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Visualizzazione dei post da ottobre, 2009

quattromila e non sentirli...

Qui capita spesso che post temporalmente vicini abbiano in comune uno o più ingredienti, visto che cucino veramente con quello che ho in casa... Avendo dunque acquistato l'altro giorno delle melagrane per l'insalata di cavoletti , ho pensato di utilizzarne qualcuna per un piatto decisamente moooolto più storico, di tradizione persiana: un koresh. Si tratta di un metodo di cottura simle al nostro stufato, utilizzato prevalentemente per spezzatino o stinco di agnello, per pollame e per manzo, di cui in questo caso propongo l'ossobuco. Le carni vengono sempre cucinate a fuoco lentissimo per lungo tempo insieme ad un paio di verdure ed agli aromi più disparati: spezie, erbe, frutta secca... Spesso lo si fa riposare una notte e viene poi servito riscaldato il giorno seguente, in modo che i sapori abbiano avuto modo di fondersi perfettamente, e è sempre accompagnato dal chelow, riso basmati cotto con un rituale particolare insieme con zafferano, yogurt e burro chiarificato.

una boccata di semplicità

Non credo siano solo le atmosfere autunnali o la sera che arriva presto grazie al ripristino dell'ora solare. Ovvio, tutto ciò alimenta la voglia di cibi caldi, avvolgenti e di sostanza, ma mi sono chiesta da cosa dipendesse questo mio recente attacco di "formaggite" e mi sono resa conto che per me il formaggio non è solo una golosità o una coccola, è proprio una rassicurazione. Se vado più a fondo so benissimo che non si tratta di una simbolica regressione al latte materno (tra le molte cose ricevute da mia madre non c'è quasi mai stata la protezione), nè dell'inconscio ritorno ad un'infanzia felice in cui polenta e formaggio erano i classici della domenica in famiglia. E' invece una sorta di forma archetipica di cibo, racconto di una elaborazione primaria che ha trasformato il latte per mano altrui in qualcosa di diverso proprio per me, e di una potenzialità evolutiva successiva per tutto ciò che con il formaggio posso inventare io in tema di consisten

cronaca del crescere e moltiplicarsi

Antefatto: fino a ieri la situazione era questa: un trio... o più precisamente un trio allargato, formato da una bimba, due genitori e da un quasi-fratellino. La foto risale a qualche giorno fa, quando la bimba ha festeggiato in pompa magna il suo settimo compleanno con un pranzo di famiglia (e già una bambina che a quell'età si studia un pranzo creativo invece che una festicciola tutta rosa confetto con le amiche... significa che sta crescendo bene!) Il menù naturalmente lo ha deciso tutto lei, che si è messa a pasticciare in cucina ma ha anche "commissionato" ai vari membri della famiglia i suoi piatti preferiti. Questo sotto è uno dei suoi brillanti risultati, il "Polpo Poldo di würstel"... C'erano anche un riccio di tonno e grissini ed una facciona di vitello tonnato, ma ce li siamo sbafati prima di poterli fotografare! Sulla rivista americana Bon Appetìt di settembre è apparsa un'intervista a Gordon Ramsey, chef inglese tristellato e da qualch

un bouquet di cavoletti

Oggi sarò breve e spiego subito dove voglio andare a parare: questo è un omaggio semi/floreale per il neonato di casa Cavoletto... In questo giorno vede la luce il libro a cui Sigrid lavora da tempo, di cui ha parlato  un mesetto fa  e che è da ora ufficialmente in vendita, on line sul suo sito e in pochi negozi e ristoranti da lei selezionati. Siccome ci si è impegnata davvero come una matta ed il risultato è decisamente degno di nota (giudizio spudoratamente indipendente da ogni coinvolgimento affettivo!), festeggiare l'evento dedicandole oggi una ricetta a base di cavoletti, come fanno quasi tutti i blog che conoscono il suo  Il Cavoletto di Bruxelles , è proprio il minimo... Da parte mia si tratta non a caso di un'insalata. Non avevo mai pensato infatti ai cavoletti di Bruxelles crudi fino a che non  ne ha cominciato a parlarne  proprio lei , e per me è stata una bella scoperta, una delle molte cose che ho imparato da lei e di cui mi fa piacere ringraziarla. Naturalmen

a tutta birra...

Vado parecchio a umore, riguardo alle ispirazioni gastronomiche. Di solito si tratta di periodi di monomania geografica perchè alcune stagioni mi evocano i sapori di una certa regione del mondo, anche se a volte prevale la curiosità per un tipo di cottura da sperimentare in tutte le sue varianti oppure la simpatia per un ingrediente improvvisamente ri-scoperto... come in questo caso! Già il formaggio è una delle mie golosità , già nel periodo autunnale alimenti chiari, cremosi, caldi ed un po' nordici sembra mi facciano la posta, fatto sta che dopo la visita alla sagra del gorgonzola il caseario dilaga nella mia testa e, se non si fosse notato, ci si dovrà rassegnare ad un certo numero di post un po' formaggiosi, anche se sto cercando di diluirli nel tempo per evitare di fare del luogo una latteria... Questa infatti è una ricetta pronta da un paio di settimane, prima insomma dell'ondata di freddo autunnale che ha definitivamente stroncato la produzione di zucchine dell&#

l'arte di arrangiarsi

Vedo molti addobbi spuntare nelle vetrine per l'imminente Halloween ed anche apparire qua e là nella blogsfera ricette e consigli dedicati al pranzo del Ringraziamento. Di certo non sono io a voler boicottare lo scambio culturale e la conoscenza di riti, festività e piatti tipici di altri Paesi, solo mi dispiace un po' constatare che spessissimo non si tratta di autentica curiosità od interesse nei confronti del diverso ma semplicemente di moda. Oggi parlo dunque sì di cucina americana, perchè in realtà c'è un intero continente da scoprire e prima o poi da qualche parte bisogna pur incominciare (non vorremo certo rimanere tutta la vita convinti che negli Stati Uniti si mangino solamente hamburger, tacchini ripieni e bistecche!), ma per il momento lascio volentieri da parte Halloween... Mi occuperò di zucche a festa finita. E se proprio vogliamo parlare di America, partirei... dai primi conquistatori! Quando le navi occidentali iniziarono ad arrivare in America, prevalen

prendila bassa

Lei ama i formaggi. E poi anche i libri di Luciana Litizzetto, le tavole ben apparecchiate,  i dolci, la fotografia, le erbe provenzali, la casa lustra, il cardamomo, i cieli di montagna, il sorriso dei figli. Lei è spesso triste ma da fuori non si vede perchè la sua voce argentina mette allegria a tutti. Lei ha perduto per strada un po' il senso della vita, ma mentre lo ricerca continua ad accudire la famiglia con amore e solarità. Lei ha ansie e dubbi, se li tiene in gola e ne parla dopo, quando il peggio è alle spalle ed è riuscita comunque da sola ad arrivare a fine giornata. Lei è una donna fragile e forte insieme, che a volte spacca il mondo e a volte non riesce nemmeno ad uscire di casa. E si alza ogni giorno e ricomincia da capo, tenacemente, ogni giorno lotta contro rimpianti e paure, contro bollette troppo alte, salute capricciosa e guasti imprevisti dell'auto e a volte riesce persino a guardare avanti con fiducia. Lei è una donna normale, come tante. Come tante è s

mangiare la bellezza...

Recentemente ho visitato la mostra  di un pittore giapponese contemporaneo davvero coinvolgente. Lui si chiama Koji Yamamoto e ci era capitato di conoscerci qualche anno fa al bancone di un ristorante giapponese, discettando di cibo (naturalmente!), di colore e di quanto entrambi vengano percepiti ed apprezzati diversamente in base al background culturale di due Paesi tra loro lontani e differenti. Aveva già esposto in Italia e questa volta è riuscito ad allestire una mostra con tele di grandi dimensioni che con i loro colori mi hanno completamente rapito. Ho chiesto il permesso di fotografarne qualcuna ma non sono riuscita a rendere loro giustizia... ( ecco qui immagini un po' migliori) Si tratta di una serie di "nature" astratte, nel senso che la vita viene rappresentata attraverso i colori e la sensazione di continuità e dinamismo tra una tela e l'altra, come se la vitalità non potesse restare imbrigliata in un'immagine convenzionale... L'opera che mi

auguri

Non sono moltissime in questa fase della mia vita le amicizie "recenti". Non ho forse tanta voglia di spiegarmi a persone che mi conoscono ex-novo, probabilmente devo capire meglio che avrei da raccontare di me prima di mettermi a farlo seriamente. Ma ogni regola ha la sua eccezione, come nel caso della persona a cui questo post è dedicato, un'amica che circola nella mia vita da un annetto e che ci ha già lasciato dei segni. Ci troviamo davvero bene quando chiacchieriamo insieme, nonostante la reciproca conoscenza sia assolutamente parziale e in erba e le distanze di luoghi e ritmi ci frammentino i contatti,  anche se contemporaneamente sottolineano il piacere di leggere l'una il nome dell'altra sul display del telefonino o nella casella delle mail in arrivo...  Così, solo per cominciare, lei mi ha involontariamente invischiato in questo etereo mondo dei foodblog, io l'ho consapevolissimevolmente spinta a gettarsi nel Giappone.  Ne siamo entrambe rimaste co

vento!

Vento, vento, vento! Oggi vento, che strapazza tutto: foglie arancioni turbinano sul fondo terso del cielo azzurrissimo, gli occhi lacrimano investiti dall'aria inaspettatamente fresca, i capelli si spettinano come si sentissero liberi di andarsene dove gli pare... Quanto è bello e raro entrare veramente in contatto con gli elementi? Da ragazzina adoravo i temporali: mi munivo di stivaloni e cerata e me ne andavo a zonzo sotto la pioggia, così, con la sensazione di star facendo qualcosa di importante, con la piacevole certezza di essere comunque in parte padrona degli elementi, dato che dentro le mie bardature avevo il magico potere di non bagnarmi. Un po' come stare dietro i vetri di una casa calda e guardare la neve che cade silenziosa, oppure giocare con il fiato a nuvolette la mattina dopo una gelata riparati da sciarpone di lana e cappotti pesanti, o muoversi senza fretta in mezzo alla nebbia, quando tutto rallenta e perde definizione... So che le mie sono percezioni &

zimbelli e spauracchi...

Non ho parenti o amici appassionati di caccia... quindi non avevo idea di cosa fosse un roccolo, almeno fino a quando, in una tiepida e soleggiata domenica di ottobre, all'ora di pranzo mi sono ritrovata seduta ad una tavolata di amici nel prato di una vecchia casetta in mezzo ad un bosco dove si svolgeva una festa campestre con polentata, in onore dell'autunno. All'inizio mi sembrava una fortuna che nel grande prato ci fosse come un cerchio di alberi a proteggere la radura interna dove erano stati disposti i tavoli, ma poi mi hanno spiegato che la vecchia costruzione era un casino di caccia e che il cerchio di alberi era una architettura vegetale, e più precisamente ciò che rimaneva di un antico roccolo caduto in disuso. Un centinaio di anni fa lungo il perimetro di alberi e in tutta la radura c'era uno snodarsi di siepi e cespugli  che dall'esterno faceva assomigliare questo gruppo di alberi ad una innocente macchia di boscaglia, come di fatto appare anche ad

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!