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Visualizzazione dei post da maggio, 2018

le creazioni dell'essere, puntata 1: riso zafferano pancetta e birra

  Vivo con un essere surreale, che riesce a scovare un "noi" anche in alcune piccole cose che in realtà partono da presupposti completamente diversi. Lo ammetto: è un'esperienza impegnativa ma positiva, assolutamente indispensabile alla vita, se si ha un minimo di senso dell'ironia.  L'altro giorno arriva tutto bello contento da un viaggio proponendo di festeggiare il suo rientro con un piatto di riso di sua invenzione. "Un momento che controllo le dosi", mi dice, e si mette a scartabellare sul cellulare. Mi sembra così strano non solo che abbia elaborato una ricetta lontano dai fornelli (di solito è uno che in cucina improvvisa con quello che si trova davanti) ma che addirittura se la sia segnata (ribadisco il concetto dell'improvvisazione estrema!), che gli chiedo come mai l'abbia addirittura scritta. Con il massimo della naturalezza risponde che in realtà è una ricetta che nel 2005 aveva inventato (o sentito raccontare da qualcuno,

la ricetta giapponese nascosta tra spaghettini coreani: melanzane e peperoni al miso

Sono anni che, quando vedo sui banchi melanzane e peperoni verdi, mi prende la golosità del nasu papurika yakimiso e preparo più e più volte questo piatto giapponese che adoro. Me l'ha insegnato una cara amica giapponese che è stata ospite a casa mia per qualche tempo, che non me ne ha poi detto il nome e che poi purtroppo mi ha lasciato.  Forse per questo non ho mai chiesto il vero nome del piatto ad altri Giapponesi, per tenerlo come una cosa "solo mia". Il titolo giapponese che gli ho dato io è la sgrammaticata somma dei nomi nipponici degli ingredienti. Dovrebbe significare "melanzane e peperoni saltati con miso" ma di certo lo dicessi ad un madrelingua ne riderebbe. Forse è sempre per la storia affettiva di questo piatto che non l'ho mai pubblicato, nonostante ogni estate ne faccia scorpacciate. ora che mi sono decisa a farlo, non mi viene spontaneo mostrarlo in versione  okazu , quei piccoli contorni di verdura che accompagnano sempre, in un pa

la mia esperienza bulgara in un patatnik

L'ultima volta che sono stata in Bulgaria era il 1987. Ai tempi si trattava ancora di una repubblica comunista dietro al cortina di ferro, che percorremmo tutta con un furgone scassato adattato a camper entrando dalla Serbia (allora Jugoslavia), passando da Sofia, attraversando poi il Paese verso est fino al Mar Nero e poi costeggiandolo per scendere in Turchia. Per tutto il viaggio ogni decina di chilometri ci fermava la milicia  (come allora si chiamava la polizia): ci chiedevano documenti e visti, ci rovistavano nel camper, ci multavano con dei pretesti per cifre che a noi sembravano irrisorie ma che, ci rendemmo conto dopo, per loro erano piccole fortune e poi ci lasciavano proseguire, fino all'incontro con la pattuglia successiva. Per un paio di volte delle persone si offrirono di aiutarci con il cambio e ci imbrogliarono, una volta scappando con il nostro denaro ed un'altra rifilandoci banconote fuori corso. Eravamo giovani ed ingenui (ed anche forse tremendame

l'emozione di una serata pasta e futurismo, senza contraddizioni

Ho incontrato il Futurismo attraverso gli studi di architettura, che mi hanno fatto inciampare anche nella pittura e nella letteratura e cascare come una pera cotta dentro la musica futurista, che in pochi conoscono ma che è parte integrante della visone artistica totalizzante di quel movimento. Avevo l'onore all'università di studiare con Achille Castiglioni, uno dei padri del design italiano e mitico anche come docente: la prima lezione salì in piedi sulla cattedra con uno sgabello da mungitore legato al sedere per farci comprendere come il pensiero  curioso fosse l'unico approccio serio alla progettazione, in quel caso di una sedia. Per stuzzicarci sulle infinite possibilità di definire l'armonia nella invenzione delle forme, sostituì un giorno una sua lezione con un concerto in aula della soprano Rossana Maggia, la cui potente voce accompagnava gli intonarumori suonati dallo studioso Gian Franco Maffina, fondatore dell'Associazione Musicale Russolo Pratell

asparagi al forno tra memoria e creatività

Ho mangiato gli asparagi in mille maniere, ma quasi tutti avevano in comune il fatto di essere stati scottati in acqua bollente prima di essere inseriti nella preparazione, oppure rosolati in padella con poi l'aggiunta di un qualche liquido.  Poi li ho assaggiati crudi, a lamelle sottili in insalata, e mi sembrava avessero un sapore in qualche modo "sbagliato", rispetto a quello che il mio palato si aspettava dopo cinquant'anni di sapore legato alla lessatura o brasatura, in cui l'asparago perde la croccantezza a favore di una languida cedevolezza.  Ho pensato ad una via di mezzo: una cottura intermedia, al forno invece che nell'acqua, che quindi donasse loro in qualche modo una sapore "cotto" ma conservandone croccantezza e sensazioni erbacee. Be': funziona!  Uso poco burro, rosolato con l'aglio, e vari formaggi per suggerire quel piatto meraviglioso degli asparagi alla parmigiana senza citarne le quantità robuste di condimenti, e a

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!