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Visualizzazione dei post da gennaio, 2011

dicono di noi...

In un vecchio numero dell'ottobre 2009 di Bon Apetit, quotata rivista americana dedicata al food, ho letto con curiosità un articolo, Le sette regole della cucina italiana , che riportava una serie di suggerimenti per aiutare ogni lettore americano a cucinare e vivere come un Italiano. Alcuni commenti possono sembrare ingenui, altri anche superficiali o legati ad un'Italia arcaica che ora non c'è più, ma qua e là lo sguardo dall'esterno (nonostante sia americano!) coglie nel vivo alcuni dettagli profondamente attuali. Eccone il riassunto: 1°: curare il dove, il quando, il quanto quali cibi hanno origine nell'area in cui vivete? quando gli ingredienti che usate sono di stagione? In Italia la cucina più vera e spontanea preferisce i prodotti locali rispetto a quelli esotici, è fedele alla stagione e non butta via nulla. 2°: amare gli avanzi in Italia il riciclo è un'arte naturale: i funghi trifolati di oggi sono la base per il risotto ai funghi di domani,

bontà e memoria

Alla conferenza di presentazione di Identità Golose qualche giorno fa si sono avvicendati al microfono chef, giornalisti, produttori, rappresentanti delle istituzioni e vari addetti ai lavori. Hanno preannunciato programmi interessantissimi che renderanno Milano il centro dell'universo gastronomico italiano per qualche giorno e se avrò la fortuna di riuscire a seguire tutto ciò che vorrei durante la giornata che riuscirò a dedicare all'evento sarà di certo un'esperienza molto arricchente. Tra le varie iniziative ce n'è una "buona in due modi": è attenta al gusto perchè permette anche al pubblico di non addetti di degustare piatti preparati da chef di altissimo calibro, in specifico risotti, ad un prezzo non proibitivo (ogni assaggio costerà 8 euro). E' inoltre "buona" perchè devolve il ricavato alla  Anlaids , associazione che nell'affrontare varie problematiche legate all'aids si occupa anche della formazione di operatori e volontari c

perle

Emilio De Marchi, scrittore milanese di fine '800, cantava nei suoi romanzi il minuto eroismo dei semplici e dei timidi, gente che nella vita quotidiana di fronte a dolori e soprusi fa prevalere il silenzio, la rinuncia, la compostezza, la rassegnazione, la "comprensione amorosa", la serenità della coscienza pulita, l'orgoglio di aver fatto le cose per bene anche se non è servito a niente. Sembrano valori datatissimi se confrontati con i modelli proposti dai mezzi di comunicazione e dagli esempi odierni di comportamento in generale. Sia personaggi in vista che persone comuni ritengono che gridare le proprie ragioni, sgomitare per emergere, apparire vincenti a tutti i costi siano gesti fondamentali alla sopravvivenza. Non so, forse onestà e compostezza non appaiono grandi perle di saggezza in mezzo a questo marasma roboante, a me invece sembra appartengano ad un filo di consigli preziosi, di cui è dolce far dono e di cui è elegante ornarsi. Sempre con discrezione,

sì, viaggiare...

Interpretare degli involtini di verza... Altro che se il tema dell'MT Challenge proposto questo mese dalla Mapi , si presta alle interpretazioni!!! Non sto a raccontare ora tutta la storia di questi involtini, un vero e proprio inno alla globalizzazione gastronomica (che peraltro avevo già accennato qui , insieme ad una versione di involtini "multirazziali"), comunque si tratta di un piatto che rappresenta in modo davvero profondo un'assoluta interculturalità... dunque per me una perfetta istigazione all'etnico. Aggiungo solo che in spagnolo la verza si chiama anche col de Milan , cavolo milanese, ed in inglese Savoy cabbage , cavolo della Savoia, dunque è storicamente una verdura tipica delle mie lande alpino/padane... ma concludo dicendo che, viste le suddette premesse, a proporre una ricetta tradizionale del Nord Italia non ci penso nemmeno! Riflettendo sul nome del blog che ha dato vita a questa iniziativa della sfida/raccolta mensile su una ricetta c

visione parziale

Interessanti i costumi sociali tibetani incontrati da Marco Polo, che ci racconta  come la verginità fosse indice di poca desiderabilità tra le donne tibetane, tanto che le fanciulle che potevano dimostrare di essere state apprezzate da numerosi amanti sfoggiando i monili ricevuti da loro in dono erano poi le più richieste come mogli. Tracce di questa mentalità rimangono testimoniate fino a qualche decennio fa da viaggiatori che si vedevano offrire la sposa in segno di ospitalità dal marito come il maggior valore disponibile in casa. Altri ai giorni nostri narrano di una stessa donna sposata da più fratelli o membri maschili della stessa famiglia, probabilmente a dimostrazione di quanto fossero tenute in conto le doti di tale donna e, secondo qualche sociologo, forse anche come semplice accorgimento per non vedere disperso il patrimonio di famiglia in questioni di successione. Da lontano immaginiamo il Tibet come un Paese roccioso e mistico, abitato da monaci perseguitati, dissemin

lacrime ungheresi

C'è da dire che provare nostalgia per un posto in cui non si è mai stati è davvero curioso. Ne conosco pochissimo storia e geografia, ancor meno la cultura tradizionale e per niente l'attualità, ma mi sono affezionata all'Ungheria attraverso i rocamboleschi e buffi racconti che ne fanno amici che abitano lì. Inutile dire che quando vengono in Italia mi sommergono di prodotti tipici ed una volta sono pure arrivati con un libro sulla cucina tradizionale locale. Quando hanno scoperto che l'avevo già (in effetti è un'esperienza che non è tanto raro mi capiti ...) si sono ripresi il libro ma mi hanno riempito il frigo di vasetti di panna acida ungherese, che è una roba che mi fa davvero impazzire! La loro panna acida infatti, che si chiama tejf öl , caratterizza moltissimo la cucina ungherese e viene usata in mille pietanze. Ha un sapore ed una consistenza unici ed una volta terminata quella scorta è stato per me difficilissimo superare la crisi di astinenza! Il su

cosa non si fa per delle labbra morbide...

Ogni cosa si riprende dentro il proprio moto dopo le feste. Chi riparte lentamente, ancora stordito dall'inconsueto riposo, chi invece ne esce rivitalizzato, pieno di energia e buoni propositi. Non so esattamente con che spirito si sia rimesso in marcia Marco Polo, fatto sta che questa volta ci accompagna tra le aspre lande del  Tibet . La prima esperienza gastronomica in cui sarà incappato, una volta entrato in contatto con la popolazione locale, è comunque certamente il po-cha , o bo-cha , letteralmente "tè tibetano". Si tratta di una bevanda calda e salata a base di tè nero e burro di yak che i Tibetani bevono a piè sospinto ed offrono immancabilmente ai propri ospiti. E' salutare ed energizzante, adatta a mantenere il calore corporeo nei freddi climi montani, smorza la fame, aiuta la digestione... ed evita anche la screpolatura delle labbra, mantenendole morbide a lungo! Ma indipendentemente da tutte queste buone qualità, è proprio il gusto di questa bevanda c

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!