Non ho parenti o amici appassionati di caccia... quindi non avevo idea di cosa fosse un roccolo, almeno fino a quando, in una tiepida e soleggiata domenica di ottobre, all'ora di pranzo mi sono ritrovata seduta ad una tavolata di amici nel prato di una vecchia casetta in mezzo ad un bosco dove si svolgeva una festa campestre con polentata, in onore dell'autunno.
I cacciatori invece nascondevano nelle siepi le gabbiette degli uccelli da richiamo (gli "zimbelli"), in modo da attirare al centro del cerchio i volatili di passo da catturare. La caccia infatti qui veniva interpretata come "arte della cattura" ed era rigorosamente eseguita senza armi: lungo la collana di alberi erano posizionate delle reti e, una volta attirate le prede all'interno, alle aperture del roccolo si appostavano i cacciatori, che muovevano fra i rami uno "spauracchio", un bastone con rametti intrecciati a sagoma di rapace, scosì gli uccelli spaventati si alzavano in volo precipitosamente per scappare, incappando nelle reti.
Ho scoperto che nella zona nord della Lombardia, luogo di passaggio degli stormi migratori, i roccoli abbandonati o trasformati in parchi sono numerosi e che ne esistono anche nel vicentino e in Trentino, dove sono utilizzati anche come osservatori ornitologici. La storia vuole che i possidenti terrieri fin dal Medioevo si fossero riservati il diritto di caccia per la selvaggina di grossa taglia, concedendo a servi e contadini la facoltà di cacciare la sola selvaggina di penna, le lepri e poco altro.
Data la scarsità di altri mezzi di sussistenza in zone prealpine e montane, dove agricoltura ed allevamento non erano di certo intensivi, la tecnica venatoria "povera" dell'uccellagione, cioè della caccia senza armi, si sviluppò in forme molto ingegnose ed evolute, fino ad arrivare a tali quantità di catturato da rappresentare agli inizi del secolo scorso una vera e propria forma di sostentamento autonoma. Con il trascorrere del tempo ed il miglioramento delle condizioni economiche generali la funzione della caccia come forma di rifornimento alimentare è gradualmente scomparsa, mentre l'evoluzione della mentalità e delle normative in materia ha contribuito a rendere l'uccellagione e lo strumento del roccolo assolutamente anacronistici.
Così anche qui negli anni il cerchio di alberi è stato liberato da trappole e cespugli, il casotto in muratura che originariamente ospitava il frutto della caccia e la residenza dell'uccellatore si è oggi trasformato in una deliziosa casetta in mezzo al bosco...
Una banda di gente felice di condividere, che mi ha regalato una giornata di buonumore perfetto. Siamo rimasti fino all'imbrunire, così non ho avuto tempo per raccogliere un po' di casagne dai ricci sparsi a terra lungo il sentiero. Me ne è rimasta però la voglia, così ecco qui una ricetta confortante, rustica ed autunnale, a base di castagne e patate... che erano entrambe un'altra risorsa preziosissima per l'alimentazione delle popolazioni più povere di collina e montagna (ma questa è un'altra storia...).
All'inizio mi sembrava una fortuna che nel grande prato ci fosse come un cerchio di alberi a proteggere la radura interna dove erano stati disposti i tavoli, ma poi mi hanno spiegato che la vecchia costruzione era un casino di caccia e che il cerchio di alberi era una architettura vegetale, e più precisamente ciò che rimaneva di un antico roccolo caduto in disuso.
Un centinaio di anni fa lungo il perimetro di alberi e in tutta la radura c'era uno snodarsi di siepi e cespugli che dall'esterno faceva assomigliare questo gruppo di alberi ad una innocente macchia di boscaglia, come di fatto appare anche adesso agli occhi profani come i miei, che da fuori appena riuscivo ad intravedere i tavoli...
I cacciatori invece nascondevano nelle siepi le gabbiette degli uccelli da richiamo (gli "zimbelli"), in modo da attirare al centro del cerchio i volatili di passo da catturare. La caccia infatti qui veniva interpretata come "arte della cattura" ed era rigorosamente eseguita senza armi: lungo la collana di alberi erano posizionate delle reti e, una volta attirate le prede all'interno, alle aperture del roccolo si appostavano i cacciatori, che muovevano fra i rami uno "spauracchio", un bastone con rametti intrecciati a sagoma di rapace, scosì gli uccelli spaventati si alzavano in volo precipitosamente per scappare, incappando nelle reti.
Ho scoperto che nella zona nord della Lombardia, luogo di passaggio degli stormi migratori, i roccoli abbandonati o trasformati in parchi sono numerosi e che ne esistono anche nel vicentino e in Trentino, dove sono utilizzati anche come osservatori ornitologici. La storia vuole che i possidenti terrieri fin dal Medioevo si fossero riservati il diritto di caccia per la selvaggina di grossa taglia, concedendo a servi e contadini la facoltà di cacciare la sola selvaggina di penna, le lepri e poco altro.
Data la scarsità di altri mezzi di sussistenza in zone prealpine e montane, dove agricoltura ed allevamento non erano di certo intensivi, la tecnica venatoria "povera" dell'uccellagione, cioè della caccia senza armi, si sviluppò in forme molto ingegnose ed evolute, fino ad arrivare a tali quantità di catturato da rappresentare agli inizi del secolo scorso una vera e propria forma di sostentamento autonoma. Con il trascorrere del tempo ed il miglioramento delle condizioni economiche generali la funzione della caccia come forma di rifornimento alimentare è gradualmente scomparsa, mentre l'evoluzione della mentalità e delle normative in materia ha contribuito a rendere l'uccellagione e lo strumento del roccolo assolutamente anacronistici.
Così anche qui negli anni il cerchio di alberi è stato liberato da trappole e cespugli, il casotto in muratura che originariamente ospitava il frutto della caccia e la residenza dell'uccellatore si è oggi trasformato in una deliziosa casetta in mezzo al bosco...
... ed entrambi domenica hanno accolto questa banda di amici goderecci, arrivata con tavoli pieghevoli, carretti di verdura fresca dell'orto, banchetti di miele e di grappa artigianali, corde e tavolette di legno da legare ai rami per farne delle altalene, un paiolo gigante per la polenta e dei bei sacchi di castagne asciutte da trasformare in caldarroste...
Una banda di gente felice di condividere, che mi ha regalato una giornata di buonumore perfetto. Siamo rimasti fino all'imbrunire, così non ho avuto tempo per raccogliere un po' di casagne dai ricci sparsi a terra lungo il sentiero. Me ne è rimasta però la voglia, così ecco qui una ricetta confortante, rustica ed autunnale, a base di castagne e patate... che erano entrambe un'altra risorsa preziosissima per l'alimentazione delle popolazioni più povere di collina e montagna (ma questa è un'altra storia...).
Castagne e patate alla grappa
ingredienti per 4 persone:
400 gr. di castagne
600 gr. di patate
2 fette un po' spesse di pancetta affumicata
1 piccolo rametto di sedano con la foglia
3 foglie di salvia
3 bacche di ginepro
1 grosso spicchio di aglio
1/2 bicchierino di grappa
2 cucchiai di olio extravergine leggero
sale
pepe nero al mulinello
Mettere le castagne lavate ed asciugate in una pentola insieme al sedano, a 1 foglia di salvia, a 2 bacche di ginepro e 1 di pepe, coprire con acqua fredda leggermente salata quindi chiudere con un coperchio, portare a bollore e da quel momento calcolare circa 45 minuti di cottura.
Spegnere il fuoco sotto la pentola e, armati di santa pazienza e di dita d'amianto, estrarre dall'acqua le castagne una per volta, sbucciandole e privandole della pellicina mentre le altre restano a bagno (altrimenti diventa difficile fare un buon lavoro senza rovinarle).
Nel frattempo si possono lessare le patate con la buccia in acqua bollente salata per una quindicina di minuti, quindi scolarle, sbucciarle e tagliarle a pezzetti grossomodo dello stesso formato delle castagne. Io le ho cotte a vapore al microonde per 6 minuti già sbucciate e a pezzi.
Ridurre la pancetta a dadini, sbucciare e schiacciare l'aglio e metterli in un tegame (possibilmente di coccio)con l'olio, la salvia ed il ginepro rimanenti, rosolando a fuoco non troppo forte un paio di minuti fino a che il grasso della pancetta si è quasi sciolto.
Versare castagne e patate nel tegame e saltarle a fuoco un po' più vivace fino a che si sono ben insaporite, sfumare con la grappa, lasciarla evaporare e cuocere ancora una decina di minuti, fino a che tutto è bello morbido, quindi regolare di sale e spolverare con un'abbondante macinata di pepe prima di servire.
La stessa base si può usare per una zuppa, cuocendo il tutto un po' più a lungo in modo che si possa facilmente passare allo schiacciapatate, allungando poi con latte caldo (e/o brodo vegetale) e decorando con un po' di pancetta croccante tenuta da parte o con un pugno di riso lesso saltato brevemente con la pancetta fino a diventare dorato.
versione young+easy: usare castagne precotte sottovuoto, così ci si semplifica la vita e si evita la parte più "noiosa" della preparazione...
- rivoli affluenti:
- usi tradizionali delle castagne nella cucina popolare: Simona Maino, Le Castagne, La Spiga/Meravigli
Che ricetta favolosa e originale!
RispondiElimina@iana: più che altro ha proprio un sapore "antico", uno strano fascino d'altri tempi, molto primario e naturale, che riporta vicini alla terra...
RispondiEliminaCome sempre le castagne le amo nei dolci ma questo abbinamento non è "estremo" e mi piace...
RispondiEliminaMi piacciono molto anche le foto: rendono bene l'atmosfera che descrivi.
P.s. Perchè sul camion c'è una bilancia? Era una sorta di sagra dove compravi le cosine e poi le cucinavi lì per lì?
@virò: no no, pochi cuochi hanno lavorato per tutti, mentre chi aveva fornito le materie prime per il pranzo ha allestito anche dei banchetti perchè si potessero acquistare da portare a casa alcuni dei prodotti assaggiati a tavola...
RispondiEliminaBello...tu cosa hai comprato?
RispondiEliminaAdoro sia le patate che le castagne, quindi proverò assolutamente la tua ricetta!
RispondiEliminaB.
@virò: niente! Ero troppo occupata a chiacchierare (e bere grappini!) e mi sono distratta...
RispondiElimina@bunny: e poi fammi sapere...