che trent'anni di guerra hanno decimato sia le conoscenze che le risorse che la volontà della popolazione. Il progetto italiano, seguito in questo caso da Terra Madre e Slow Food con la collaborazione delle Università di Herat e di Firenze, cerca di salvaguardare le varietà più nobili e caratteristiche, tra cui spicca l'uva fakhery, di colore bianco o rosa pallido, che cresce solamente a Herat e Kandahar, con la quale si produce la pregiatissima uvetta abjosh.
La coltivazione in trincea, la bollitura prima dell'essicazione (detta abjosh, appunto) e la velocità di asciugatura al sole permettono a questa particolare uvetta di rimanere chiara, morbida e molto zuccherina. Le tecniche di coltivazione e di appassimento che si vogliono ri-sviluppare sono dunque le stresse di 500 anni fa, le uniche in grado di garantire dei risultati in quel particolare microclima. Si cercherà poi di ripristinare il mercato dell’uvetta di Herat a livello locale e internazionale, e di far ripartire in pieno l'attività del Ministero dell'Agricoltura, attualmente condizionati dall'impoverimento dovuto alla guerra.
Non so, forse gli occhi di queste soldatesse che scintillavano della stessa luce di speranza di quelli delle donne afghane nelle foto, forse la determinazione nella voce di chi crede fermamente che l'impegno quotidiano del singolo possa cambiare davvero le cose... Forse anche il cappello da alpino tutto ciancicato di mio nonno, che sulla mensola di casa con la sua penna impolverata continua a parlare la lingua del coraggio e della solidarietà anche a ottant'anni di distanza, esattamente come le penne dei militari sullo schermo nello stand di Torino...
Questi i sapori che mi sono rimasti in bocca nel mio giro al Salone del Gusto: la vita dura delle montagne e la polvere alzata dal vento, gli stessi occhi fieri dentro veli neri e divise mimetiche, la bellezza e la fatica di essere afghani legata a quella di essere italiani, il profumo di zafferano ed uvetta e quello di orgoglio e speranza. Il resto me lo sono quasi dimenticato...
Non presento oggi un piatto afghano. La preparazione che per prima mi è venuta in mente in cui uvetta e zafferano si incontrano è il quabeli pilau, un riso con agnello che abbonda di carote ed uvetta, in sostanza molto simile a questo riso pilaf uzbeko. Ma poi ho pensato che il progetto contro l'oppio non è solo una questione locale, così ho allargato un po' gli orizzonti...
Ho preso in considerazione un cavolfiore siciliano, un dolce di riso spagnolo, una tajine di quaglie marocchina... E' un caso che le ricette con zafferano ed uvetta alla fine siano indiane, perchè mai come in questo caso la speranza non ha confini, è internazionale...
MACHHLI KA TIKKA - INVOLTINI DI PESCE SPEZIATI
ingredienti per 4 persone:
12 piccoli filetti interi di pesce bianco (io ho usato sogliole, in tutto circa 800 gr.)
2 limoni
40 gr. di ghee (burro chiarificato)
1 grossa cipolla
2 spicchi di aglio
3 cucchiai di zenzero fresco grattugiato
1 cucchiaino di garam masala (oppure 1/2 cucchiaino di cumino in polvere e 1 di curcuma)
1/2 cucchiaino di zafferano (bello se fosse di Herat...)
1/2 cucchiaino di peperoncino in fiocchi
3 cucchiai di coriandolo fresco tritato
sale
pepe al mulinello
Miscelare il succo dei limoni con sale ed abbondante pepe, versarlo sui filetti di pesce e lasciar marinare una notte in frigo coperto di pellicola.
Tritare la cipolla, grattugiare l'aglio e miscelarli allo zenzero; sciogliere il burro in un tegame e rosolarvi il misto di verdure a fuoco dolce fino a che inizia a dorare, salando leggermente.
Unirvi le il garam masala ed il peperoncino, far tostare un minuto quindi spegnere ed unire il coriandolo e lo zafferano, lasciando poi intiepidire il tutto.
Spalmare una cucchiaiata di verdure su ogni filetto sgocciolato, arrotolare e fermare con degli stecchini.
Cuocere lentamente gli involtini su un barbecue o in un forno a legna a temperatura moderata (io ho usato il tegame delle cipolle ripulito con carta da cucina, in modo che rimanesse legermente unto di ghee profumato), rivoltandoli delicatamente due o tre volte perchè si schiariscano su ogni lato. Sono pronti quando sono morbidi e chiari in modo uniforme e le cipolle ricominciano a profumare; ci vorranno 5 o 6 minuti circa.
Sono ottimi serviti così, semplicemente accompagnati da un po' di naan (pane allo yogurt) o di riso bianco, ma diventano piatto unico se li si accosta ad un fresco raita (verdure crude condite con yogurt e erbe) e li si completa con un profumato chatni (o, come dicono gli Inglesi, chutney), una salsa di verdura e/o frutta un po' marmellatosa, in cui l'ingrediente principale viene cotto con zucchero, erbe, spezie ed a volte aceto.
In questo caso lo avevo pronto, dato che qualche giorno fa mi sono ritrovata due chili di pomodori verdi, ultimo regalo dell'orto. Invece di farne sottoli oppure frittelle, ho pensato proprio a farne un chutney insieme all'uvetta di Herat. Ho abbondato con zucchero ed aceto in modo da poterlo conservare in vaso (rigorosamente con tappo di vetro, non in metallo...) e magari farne qualche piccolo regalo natalizio.
E' buonissimo anche senza aceto, ma in quel caso va conservato in frigo e consumato entro qualche giorno. Con queste dosi ne sono usciti quasi cinque vasetti da 250 ml.
TAMATAR CHATNI - COMPOSTA AGROPICCANTE DI POMODORI, UVETTA E MELE
2 kg. di pomodori verdi pesati da puliti
3 mele verdi
180 gr. di uvetta (bello se fosse di Herat)
2 limoni
800 gr. di zucchero di canna
250 ml. di aceto di mele
50 gr. di zenzero
8 spicchi di aglio
2 foglie di alloro
2 peperoncini secchi (ma a piacere anche 20...)
12 bacche di cardamomo
1 cucchiaio di semi di cumino
1 cucchiaino di semi di finocchio
20 grani di pepe
1 cucchiaio abbondante di sale
Ridurre i pomodori a spicchi, lo zenzero a bastoncini, l'aglio a lamelle, le mele sbucciate a fettine; spremere i due limoni e grattugiare la scorza di uno.
Mettere tutti gli ingredienti in una pentola di acciaio, portare lentamente a bollore, coprire e lasciar cuocere per un paio di ore a fuoco basso, rimestando di frequente perchè non attachi sul fondo.
Quando il chutney è pronto è scuro in modo uniforme, la parte liquida è totalmente consumata e la salsa ha la consistenza della marmellata. Versarlo bollente in vasetti di vetro perfettamente puliti, tappare, capovolgere e lasciar raffreddare. Si conserva per 4 o 5 mesi.
Dico che ricordo poco perchè in realtà una bancarella tra tutte mi ha talmente colpito da offuscare l'impatto di tutte le meraviglie viste, annusate ed assaggiate fino a quel momento ed è stata in grado di relativizzare qualsiasi esperienza successiva, compreso il tuffo nella pantagruelica Eataly e nella sua interessante libreria...
Padiglione 1 - Mercato internazionale, stand E070, località Herat, Afghanistan. Donne velate ritratte tra i campi e nelle manifatture, riservate e sorridenti. Lontane, perchè infiniti sono i motivi per cui non possono uscire dal loro Paese. Donne in divisa, gentili, informate, efficienti. Vicine, appena dietro il banco a parlare con noi, lontane mille miglia dal nostro gironzolare colpevole e viziato. E ci raccontano quella che sembra una favola della speranza e della collaborazione.
L'Afghanistan è grande due volte l'Italia ed ha la metà della sua popolazione; la metà del territorio è montano, in gran parte desertico, privo di foreste e senza sbocco sul mare. La speranza media di vita è 44 anni, solo 1/5 della popolazione ha accesso diretto all'acqua potabile, l'economia di sussistenza è ora prevalentemente fondata sugli aiuti umanitari e... sulla coltivazione di oppio.
L'idea è semplice: l'Aquila (territorio che conosce bene quanto sia pesante e complesso ogni tentativo di ricostruzione) ha fornito bulbi di zafferano e fertilizzante, il Ministero della Difesa li ha pagati, gli Alpini della Taurinense ne hanno distribuiti una parte nel distretto di Shindand, zona a sud di Herat, per favorire la sostituzione delle piantagioni di oppio con coltivazioni di zafferano. Le nostre interlocutrici sono appena rientrate proprio da questa missione...
Ci spiegano i dettagli della straordinaria iniziativa italiana citando le stime del Provincial Reconstruction Team italiano di Herat (PRT), un organismo misto civile e militare che coordina l'intera operazione: "un ettaro coltivato a grano frutta 1.200 dollari, uno a oppio 4.500 e uno a zafferano fino a 12.000. I primi risultati si vedono solo dopo tre anni, dunque gli Italiani stanno lavorando anche per sostenere le popolazioni contadine durante questo periodo".
Ed infatti la provincia di Herat, affidata al controllo dei militari italiani, è una di quelle in cui la coltivazione di papaveri da oppio si è drasticamente ridotta negli ultimi anni, passando da 2.000 ettari coltivati con papavero nel 2005 a circa 566 nel 2009. Non ha ancora raggiunto la condizione di poppy-free, fissata in meno di 100 ettari dall’agenzia dell’ONU impegnata a contrastare il narcotraffico, ma si tratta di un processo lento e costante.
Gli aiuti italiani infatti non mirano alla semplice sostituzione diretta del papavero con lo zafferano ma al potenziamento della filiera alternativa dello zafferano, una tradizione già esistente ma stroicamente poco remunerativa, che si vorrebbe facilitare e potenziare attraverso studi sulla capacità dei singoli agricoltori di intraprendere la nuova coltura, con distribuzioni dei nuovi materiali per la coltivazione dello zafferano concordate con i capi delle comunità locali interessate, con corsi di formazione per i contadini e con il loro affiancamento nelle prime fasi di impianto da parte di agronomi specializzati del PRT.
Se tutto procede secondo i piani verranno realizzati anche 17 km di strada asfaltata per unire i villaggi più sperduti a Shindand ed ai suoi mercati, oltre ad un ospedale e degli ambulatori, perchè la vita sulle montagne afghane possa realmente ricominciare a parlare di speranza e cambiamento. Le bustine di zafferano in vendita a Torino, per dire, sono state confezionate proprio da una cooperativa di 480 donne, la Ghoryan's Women Saffron Association, che è già un segno concreto di esperienza vissuta proprio nel cambiamento e nella speranza.
Un altro progetto, spiegano le soldatesse, riguarda invece l'uva passa di Herat, la cui coltivazione risale a quanto pare al 2000 a.C e che fino agli anni '70, quando scoppiò il conflitto con la Russia, esisteva in oltre 120 varietà, copriva il 60% del mercato mondiale e rappresentava il principale prodotto agricolo del Paese.
Di tutte quelle varietà oggi ne restano 72, quasi tutte cultivar poco pregiate e di semplice lavorazione, dato che trent'anni di guerra hanno decimato sia le conoscenze che le risorse che la volontà della popolazione. Il progetto italiano, seguito in questo caso da Terra Madre e Slow Food con la collaborazione delle Università di Herat e di Firenze, cerca di salvaguardare le varietà più nobili e caratteristiche, tra cui spicca l'uva fakhery, di colore bianco o rosa pallido, che cresce solamente a Herat e Kandahar, con la quale si produce la pregiatissima uvetta abjosh.
La coltivazione in trincea, la bollitura prima dell'essicazione (detta abjosh, appunto) e la velocità di asciugatura al sole permettono a questa particolare uvetta di rimanere chiara, morbida e molto zuccherina. Le tecniche di coltivazione e di appassimento che si vogliono ri-sviluppare sono dunque le stresse di 500 anni fa, le uniche in grado di garantire dei risultati in quel particolare microclima. Si cercherà poi di ripristinare il mercato dell’uvetta di Herat a livello locale e internazionale, e di far ripartire in pieno l'attività del Ministero dell'Agricoltura, attualmente condizionati dall'impoverimento dovuto alla guerra.
Non so, forse gli occhi di queste soldatesse che scintillavano della stessa luce di speranza di quelli delle donne afghane nelle foto, forse la determinazione nella voce di chi crede fermamente che l'impegno quotidiano del singolo possa cambiare davvero le cose... Forse anche il cappello da alpino tutto ciancicato di mio nonno, che sulla mensola di casa con la sua penna impolverata continua a parlare la lingua del coraggio e della solidarietà anche a ottant'anni di distanza, esattamente come le penne dei militari sullo schermo nello stand di Torino...
Questi i sapori che mi sono rimasti in bocca nel mio giro al Salone del Gusto: la vita dura delle montagne e la polvere alzata dal vento, gli stessi occhi fieri dentro veli neri e divise mimetiche, la bellezza e la fatica di essere afghani legata a quella di essere italiani, il profumo di zafferano ed uvetta e quello di orgoglio e speranza. Il resto me lo sono quasi dimenticato...
Non presento oggi un piatto afghano. La preparazione che per prima mi è venuta in mente in cui uvetta e zafferano si incontrano è il quabeli pilau, un riso con agnello che abbonda di carote ed uvetta, in sostanza molto simile a questo riso pilaf uzbeko. Ma poi ho pensato che il progetto contro l'oppio non è solo una questione locale, così ho allargato un po' gli orizzonti...
Ho preso in considerazione un cavolfiore siciliano, un dolce di riso spagnolo, una tajine di quaglie marocchina... E' un caso che le ricette con zafferano ed uvetta alla fine siano indiane, perchè mai come in questo caso la speranza non ha confini, è internazionale...
MACHHLI KA TIKKA - INVOLTINI DI PESCE SPEZIATI
ingredienti per 4 persone:
12 piccoli filetti interi di pesce bianco (io ho usato sogliole, in tutto circa 800 gr.)
2 limoni
40 gr. di ghee (burro chiarificato)
1 grossa cipolla
2 spicchi di aglio
3 cucchiai di zenzero fresco grattugiato
1 cucchiaino di garam masala (oppure 1/2 cucchiaino di cumino in polvere e 1 di curcuma)
1/2 cucchiaino di zafferano (bello se fosse di Herat...)
1/2 cucchiaino di peperoncino in fiocchi
3 cucchiai di coriandolo fresco tritato
sale
pepe al mulinello
Miscelare il succo dei limoni con sale ed abbondante pepe, versarlo sui filetti di pesce e lasciar marinare una notte in frigo coperto di pellicola.
Tritare la cipolla, grattugiare l'aglio e miscelarli allo zenzero; sciogliere il burro in un tegame e rosolarvi il misto di verdure a fuoco dolce fino a che inizia a dorare, salando leggermente.
Unirvi le il garam masala ed il peperoncino, far tostare un minuto quindi spegnere ed unire il coriandolo e lo zafferano, lasciando poi intiepidire il tutto.
Spalmare una cucchiaiata di verdure su ogni filetto sgocciolato, arrotolare e fermare con degli stecchini.
Cuocere lentamente gli involtini su un barbecue o in un forno a legna a temperatura moderata (io ho usato il tegame delle cipolle ripulito con carta da cucina, in modo che rimanesse legermente unto di ghee profumato), rivoltandoli delicatamente due o tre volte perchè si schiariscano su ogni lato. Sono pronti quando sono morbidi e chiari in modo uniforme e le cipolle ricominciano a profumare; ci vorranno 5 o 6 minuti circa.
Sono ottimi serviti così, semplicemente accompagnati da un po' di naan (pane allo yogurt) o di riso bianco, ma diventano piatto unico se li si accosta ad un fresco raita (verdure crude condite con yogurt e erbe) e li si completa con un profumato chatni (o, come dicono gli Inglesi, chutney), una salsa di verdura e/o frutta un po' marmellatosa, in cui l'ingrediente principale viene cotto con zucchero, erbe, spezie ed a volte aceto.
In questo caso lo avevo pronto, dato che qualche giorno fa mi sono ritrovata due chili di pomodori verdi, ultimo regalo dell'orto. Invece di farne sottoli oppure frittelle, ho pensato proprio a farne un chutney insieme all'uvetta di Herat. Ho abbondato con zucchero ed aceto in modo da poterlo conservare in vaso (rigorosamente con tappo di vetro, non in metallo...) e magari farne qualche piccolo regalo natalizio.
E' buonissimo anche senza aceto, ma in quel caso va conservato in frigo e consumato entro qualche giorno. Con queste dosi ne sono usciti quasi cinque vasetti da 250 ml.
TAMATAR CHATNI - COMPOSTA AGROPICCANTE DI POMODORI, UVETTA E MELE
2 kg. di pomodori verdi pesati da puliti
3 mele verdi
180 gr. di uvetta (bello se fosse di Herat)
2 limoni
800 gr. di zucchero di canna
250 ml. di aceto di mele
50 gr. di zenzero
8 spicchi di aglio
2 foglie di alloro
2 peperoncini secchi (ma a piacere anche 20...)
12 bacche di cardamomo
1 cucchiaio di semi di cumino
1 cucchiaino di semi di finocchio
20 grani di pepe
1 cucchiaio abbondante di sale
Ridurre i pomodori a spicchi, lo zenzero a bastoncini, l'aglio a lamelle, le mele sbucciate a fettine; spremere i due limoni e grattugiare la scorza di uno.
Mettere tutti gli ingredienti in una pentola di acciaio, portare lentamente a bollore, coprire e lasciar cuocere per un paio di ore a fuoco basso, rimestando di frequente perchè non attachi sul fondo.
Quando il chutney è pronto è scuro in modo uniforme, la parte liquida è totalmente consumata e la salsa ha la consistenza della marmellata. Versarlo bollente in vasetti di vetro perfettamente puliti, tappare, capovolgere e lasciar raffreddare. Si conserva per 4 o 5 mesi.
- rivoli affluenti:
- per i dettagli del progetto contro l'oppio altre notizie qui
- per la ricetta ispirata allo zafferano: AA. VV., Cucina Indiana, Bonechi
- per quella ispirata all'uvetta: Piero Antolini, Cucina all'Orientale, Mondadori.
scrivo di getto, sotto la spinta delle emozioni di questo post: troppe cose belle tutte assieme, da un lato, dall'altro l'ansia e la paura che qualcosa possa intervenire a bloccarle. Su tutte, la speranza- la conferma- che di spazio nel mondo per progetti sensati, costruttivi, intelligenti e davvero ispirati alla cooperazione fra i popoli ce ne sia per davvero, e questo è già un primo grande passo per continuare a crederci e a sostenerli.
RispondiEliminaPosso linkare il tuo post su Facebook? E' l'unico modo che ho per diffonderlo :-) e mi farebbe piacere che venisse letto e magari divulgato
ciao e grazie
ale
Il tuo articolo mi ha fatto venire i brividi e mi ha commossa.
RispondiEliminaSu tutte, una tua frase sintetizza il mio sentire e per questo la riporto: «Non so, forse gli occhi di queste soldatesse che scintillavano della stessa luce di speranza di quelli delle donne afghane nelle foto, forse la determinazione nella voce di chi crede fermamente che l'impegno quotidiano del singolo possa cambiare davvero le cose... Forse anche il cappello da alpino tutto ciancicato di mio nonno, che sulla mensola di casa con la sua penna impolverata continua a parlare la lingua del coraggio e della solidarietà anche a ottant'anni di distanza, esattamente come le penne dei militari sullo schermo nello stand di Torino...»
Che bello sapere che queste cose non solo si fanno, ma sono remunerative! E quale senso acquista allora la nostra presenza militare in Afghanistan!
Grazie. Dal profondo del cuore.
Quoto Ale....hai messo delle belle ricette, ma quello che mi rimarrà nel cuore è il tuo post!!!Grazie....
RispondiEliminaPost bellissimo, complimenti (letto due volte, la seconda lentamente).
RispondiEliminaNegli involtini di pesce la cipolla non mi convince troppo, io avrei provato con delle carote sbollentate e tritate, ma forse prima dovrei provare la tua ricetta :)
Accompagnare gli involtini con una salsina di zafferano? Non so... troppo facile criticare stando davanti a un video :)
Buona giornata ! ! ! !
Un post che si legge chino nella naturale ma insana posizione che assumo quando mi immergo nei tuoi resoconti ma che mano a mano che andava avanti...riga dopo riga...mi faceva alzare sempre più la testa in modo quasi da imitare indegnamente quel modus vivendi "a fronte alta" che è tipico di chi riesce ad essere 'eroicamente' superiore a tutte le contingenze restituendo dignità e speranza laddove non c'è.
RispondiEliminaFattivamente "a fronte alta" sono quei visi e solo per quelli che riescono ad essere e pensare ancora come uomini senza piegare il collo che va la mia ammirazione, che sia un volto dell'appennino o dell'Afghanistan poco importa la "lezione" è universale.
Grazie come sempre.
PS
La ricetta mi piace parecchio e se riesco a "gambettizzarla" e cioè a renderla meno elegante e raffinata della tua...la preparo anche! :P ahahahahaha
@alessandra: linka pure... non ho un'idea precisa di come funzioni facebook ma se in questo caso serve a raccontare meglio una bellezza... ben venga!
RispondiElimina@mapi: brividi e commozione sono le stesse sensazioni che ho provato anch'io in quello stand militare, che in principio mi sembrava addirittura stonare all'interno del Salone. Vedi come non si finisce mai di imparare e quanto a poco servono i giudizi precostituiti e l'informazione parziale...
@eli.fla: infatti quasi non ce la volevo mettere una ricetta. Se non chè è solo acquistando questi prodotti che anche noi possiamo sostenere l'iniziativa, quindi... consumiamoli!
@corradoT: devo dire che le cipolle (che appartengono alla ricetta tradizionale) stufate con le spezie ne supportano molto bene i profumi con il loro retrogusto dolce e gentile. Forse la carota dominerebbe troppo con il proprio sapore, a meno di caricare di più le spezie, ma poi ritrovare l'equilibrio diventa difficile.
Fai qualche esperimento e poi dimmi, sono curiosa. Io ho provato con le patate, sempre miscelate alle cipolle, e come sapore funzionava ma non mi piaceva la consistenza pastosa, che contrastava troppo con l'umidità del pesce.
Condivido in pieno invece l'idea di una salsa di zafferano, magari anche con qualche uvetta ed un accenno sottilissimo delle stesse altre spezie del ripieno.
@gambetto: tu non sai in famiglia per noi che significato ha questo tuo "a fronte alta". Ti ringrazio anche a nome del mio nonno alpino...
RispondiEliminaEra proprio a lui che mi riferivo avendo avuto l'onore ed il piacere di leggerne il libro-diario (non l'ho mai finito ad onor del vero pur essendomi letto quasi tutto secondo suggestioni).
RispondiElimina"A fronte alta" anche per me adesso ha un significato differente pur non avendo io ne barba ne appartenetndo alla vostra famiglia :)
Un post che mi ha riempito il cuore. Non voglio lasciarti parole, solo l' abbraccio forte della speranza! Grazie!
RispondiEliminaPatrizia
Senti linko anch´io questo post vibrante di emozione...e il mio babbo é un alpino.
RispondiEliminaE mi sono emozionata anche io...
Come fai??? Sei una persona speciale, sempre e in tutto queello che fai!
RispondiEliminaMi distraggo un attimo e mi perdo dei post bellissimi!
RispondiEliminaHo letto qua e là di tutto sull'esperienza del salone di Torino fino a restarne annoiata, come quando sui blog si leggono i commenti "Uhchebellissimaricetta!"...
Finalmente la voglia di avere uno sguardo diverso, una lettura degli accadimenti che va oltre il prodotto doc ed il cibo visto, vissuto e presentato come moda...
Non sei fashon ed il tuo volare fuori dallo stormo ti rende unica, proprio come la penna su quel cappello...
bellissimo post.
RispondiEliminasperiamo davvero che gli zafferani aquilani facciano virare l'economia afghana. anche poco, un granello di sabbia, ma un granello di sabbia è quello che blocca certi ingranaggi e fa deviare il corso della storia.
molto intenso.
grazie 1000 per l'articolo e per le ricette, ciao
RispondiElimina@patrizia: grazie, questo è davvero un bell'abbraccio...
RispondiElimina@glufri: ma dai... e basta con 'ste cose in comune, però! Emozioni a parte, naturalmente...
@fantasie: in realtà le persone davvero speciali erano le ragazze dietro a quel banco; io le ho solo raccontate ma il grosso lo fanno loro tutti i giorni!
@virò: "volare fuori dallo stormo" è una citazione interessante, parlando di penne...
@oipaz: si comincia proprio dai granelli di sabbia a cambiare le cose, come testimonia l'esperienza di questa missione.
@flavio: grazie a te per esserti interessato...
Questo non è il post giusto, scusami. Ma se hai voglia, da me c'è qualcosa per te
RispondiEliminaUn abbraccio
Ciao,i tuoi ultimi post sono talmente belli che
RispondiEliminala tentazione di non commentare e' stata grandissima.Ho letto piu' libri riguardo al cibo di quanto sia considerato normale e a me ricordi tutti i grandi autori David,Grigson,Roden,Davidson e ,piu' di tutti,
M.F.K. Fisher.
E' gia' stato detto da qualcun'altro,meriti tutt'altra ribalta e ,per quanto noi ci scherziamo,un libro ci sta tutto.
Un abbraccio.
@Gambetto: mai un oggetto speciale finì in mani più appropriate e, come dici qualche volta tu, non aggiungo altro...
RispondiElimina@patrizia: aaaagh!!! Ok, mo' ci penso...
RispondiElimina@edith pilaff: ho letto più libri riguardo al cibo di quanto sia considerato umano... per questo non mi permetterei mai di scriverne uno: più approfondisco più mi rendo conto di quanto poco so! E poi gli scrittori che citi hanno messo nei loro testi molta della propria vita personale, io non credo ce la farei...
Bellissimo post.
RispondiEliminaTalmente bello che si fa fatica a commentarlo...
Sono d'accordo con Edith quando dice che un libro ci sta tutto. E sto parlando sul serio.
Il fatto di accorgerti di avere sempre da imparare è un qualcosa con cui si scontrano e convivono tutti gli scrittori che possano essere definiti tali.
Scrivere, in realtà, è non smettere mai di studiare.
Tu hai una dote particolare, non solo riesci a fotografare con le parole gli aspetti più salienti di un determinato argomento, hai anche la capacità di zoomare su questo, e credimi, non è poco ;-)
Guarda Annalena, io non trovo parole per commentare questo post, mi viene solo da stare zitta ricordandomi quello che hai scritto e riflettere.... e ancora riflettere, ci sono cose che io nemmeno immagino, come queste.... ma ho detto, sto zitta questa volta.
RispondiEliminaAncora una cosa, ho molto riflettuto anche con il tuo precedente post, e lo condivido pienamente!
Un forte abbraccio, buon we
@muscaria: diciamo allora che mi limito ancora per un po' ad esercitare la scrittura qui nel blog mentre penso ai vostri complimenti... E poi mi hai fornito un perfetto alibi per continuare a non sentirmi pronta: c'ho da studià'!
RispondiElimina@patricia: non stare zitta, piuttosto racconta anche questa storia come una favola della buonanotte...
io? io, c'ero! E anzi avevo già commentato ma non mi ha preso. Hai dato parole e forme a una speranza.Iomilanese-laura
RispondiElimina@iomilanese.laura: speriamo che a questa "forma" segua anche una sostanza di continuità ed efficacia...
RispondiElimina