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Visualizzazione dei post da settembre, 2019

cipollini cinesi allo zenzero per la polenta di famiglia

Ogni promessa è debito. E quando mio nipote di nove anni, abituato ai ristornati cinesi un po' commerciali, mi ha chiesto prima di pranzare in un ristorante dai sapori più autentici e poi una lezione di cucina cinese che comprendesse anche i ravioli al vapore è ovviamente stato accontentato: queste nella vita sono soddisfazioni! Credo ne sia rimasto un po' traviato, perchè l'altra domenica per un pranzo di famiglia mio padre ha preparato la polenta proponendo che ciascuno di noi portasse un accompagnamento, adatto, subito il ragazzino mi ha detto: "tu zia ci prepari qualcosa di cinese, vero?" Promettere che l'avrei fatto e immaginare la polenta di farina di mais bramata bella soda "alla bergamasca" su una mensa cinese sono due cose diverse, a prima vista. In realtà anche in Cina esistono diverse "polentine", di solito più lente, "alla veneta", non di mais ma di riso ( qui  una mia versione italianizzata) o di miglio. Nel

mele, semplicemente al forno

Ricevo in dono dall'amico ristoratore delle meravigliose stecche di cannella, quelle che lui si procura dal suo speziale di fiducia ogni volta che torna in Marocco e che utilizza nella cucina del  suo ristorante per profumatissime ricette sia salate che dolci. Al di là di ogni altro pensiero, sarà il clima settembrino sarà un certo umore vagamente malinconico, prevale oggi in me una dolce tentazione, semplice, casalinga e molto poco marocchina: le mele al forno. Sono anni che non ne mangio e non cerco ne' il sapore un po' slavato della nonna a dieta ne' la ridondante golosità delle versioni super ricche da pasticceri veri. Voglio il semplice, rassicurante sapore della mela cotta, gentilmente sottolineato da un pizzico di zucchero e da "un sospetto" (direbbe Artusi) di burro. E, ovviamente, dal sottile aroma di un pezzettino di corteccia di cannella, quella che profuma davvero anche da intera. E' sera. Il forno fa lentamente il suo dovere emanan

la mancata definizione di una zuppa di biete un po' giapponese

Non si tratta di una zuppa chiara, di quelle con il brodo trasparente come si usa in Giappone. Ma non è nemmeno una tipica zuppa occidentale, nonostante il procedimento lo possa far pensare, perchè non contempla pane ne' altro "addensante" e perchè gli ingredienti sono in parte nipponici. Inoltre un Giapponese non la cucinerebbe mai così, quindi non è neppure yoshoku. Ma a me questo piatto dai sapori ibridi è piaciuto tanto, soprattutto oggi in cui avevo bisogno di una pietanza unica, calda, saporita e possibilmente leggera. I grassi e l'indice glicemico totali sono bassissimi, a voler ben guardare, quindi si può pure considerare una ricetta "light", di cui non trovo alla fine una definizione perfettamente calzante: "fusion" mi piace davvero poco, ora che è diventato un aggettivo per contaminazioni commerciali senza grande qualità. Ma la minestra era buonissima e io avevo famissima e me ne sono scofanata l'intera pentola tutta da sola, al

un Paese ospitale, e poi agnello e fagiolini alla cinese

L'autobus oggi è gremito. Feng lo prende ogni mattina per raggiungere la lavanderia in centro dove lavora da quando, a dodici anni, è arrivata in Italia al seguito della sua numerosa famiglia da un piccolo paesino rurale dell'altopiano del Gansu, regione della Cina vicina al Tibet. Il viaggio in pullman ogni mattina dura più di un'ora ma, salendo lei in estrema periferia, di solito trova facilmente il posto per sedersi e dunque viaggia comoda. Invece ogni tanto, specie quando in città si svolgono grandi eventi e ovunque si riempie di gente, anche gli hotel più fuori dal centro registrano il tutto esaurito ed i mezzi pubblici sono sempre molto affollati. Come oggi. Lei per fortuna è riuscita lo stesso a prendere posto, di fianco ad una ragazza di colore più o meno della sua stessa età, con un incredibile vestito giallo arancione e nero uguale al turbante che le mette in risalto la carnagione di velluto. Feng si perde ad ammirare i decori del tessuto, che è di tela buon

la luna d'autunno giapponese in una zuppa: lo tsukimi soba

Ieri sera ho visto in cielo una spettacolare luna gigante, gialla e quasi tonda. E mi è venuto il mente che oggi in Giappone si celebra O-tsukimi , la contemplazione della luna piena di metà autunno. E' il periodo tra l'8 settembre e il 7 ottobre che nell'immaginario collettivo tradizionale è associato alla raccolta del riso e del taro e, appunto, allo splendore della luna, che si crede sia la più bella dell'anno e la meglio visibile, in un cielo limpido senza più i veli dell'afa estiva. Questa sera si espongono sul davanzale gli tsukimi dango , dei dolcetti di riso simili ai mochi impilati in modo rituale, dell'erba susuki , che ricorda le spighe di riso, e del sake, bevanda di riso dai profondi significati simbolici. Poi in un'atmosfera intima e raccolta si attende con tranquillità il sorgere della luna piena insieme a parenti ed amici cari. Si beve a quel punto lo tsukimi sake , cercando di riflettere la luna al centro della tazza della bevanda,

gli anni '90 in uno sformatino di tacchino in verde

Oggi il blog compie dieci anni ed io cinquantacinque. Nessuno dei due accadimenti è particolarmente degno di nota, se non che mi regalo del tempo piacevole, il che permette pure di fermarmi a riflettere brevemente su come si sia evoluta la cucina in dieci anni e come sia cambiato un po' anche il mio rapporto con gli argomenti che la riguardano. La cucina è materia viva, che si modifica continuamente, e fin da ragazzina mi ha molto incuriosito e divertito osservarne i mutamenti ed impararne ogni volta le nuove regole. La collezione di riviste a tema di questi ultimi trentacinque anni (ho degli esemplari di Guidacucina del 1984) e più (ho ricevuto in regalo numeri de La Cucina Italiana che partono dal 1958) mi ha indubbiamente aiutato non solo a cogliere il fenomeno ma anche a stabilire l'importanza della trasmissione della cultura materiale. La letteratura colta legata alla gastronomia ed in generale agli usi alimentati, infatti, cita ricette d'epoca quando spiega fe

un luogo a parte, con polpo algherese

In una delle mie tante vite precedenti ho vissuto la Sardegna glamour, quella di yacht e "località esclusive". Ma molto prima era venuta la Sardegna classica, quella dei paesini su una costa dalla vocazione turistica appena scoperta e quella dei siti archeologici e monumentali che stavano provando a rendere meglio nota la propria enorme dignità culturale. E tra le varie esperienze c'è stata pure la Sardegna di terra, quella fatta di pastori, querceti, fonti, vento e ogni tanto anche un tuffo da uno scoglio isolato. Questa è stata la volta, invece, della Sardegna di famiglia, con l'eredità (non mia, purtroppo!) condivisa tra cugini di una piccola, vecchia casa dipinta di fresco le cui finestre si aprono direttamente su una spiaggia bianca selvatica appena fuori da un paesino dal nome strano, in un punto imprecisato della costa nord. Il fascino di un luogo a parte, dimessamente intimo, dove guardare il mare è l'attività che ti riempie la giornata e ogni cosa b

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!