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Visualizzazione dei post da gennaio, 2017

Suzette Tatin e GB Foster: facciamo nomi e cognomi per i macaron MTC!

Da qualche anno ho smesso di interessarmi alle mode gastronomiche, di frequentare ristoranti noti, di aggiornarmi sulle favolose ricette di certi geni di cucina. La cosa ha anche i suoi lati positivi, indubitabilmente, ma presenta ogni tanto qualche scompenso. Ad esempio passare indenne dall'esplosione mondiale del mito macaron. Lo so, già il fatto di non essermi mai particolarmente appassionata di pasticceria non aiuta, ma ora che per l'   MTC n. 62  c'è da confrontarsi con i  macaron  proposti da  Ilaria , io sono presa totalmente in contropiede: sono ferma da anni ai brutti e buoni di Gavirate e come schiumini alle mandorle da lì non sono più andata oltre... Per fortuna mi arrivano in soccorso due fattori: so di poter contare sulla ricetta sicura di Ilaria per i gusci e, per un certo mood francese che sto frequentando in questo periodo, ultimamente ho anche la testa immersa in alcuni capisaldi di quella pasticceria classica. Quindi resto incantata dagli abbiname

frittura di cardi al sake: yoshoku bis

Niente, è che ora ho cominciato con la passione per i cardi e pure in casa, dopo iniziali occhiate un po' diffidenti, sono diventati una golosità quasi più dei cioccolatini (... non so se mi spiego!). Dunque, a grande richiesta: cardi pure oggi (!) dopo la italianissima parmigiana di cardi  di qualche giorno fa.  Solo che questa volta si rimane nel mood yoshoku dello scorso post . Quindi, a stretto giro di posta, ecco subito una nuova ricettina filonipponica, che giapponesizza un classico dei classici della golosità occidentale: i cardi fritti.  I cardi in Giappone non sono comuni, come d'altronde i loro parenti carciofi, ma per quanto riguarda la frittura so che gli amanti della cucina del Sol Levante potranno perdonare questa contaminazione, decisamente yoshoku , in nome dello strepitoso sapore che si riesce ad ottenere alla fine di tutto l'ambaradan. Perché in un fritto italiano che si rispetti c'è spesso un alcolico che, evaporando, gonfia la pastella e l

salmone yoshoku all'arancia. Lasciando anche perdere le foto

No, va be', dai... inizio l'anno del blog con ricette che non hanno niente di giapponese?! Non ci posso credere! Mentre medito su quale sia l'oscura ragione per cui è successo, mi accorgo che in realtà un paio di cosette di ispirazione nipponica le ho anche già cucinate e che non sono salite alla ribalta della cronaca semplicemente perchè... fotografate malissimo! Capita a chiunque bazzichi nel mondo dei food blogger, prima o poi, di confrontarsi a muso duro con la questione "meglio buone ricette o belle foto?" Strenua difenditrice (è bruttino ma si dice così, al femminile) della prima fazione, con il tempo mi sono resa conto che il web è un mezzo di comunicazione prevalentemente visivo. Dunque se le immagini nemmeno rendono correttamente l'idea del piatto, per quanto perfetta sia la ricetta ne resterà di certo penalizzata.  Ne sono la (triste) prova a diversa scala i libri di cucina, che le ultime generazioni di golosi/appassionati acquistano solo se corr

parmigiana di cardi... panitaliana!

A Roma ho assaggiato tempo fa una parmigiana di cardi che ha lasciato il segno. Io li avevo sempre preparati alla "nordica", gratinati  con formaggi e besciamella, oppure utilizzati per piatti stranieri, tipo con gli ossibuchi in un  koresh persiano , ma o ggi ho deciso di cimentarmi con questa idea della parmigiana.  Quella assaggiata vedeva i cardi a strati con semplice salsa di pomodoro, mozzarella e parmigiano. Ho scoperto poi, parlando con l'autrice, che non si tratta di una specialità romana ma della sua personale declinazione, vagamente partenopea, di una ricetta di famiglia arrivata dal suo ramo umbro. Mi sono resa conto, insomma, che anche senza contaminazioni estere la cucina regionale italiana odierna ha la sua bella parte di evoluzione "fusion"! Così, fatte salve le basi nella tecnica di frittura dei cardi e nella presenza di pomodoro, me  la rivedo pure io, questa benedetta parmigiana, senza pormi particolari remore filologiche. Arricchisco

totanetti in sugo piccantino (non esattamente napoletani)

In questo momento molte delle persone che ho conosciuto sul web e che ho continuato allegramente a frequentare (alcune anche nel mondo reale!) si trovano a Napoli e se la stanno godendo tutte insieme. Non ho la possibilità di condividere la giornata con loro, ma posso raggiungerle virtualmente cucinando qualcosa che mi faccia sentire a Napoli! Non si tratta di una ricetta tipica partenopea, almeno per quanto ne so: di solito polipetti, calamari, totani e seppioline si preparano o alla luciana o con aglio, pomodoro, peperoncino e prezzemolo. Qui ho invece insaporito dei totanetti a fantasia mia, ad ispirazione ovviamente mediterranea, ma usando alcuni ingredienti ricevuti in dono direttamente da Napoli poco tempo fa.  Due sono stati spiccati davanti ai miei occhi dai grappoli appesi, come d'uso, fuori dalla finestra: pomodorini del piennolo e peperoncini freschi. Un altro è invece un vasetto di olive di Gaeta, praticamente svuotato in pochi secondi dall'apertura, se n

crema di topinambur alle mandorle: semi che attecchiscono...

Pensavo ad una zuppa che avesse le caratteristiche dell'anno all'inizio: ricca di buone intenzioni e confortante fin dagli esordi, ma con una certa leggerezza di base. Partivo da una zuppa spagnola tradizionale, l' ajo blanco  a base di aglio e mandorle, che lega sprint e morbida dolcezza (sarà un anno così, mi auguro...), per tradurla il versione invernale e un filo più locale per me.  Pensando ad una crema chiara e calda ho deciso di aggiungere i topinambur e di sostituire le  mandorle ridotte in farina della ricetta classica direttamente con il latte di mandorle, che potevo ricreare grazie ad un panetto siciliano di pasta di mandorle con cui avevo già osato in precedenza contaminare  una ricetta salata . Dopo aver cucinato, servito e consumato la mia bella zuppettina rivista, sono ricordata che qualche tempo fa avevo assaggiato un piatto simile preparato nientepopodimenocchè... dallo chef Giorgio Trovato.  Sono andata a ripescare appunti e foto di allora:   non

il quarto Re Magio e la morale, saggia e semplice, delle favole

Una meravigliosa mostra di arte presepiale a Napoli, raccolta di opere a celebrare la tradizione e l'abilità artistica degli artigiani dell'Associazione Amici del Presepio: non so quanti in totale i "pastori", come si definiscono compiutamente a Napoli tutte le statuine del presepe, che animano le oltre sessanta ambientazioni presenti, ricostruite in stupendi paesaggi di sughero e cartapesta che in gergo andrebbero definiti "scogli". Chi fosse nei paraggi ha tempo ancora un paio di giorni per visitarla! Non me ne vogliano gli altri artisti espositori, tutti straordinari, ma tra gli infiniti personaggi rappresentati all'interno della mostra, questi mi hanno colpito più di tutti, posti semplicemente da soli in una bacheca vuota e bianca. Sono i quattro Re Magi. Sì, quattro... Nella breve didascalia a commento si accenna ad un re potente che partì con Gaspare, Melchiorre e Baldassarre per rendere omaggio al Bambinello, ma durante la strada impiegò

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!