Una delle golosità che più amo del Giappone sono le patate dolci caramellate con la soia, classico snack autunno-invernale, perfetto se accompagnato da un tè verde. L'unione di zucchero e salsa di soia è una delle combinazioni più riuscite di tutta la cucina giapponese, presente in moltissimi piatti, sia di cucina nobile che popolare, e base di molte salse tipiche persino dello street food, come quella fluida che glassa i mitarashi dango e quella stesa a velo per incroccantire i senbei.
Caramellare le patate non è un'abitudine solo giapponese, ne è un esempio la ricetta danese dei sukkerbrunede kartofler che pubblicai nel lontano 2013, ed in Giappone le patate dolci sciroppate, in specifico, sono un contorno tipico autunnale per pesce grigliato e per il loro gusto che si avvicina alle castagne nelle occasioni eleganti vengono addirittura sagomate come delle piccole castagne spellate prima di essere poste sul piatto.
La ricetta in questione, però, con lo sciroppo profumato di salsa di soia e con un goccio di aceto, è detta daigaku-imo, 大学芋, cioè "patate dell'università": nutrienti ma poco costose, da inizio '900 sono lo spuntino perfetto per gli studenti dalle università di Tokyo, che le possono trovare, ora come allora, nelle bancarelle fuori da scuola e durante i festival studenteschi.
Le patate dolci hanno in Giappone tre varietà principali: le beni-azuma (le cremisi orientali), le beni-comachi (le bellezze cremisi) e le beni-aka (le cremisi rosse). In generale sono dette satsumaimo (patate di Satsuma) perchè furono introdotte in Giappone agli inizi del '600 nella zona di Satsuma (ora prefettura di Kagoshima) sull'isola meridionale di Kyushu, ma con il tempo sono divenute una vera specialità regionale della prefettura di Saitama, nella pianura del Kanto, a est di Tokyo.
Il consumo delle patate dolci, però, si diffuse in tutto il Giappone solo in epoca Meji, dopo la metà dell'800, con l'apertura anche della cucina giapponese ai contatti con l'Occidente, e la nostra ricetta ha origini di poco successive, quando le università cominciarono ad essere frequentate anche da studenti che arrivavano da fuori città e che dovevano dunque arrangiarsi per pranzare velocemente e con poca spesa senza allontanarsi dal luogo di studio.
La versione tradizionale del daigaku-imo prevede di friggere le patate a pezzi e poi caramellarle nello sciroppo salato. Oggi vediamo nel dettaglio anche altre varianti di preparazione ma in tutte le versioni le patate dolci devono avere la buccia rosso/violetta e la polpa chiara o dorata e per esaltare il gradevole contrasto visivo tra i due colori vengono comunque cotte con la buccia.
Con il metodo tradizionale da bancarella, dicevo, si tagliano a pezzi, si friggono (a 160 °C per 10 minuti) e poi si passano in uno sciroppo: per 500 g circa di patate si usano 5 cucchiai zucchero, 1,5 cucchiai acqua, 1 di mirin, 1 cucchiaino di aceto di riso e 1 cucchiaino di salsa di soia.
Un secondo metodo più casalingo, che preferisce evitare la frittura sia per questioni caloriche che per i costi dell'olio, cuoce direttamente le patate nello sciroppo, preparato però diversamente: per 500 g di patate si mettono a freddo nel tegame 7 cucchiai di zucchero, 4,5 cucchiai di olio dal sapore neutro, tipo mais o arachidi, un cucchiaino scarso di salsa di soia e uno scarso di aceto di riso.
Le patate a pezzi vanno direttamente nel tegame, poi si chiude con un coperchio avvolto in tela perchè non ricadano gocce vapore nello sciroppo, si accende il fuoco e si cuoce a fiamma media fin quando si comincia a sentire che sobbolle, poi a fiamma bassa 2 minuti coperto, poi scoperto per un'altra decina di minuti, voltando le patate ogni tanto perchè si dorino da tutti i lati.
Un terzo metodo è infine quello che usa la mia amica Yoko: lei pre-cuoce le patate a pezzi al microonde per 2,5 minuti coperte, poi le frigge; il suo sciroppo inoltre è più saporito di quello classico: con 4 cucchiai di zucchero e 3 di acqua usa ben 1,5 cucchiai di salsa di soia più un pizzico di sale e poi, vivendo in Italia da parecchio, ci aggiunge non aceto ma un cucchiaio di vino bianco secco e infine spolvera con sesamo bianco. Le sue daigaku-imo vengono così:
Ringrazio Yoko non solo per avermi rivelato la sua ricetta ma anche per averla corredata con un breve commento in giapponese, che mi è servito per far pratica con la lingua che sto da poco studiando. Lei scrive:
大学芋 たまに たべたく なる んだな〜。揚げる 前 に レンジでチン するから あっという間 に でき上がり!
Analizzo la frase carattere per carattere, separando le parole (perchè in giapponese si scrive tutto attaccato!), leggendone il suono per le sillabe in hiragana e katakana e studiandomi i segni che compongono i più complessi kanji, di cui cerco di dedurre il significato pittografico: Ma sono agli inizi e non tutto mi sembra avere senso. Letteralmente ne deduco una ipotetica sequenza di parole:
大学, daigaku, università
芋, imo, patate
たまに, tamani, qualche volta
たべたく, tabetaku, mangiare + ?
なる, naru, diventare/desiderare
んだな〜, n da na..., va bene, ok?
揚げる, ageru, friggere
前 に, mae ni, prima + particella che determina il tempo
レンジでチン, renji-de-chin, microonde + particella che determina il mezzo
する, suru, fare
から, kara, a partire da
あっという間 に, attoiumani, in un attimo
でき上がり, dekiagari, è pronto.
Alcune espressioni (quelle rosse) mi sono a dire il vero del tutto sconosciute e le provo a recuperare vigliaccamente da Google, che traduce nell'insieme: Voglio mangiare le patate del college una volta ogni tanto. È pronto in pochissimo tempo perché viene cotto nella gamma prima di essere fritto!
Alla fine, tra i deliri miei e quelli del traduttore automatico, il commento di Yoko credo significhi qualcosa del tipo: qualche volta piace mangiare le "patate dell'università", vero? Sono pronte in un attimo (perchè le) faccio (cuocere) al microonde prima di frigger(le)!
Umm... Meglio tornare concretamente in cucina, mi sa!
La mia versione della ricetta è un po' un misto tra tutte quelle citate: intanto non ho patate dolci giapponesi ma venete, con buccia e polpa entrambe arancioni e mi salta la bicromia classica... e pazienza! Poi le scotto al microonde come Yoko e come lei uso sesamo bianco; però non friggo e uso olio nel caramello, come nella seconda tecnica; e poi profumo con mirin come nella prima. E per calcare un pochino la mano con il sesamo ne utilizzo l'olio, che non è affatto insapore, visto che il mio cervello bacato deve sempre metterci lo zampino.
DAIGAKU-IMO - PATATE DOLCI "DELL'UNIVERSITÁ"
ingredienti per 2 persone come piatto principale, per 4 come snack:
450 g di patate dolci
3 cucchiai di zucchero
1,5 cucchiai di mirin
1,5 cucchiaini di salsa di soia
1,5 cucchiaini di aceto di riso
1 cucchiaio di olio sesamo
1/2 cucchiaio di semi di sesamo
Pulire molto bene le patate spazzolandone a fondo la buccia; tagliarle a pezzi di 2 cm con il taglio ran-giri e metterle a mollo in acqua fresca per 15 minuti, perchè perdano amido.
Scolare ed asciugare bene le patate, poi disporle in un contenitore adatto in modo che non si tocchino, coprire e cuocere al microonde a 8-900 w per circa 4 minuti.
Disporre zucchero e mirin in un tegame che poi possa contenere le patate in un solo strato, unire 1 cucchiaio di acqua e lasciar inumidire. Accendere poi il fuoco e far sciogliere lo zucchero senza mescolare.
Unire l'aceto, quindi la salsa di soia e l'olio di sesamo, abbassare il fuoco e mescolare fino a che il fondo prende una consistenza tanto sciropposa che si può tirare una linea con il cucchiaio ed il fondo del tegame resta a vista.
Unire le patate, mescolare e cuocere una decina di minuti a fuoco basso, perchè la polpa si ammorbidisca bene ed il fondo si restringa. Intanto tostare a parte il sesamo in un padellino.
Spegnere e spolverizzare con sesamo mentre sono ancora calde perchè, una volta indurito lo zucchero, i semini non si attaccano più.
Si possono servire le patate come si preferisce: calde, tiepide o anche a temperatura ambiente.
- rivoli affluenti:
- le patate dolci in ricette giapponesi qui sul blog sono anche: uno stufato di tuberi, una insalata classica ma anche un'insalata tutta vegetariana, una confortante zuppa, e poi brasate alle alghe, e in versione yoshoku, dentro un risotto ai funghi.
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