Kamikaze è un antico termine che significa "vento di Dio" e per i Giapponesi si è sempre riferito ad un provvidenziale tifone che nel 1281 disperse la flotta mongola di Kublai Kahn che cercava di attaccare le loro coste.
Con la Seconda Guerra Mondiale la stampa internazionale diede questo nome a soldati giapponesi, spesso piloti di aerei, che si caricavano di esplosivo e si scagliavano contro obiettivi nemici per essere certi, a scapito della vita, di procurare al bersaglio il maggior danno possibile.
I Giapponesi invece hanno sempre chiamato questi guerrieri tokkōtai, un termine tecnico che significa semplicemente "unità d'assalto speciali". Il collegamento probabilmente deriva dal nome di alcune squadre della Marina Imperiale a cui veniva aggiunto il termine shinpū, che nella grafia kanji contiene un ideogramma che forma anche la parola kamikaze.
Anche di recente, quando il termine si è allargato a definire in generale guerrieri suicidi di ogni nazionalità, prevalentemente motivati da scopi terroristici, i Giapponesi non usano la parola kamikaze, definendo queste persone jibaku tero, letteralmente "terroristi autoesplodenti".
Mi sono chiesta perché in Giappone il termine kamikaze sia usato tanto raramente. Ho scoperto che è composto dalla parola shintoista kami, che significa "divino", e kaze, che vuol dire "vento" ma che è formata a sua volta da ka, "inspirare", e ze, "espirare".
Non so quanto sia etimologicamente corretto, ma è come se kamikaze in pratica significasse proprio "respiro di Dio". Dunque non è un termine che possa essere utilizzato in modo irrispettoso e sarebbe fuori luogo usarlo anche per indicare violenza incontrollata o scopi non inconfutabilmente nobili.
Alcuni giorni fa 139 persone hanno risposto a un invito ed hanno fatto una scelta: indossate tute protettive sono saliti sopra gli autobus predisposti dalla compagnia e sono partiti alla volta di Fukushima. Si tratta dei tecnici e dei pompieri che stanno cercando di salvare la nazione giapponese dal disastro, a forte rischio della propria vita.
Immagino il loro respiro che si alza e si abbassa mentre si prendono eroicamente cura del presente e del futuro dei loro connazionali. Prego ognuno degli infiniti possibili Dei che dall'alto li guradano perché proteggano questo loro respiro da qualsiasi "danno collaterale". Chiedo a nome delle loro famiglie un piccolo miracolo. E non credo di far torto a nessuno pensando con infinita ammirazione a queste 139 persone come a dei kamikaze, perché il loro respiro è innegabilmente il respiro di Dio.
Intanto è iniziata la primavera, sono arrivati i boccioli sopra i rami ed i carciofi sui banchi del mercato. Intanto qui passa qualche nuvola ma sembra non succedere niente. Intanto o non ci si accorge di nulla o ci sente quasi in colpa a respirare. Intanto io cucino. Un altro cibo yoshoku (= mix nippo-occidentale), perché in questo periodo non riesco a preparare pietanze che non abbiano dentro l'anima qualcosa di giapponese.
Carciofi in pastella vagamente tenpura con salsa un pochino okonomi
ingredienti per 4 persone:
3 carciofi
2 cucchiai di aceto bianco
olio di arachidi per friggere
per la pastella:
2 albumi
1 cucchiaio di farina 00
1 cucchiaio di spezie a piacere (qui ho usato ras-el-hanout)
1/2 cucchiaino di semi di sesamo
3 cubetti di ghiaccio
per la salsa:
4 cucchiai di salsa di soja
1 cucchiaio di ketchup
1 cucchiaio di pasta di tamarindo
1/ cucchiaino di zucchero
Mondare bene i carciofi, tagliare i fiori in 8 spicchi ed i gambi ben spelati a bastoncini, mettendoli a bagno in una ciotola di acqua fredda acidulata con l'aceto a mano a mano che vengono pronti.
Miscelare brevemente gli ingredienti della pastella, non importa se si forma qualche grumo, e lasciar riposare coperto fino a che il ghiaccio non si è sciolto, quindi mescolare di nuovo velocemente.
Nel frattempo preparare la salsa di accompagnamento scaldando in un tegamino a fuoco basso tutti gli ingredienti fino a che lo zucchero si è ben sciolto e la miscela tende ad addensarsi; lasciare poi raffreddare e dividere in ciotoline individuali.
Scaldare abbondante l'olio a 180° (e badare che durante la frittura la temperatura resti costante senza salire troppo e senza scendere sotto i 160°); immergere i carciofi nella pastella, scolarli leggermente e tuffarli pochi per volta nell'olio caldo, facendo dorare su tutti i lati, quindi scolare su carta assorbente e tenere in caldo fino a che i carciofi son tutti pronti.
Servire subito caldissimo con la salsa fredda a parte.
Con la Seconda Guerra Mondiale la stampa internazionale diede questo nome a soldati giapponesi, spesso piloti di aerei, che si caricavano di esplosivo e si scagliavano contro obiettivi nemici per essere certi, a scapito della vita, di procurare al bersaglio il maggior danno possibile.
I Giapponesi invece hanno sempre chiamato questi guerrieri tokkōtai, un termine tecnico che significa semplicemente "unità d'assalto speciali". Il collegamento probabilmente deriva dal nome di alcune squadre della Marina Imperiale a cui veniva aggiunto il termine shinpū, che nella grafia kanji contiene un ideogramma che forma anche la parola kamikaze.
Anche di recente, quando il termine si è allargato a definire in generale guerrieri suicidi di ogni nazionalità, prevalentemente motivati da scopi terroristici, i Giapponesi non usano la parola kamikaze, definendo queste persone jibaku tero, letteralmente "terroristi autoesplodenti".
Mi sono chiesta perché in Giappone il termine kamikaze sia usato tanto raramente. Ho scoperto che è composto dalla parola shintoista kami, che significa "divino", e kaze, che vuol dire "vento" ma che è formata a sua volta da ka, "inspirare", e ze, "espirare".
Non so quanto sia etimologicamente corretto, ma è come se kamikaze in pratica significasse proprio "respiro di Dio". Dunque non è un termine che possa essere utilizzato in modo irrispettoso e sarebbe fuori luogo usarlo anche per indicare violenza incontrollata o scopi non inconfutabilmente nobili.
Alcuni giorni fa 139 persone hanno risposto a un invito ed hanno fatto una scelta: indossate tute protettive sono saliti sopra gli autobus predisposti dalla compagnia e sono partiti alla volta di Fukushima. Si tratta dei tecnici e dei pompieri che stanno cercando di salvare la nazione giapponese dal disastro, a forte rischio della propria vita.
Immagino il loro respiro che si alza e si abbassa mentre si prendono eroicamente cura del presente e del futuro dei loro connazionali. Prego ognuno degli infiniti possibili Dei che dall'alto li guradano perché proteggano questo loro respiro da qualsiasi "danno collaterale". Chiedo a nome delle loro famiglie un piccolo miracolo. E non credo di far torto a nessuno pensando con infinita ammirazione a queste 139 persone come a dei kamikaze, perché il loro respiro è innegabilmente il respiro di Dio.
Intanto è iniziata la primavera, sono arrivati i boccioli sopra i rami ed i carciofi sui banchi del mercato. Intanto qui passa qualche nuvola ma sembra non succedere niente. Intanto o non ci si accorge di nulla o ci sente quasi in colpa a respirare. Intanto io cucino. Un altro cibo yoshoku (= mix nippo-occidentale), perché in questo periodo non riesco a preparare pietanze che non abbiano dentro l'anima qualcosa di giapponese.
ingredienti per 4 persone:
3 carciofi
2 cucchiai di aceto bianco
olio di arachidi per friggere
per la pastella:
2 albumi
1 cucchiaio di farina 00
1 cucchiaio di spezie a piacere (qui ho usato ras-el-hanout)
1/2 cucchiaino di semi di sesamo
3 cubetti di ghiaccio
per la salsa:
4 cucchiai di salsa di soja
1 cucchiaio di ketchup
1 cucchiaio di pasta di tamarindo
1/ cucchiaino di zucchero
Mondare bene i carciofi, tagliare i fiori in 8 spicchi ed i gambi ben spelati a bastoncini, mettendoli a bagno in una ciotola di acqua fredda acidulata con l'aceto a mano a mano che vengono pronti.
Miscelare brevemente gli ingredienti della pastella, non importa se si forma qualche grumo, e lasciar riposare coperto fino a che il ghiaccio non si è sciolto, quindi mescolare di nuovo velocemente.
Nel frattempo preparare la salsa di accompagnamento scaldando in un tegamino a fuoco basso tutti gli ingredienti fino a che lo zucchero si è ben sciolto e la miscela tende ad addensarsi; lasciare poi raffreddare e dividere in ciotoline individuali.
Scaldare abbondante l'olio a 180° (e badare che durante la frittura la temperatura resti costante senza salire troppo e senza scendere sotto i 160°); immergere i carciofi nella pastella, scolarli leggermente e tuffarli pochi per volta nell'olio caldo, facendo dorare su tutti i lati, quindi scolare su carta assorbente e tenere in caldo fino a che i carciofi son tutti pronti.
Servire subito caldissimo con la salsa fredda a parte.
Con la pastella rimasta si possono fare delle frittelline (come nella foto qui sotto) oppure la si può friggere facendola cadere a gocce nell'olio caldo e scolandola dopo pochi secondi con una schiumarola. Si ottiene così il tenkasu o agedama, un insieme di croccanti briciole di pastella fritta che nella cucina giapponese si usa in insalate, frittate, zuppe o come ulteriore forma di panatura...
- rivoli affluenti:
- non proprio un libro ma un film/documentario, "semplice" e nemmeno giapponese: Tiziano Terzani, Il kamikaze della pace.
Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi! Però di fronte a quei ragazzi c'è davvero da rimanere ammirati. Grazie per averlo ricordato.
RispondiEliminaLeggevo la notizia ed inevitabilmente pensavo a quella persona che arrestò per un pò l'avanzata dei carri-armati in piazza Tien'anmen. Certamente parliamo di contesti differenti, di situazioni storiche molto distanti tra loro eppure mi pare di scorgere negli occhi la stessa lucida follia di chi mette sul piatto della bilancia la propria vita per un ideale più alto. 'Il loro respiro è innegabilmente il respiro di Dio' (citando te), ma di un Dio culturalmente lontano dal nostro. Non che anche il mondo occidentale non possa contare i suoi eroi ma un approccio così 'sociale' da parte della comunità occidentale è impensabile.
RispondiEliminaIn questo abbiamo molto da imparare. Mi associo quindi alla tua sensibile preghiera facendo altrettanto mia la tua ricetta-pensiero proposta.
@enrico: quanto sarebbe bello non aver bisogno di eroi ma quanto è incoraggiante vedere che al bisogno c'è chi lo è davvero, non come noi persone comuni (mi ci metto proprio in prima persona!) che siamo tanto brave a parlare ma al momento buono riusciamo difficilmente ad andare oltre...
RispondiElimina(PS: complimenti per il libro!!!)
@gambetto: abbiamo avuto anche in Italia eroi così, come dici tu "sociali", in grado di sacrificare il pesronale per la collettività, in tutte le epoche. A volte riconosciuti e celebrati, a volte rimansti anonimi ma sempre autori di grandi gesti di generosità. Diciamo che ultimamente sembra si siano un po' perse le tracce di questo spirito, stiamo a vedere che ci porta il futuro...
Sai che qualche ragazzino ricco e superficiale e egoista, figlio privilegiato di questo sud iniquo, criticava queste persone,questi, che senza retorica puoi definire eroi.
RispondiEliminaPuoi immaginare la mia reazione....
Baci
@glufri: non riesco neppure ad immaginare secondo quale logica quei ragazzetti potessero criticare chi sfida la morte per fare onestamente il proprio lavoro a favore di un'intera comunità!
RispondiEliminaContinuare indisturbati nella loro vita profondamente ignorante credo sia davvero il peggior destino che li possa attendere, da non augurare proprio a nessuno...
Proprio oggi mi è capitato di assistere ad una discussione fra persone che hanno affermato che l'Italia è un paese ormai indifferente a tutto, dove nessun italiano sarebbe disposto ad aiutare persone in difficoltà se non sono in pericolo anche i propri interessi. Quindi leggendo il tuo post, è stato spontaneo chiedermi: quanti italiani farebbero lo stesso?
RispondiEliminaMa in ogni caso, ammiro quelle 139 persone.
PS: ricetta fantastica,la proverò. Anche perché quando vado al ristorante giapponese spesso ordino anche tempura!
Buon weekend
Bellissimo post,bellissima ricetta.Tu continui a viziarci.Sara' banale ma io continuo a ringraziarti. :)
RispondiElimina@andrea: proprio per questo io li ritengo degli di ammirazione, perchè in prima persona non so che farei se mi chiedessero un sacrificio ('che non si può solo parlare di rischio, le consequenze sono praticamente certe!) simile.
RispondiElimina@edith.pilaff: ed io continuo a minacciarti di venire a beccarti a Londra, prima o poi!