Ritorna oggi l'appuntamento con Inseguendo l'arte da mangiare, che ci porta a pranzo in compagnia di amici sulle colline fiorentine degli anni '20.
L'iniziativa Uffizi da mangiare ci propone infatti un dipinto di Baccio Maria Bacci, pittore fiorentino nato nel 1888 e vissuto tra Firenze e Fiesole, che nei primi anni si accostò al Futurismo e divenne poi un apprezzato esponente del Novecentismo toscano. In specifico l'opera di oggi è Pomeriggio a Fiesole, dipinto tra il 1926 e il 1929, in cui l'autore ritrae se stesso e l'amico pittore in compagnia delle mogli alla fine di un pasto conviviale. I resti di pane e vino sul tavolo insieme ad una ciotola di frutta, la finestra aperta sulla campagna, gli atteggiamenti rilassati dei personaggi raccontano un momento piacevole e spontaneo di condivisione amicale.La sensazione di ariosità primaverile è lo spunto colto dallo chef sorrentino Peppe Aversa, che nella sua ricetta dedicata al dipinto propone dei gnocchi di patate con verdure primaverili, spunti comuni alle campagne delle due zone, e sposa le due culture regionali insaporendo con guanciale di cinta senese e limoni della Costiera. Tutti i dettagli nel suo piacevole video, comprese, nei commenti, le dosi degli ingredienti.
E' invece lo spirito di abbandono ai profumi della natura che entrano dalla finestra quello che ha più colpito Eleonora, che ce lo restituisce in questa sua delicata visione della scena. Sulla sua tavola, però, non appare più il tozzo di pane avanzato dal pranzo, ma delle fette ordinate in un cestino ed il piatto che io ci vado a confezionare: l'acquacotta!
La Toscana tutta è famosa per le sue zuppe, ovvero per le minestre di verdura di origine contadina che hanno come protagonista di sostanza il pane raffermo. Nate per necessità a causa della scarsità di altri alimenti e della necessità di non sprecare nulla, si sono nel tempo evolute, facendosi a volte un po' cittadine e, negli ultimi anni, venendo riprese anche da chef importanti che ne hanno elaborato versioni decisamente gourmet.
Ma qui ci interessano le zuppe di pane e verdure che si consumavano negli anni '20 sulle colline del Fiesolano, per come avrebbero potuto prepararle in casa di Bacci, benestante già di famiglia e dunque non legato forzatamente ad una cucina di sussistenza.
Ragiono dunque sulla stagione, che per atmosfera esterna, abbigliamento dei protagonisti, fiori nel vaso e varietà di frutta nella ciotola, sostanzialmente mele e pere, non fa pensare ne' all'estate piena, per cui escludo la pappa al pomodoro, ne' al pieno inverno, per cui casso la ribollita.
Restano, parlando solo delle zuppe toscane più conosciute fuori regione e collegabili facilmente alla primavera del dipinto, la minestra di pane, una parente stretta della ribollita senza cavolo nero e verza ma ricca di altre verdure come biete, fagiolini e patate, oppure l'acquacotta, una zuppa decisamente più semplice.
L'acquacotta era, si dice, un piatto di fortuna che nasceva "per strada", quando pastori, carbonai e spaccalegna la preparavano con cipolle, aglio, pane raffermo e olio che si portavano nella bisaccia uniti alle erbe di campo trovate al momento. Nel tempo si è arricchito accogliendo ciò che la zona e stagione offrivano, così nel senese contempla funghi, nel grossetano peperoni, in Maremma foglie di sedano e/o biete, e i più fortunati ci aggiungevano anche pancetta oppure salsiccia e qualcuno ci infila pure il baccalà, ma se ne trovano anche con carciofi, zucchine, piselli eccetera.
Ciò che distingue l'acquacotta da altre zuppe di pane è che non contiene mai fagioli o altri legumi e che vede, almeno a partire da inizio '900, la presenza fissa dell'uovo, quando possibile uno a testa. Questa era certo un'aggiunta proteica preziosa in passato, così come il pecorino grattugiato, ma tranquillamente presente negli anni '20 a casa di Bacci.
A Fiesole, per quanto ne so (ma potrei sbagliarmi e attendo volentieri smentite) non ne conosco una versione tipica, così parto dagli ingredienti comuni a tutte le variati diffuse nel '900: pomodori, sedano e cipolle, a cui aggiungo biete, foglie di sedano e tarassaco al posto delle erbette selvatiche, qui di difficile reperimento.
In dettaglio, poi, riferendomi sempre all'acquacotta degli anni '20-'30:
1) c'era chi sbatteva le uova e le univa a filo al brodo ma io seguo il filone della cottura in camicia;
2) c'era che spolverava il pecorino sul pane nella ciotola e chi lo aggiungeva solo alla fine, io che sono golosa lo uso in entrambi i modi;
3) c'era chi appoggiava il pane nella ciotola alla fine, in modo che fosse distinguibile dal resto, io invece lo copro con le verdure ed il loro brodo in modo che ne assorba liquidi e sapori. Per lo stesso motivo nonostante molti tostino oggi il pane io preferisco spezzettarlo sul fondo delle ciotole così com'è e poi lasciar riposare il tutto qualche minuto, in modo che diventi una vera "zuppa" semisolida, e non un minestrone con crostoni
4) se non è stagione per dei bei pomodori maturi si possono usare dei pelati;
5) c'era chi usava peperoncino, chi pepe: io mi immagino negli anni '20 in una casa colta e con delle signore a tavola ma comunque di palato toscano, quindi opto per un peperoncino intero, non frantumato.
ACQUACOTTA ANNI '20
per 2 persone:
4 pomodori da sugo
4 pomodori da sugo
2 cipolle
2 gambi di sedano con le foglie
1 spicchio di aglio
1 peperoncino secco
1 manciata di tarassaco, circa 20 g
80 g di foglie di bieta
80 g di foglie di bieta
2 fette di pane sciocco, di un paio di giorni
2 uova
80 g di pecorino grattugiato
2 cucchiai di olio extravergine
sale
Tritare il sedano comprese le foglie, le cipolle e l'aglio; spezzettare i pomodori e ridurre la bieta e il tarassaco a strisce.
Rosolare il trito con il peperoncino intero (o frantumato, se piace più il piccante) in 1 cucchiaio di olio; unire poi erbe e pomodori e far insaporire un paio di minuti; aggiungere 600 g di acqua, salare e, una volta a bollore, cuocere circa 20 minuti, se serve regolando alla fine di sale.
Intanto spezzettare le fette pane e disporne i pezzi in modo che coprano completamente il fondo delle ciotole individuali, quindi spolverarle con metà del pecorino.
Levare il peperoncino. Sgusciare un uovo per volta in un piattino e versarlo nella minestra, in modo che cuocia in camicia senza allargarsi troppo. Per un'estetica perfetta versare prima gli albumi e, appena accennano a rapprendersi, unire i tuorli e coprire per un minuto o due.
Dividere la minestra mettendo un uovo in ciascun piatto, poi lasciar riposare qualche minuto in modo che il pane assorba il brodo.
Servire infine con il pecorino rimasto, un giro di olio in superficie e una fogliolina tenera di sedano a decorare.
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