Questo blog da anni funziona come una piccola finestra aperta sulla mia realtà. Molto parziale, con poco o niente di privato, ma da qui si sarà comunque capito quanto io sia curiosa di ciò che mi circonda, quanto mi piaccia conoscere le storie che si celano sotto la superficie e quanto io ami scrivere. Se queste passioni convivono in me fin dall'epoca delle medie, poco più tardi si è aggiunta la cucina, subito dopo i viaggi e più avanti il Giappone, ovvero i temi che tratto spesso qui dentro. E che, poco per volta, sono diventati argomento di vita, oltre che di blog (e di vignetta iniziale).
Ed ora tutto questo pandemonio di esperienze è finito dentro un libro: SAHŌ (termine che in mancanza nel font del carattere "Ō" si può scrivere anche SAHOU). Ovvero modi e gesti per gustare al meglio il cibo giapponese (perchè cambiando le modalità ne cambia il sapore!) e per "comportarsi bene" a tavola, così da rispettare cibo, commensali, cuoco, ambiente, eccetera.
Il volume comprende alcuni disegni, diverse ricette, molte storie, tantissimi consigli pratici e anche qualche divagazione. Un libro sulle buone maniere alla tavola giapponese, il primo in Italia, perchè da noi si parla molto (e spesso malamente) di cucina ma praticamente mai di tutto ciò che ci ruota intorno, ovvero della millenaria cultura da cui derivano ogni ingrediente, ogni stoviglia ed ogni gesto.
I numeri dietro questo progetto, che finalmente adesso viene alla luce? Circa trecento giorni di lavoro; duecentocinquantasei pagine, di cui trentadue per un glossario pieno di aneddoti e curiosità; cinquanta utilissimi libri in bibliografia (ne avrei inseriti quasi il doppio ma non ci stavano); ventidue ricette; tredici capitoli; sei argomenti cassati (quanto mi dispiace!); quattro magnifiche illustrazioni un po' manga di Yoshiko Kubota, oltre a quella che qui introduce il post; due dediche, a chi mi ha rivelato il Giappone e a chi mi ha insegnato la buona educazione nella vita. E un ringraziamento a Barbara Carbone di Trenta Editore, tanto folle da darmi fiducia e correre il rischio insieme a me.
Le sensazioni che tutto ciò si porta appresso? Al momento tante, indescrivibili, tutte miscelate. Distinguo con chiarezza solo un sacco di paura, prevalente, perchè un libro costituisce un modo molto ampio di espormi rispetto alle piccole finestre social. Poi un pizzico di orgoglio per esserci arrivata da sola (e, dunque, sono tutti miei anche gli errori in esso contenuti!). E davvero enorme gratitudine all'essere che mi vive a fianco, per l'infinita pazienza con cui mi ha supportato tutti questi anni, compresi gli ultimi impegnativi mesi.
A lui vorrei dedicare la specialità gastronomica da legare a questo post: ovviamente dolce... perché si merita dolcezza, perché è un goloso, e un po' anche perché nel libro ho inserito ricette di ogni tipo, bevande comprese, tranne per i dessert, e chi lo leggerà ne capirà il motivo. Scelgo un dolcetto giapponese tipico di Hokkaido, dove per un paio di secoli le patate hanno supplito alle difficoltà di coltivazione del riso e sono dunque protagoniste di molte ricette.
Questi di oggi sono imo-mochi(芋餅), croccanti fuori e morbidi dentro, in parte dolci ma anche un po' salati: si possono preparare con patate tipo le nostre, in Giappone dette jagaimo (じゃがいも), con patate dolci satsumaimo (薩摩芋) o con taro satoimo (里芋). Jagaimo (che si scrive anche ジャガイモ, con caratteri katakana tipici delle parole straniere) significa "patate di Jakarta", poiché sono arrivate in Giappone dall'Indonesia a fine '500 tramite mercanti danesi. Ritenute all'inizio, come da noi, piante ornamentali dell'esotico Nuovo Mondo, la coltivazione delle patate ad uso alimentare prese piede dall'800 presso gli Ainu e solo con il '900 fu agevolata anche dal Governo. Niente: non riesco a tralasciare un pizzico di storia pure oggi! Ma la chiudo qui*, andiamo in cucina!
芋餅, IMO-MOCHI, DOLCETTI DI PATATE GLASSATI
ingredienti per 2 persone:
300 g di patate (meglio vecchie, come per i nostri gnocchi)
35/50 g di fecola di patate
1 cucchiaio di salsa di soia chiara
1 cucchiaio di mirin (vino dolce di riso)
1 cucchiaio di zucchero di canna
1/2 cucchiaio di olio di arachidi
sale
1/2 foglio di alga nori
Cuocere le patate come spiegato qui, oppure, come ho fatto questa volta, sbucciate, a pezzi, al vapore nel microonde per 10 minuti a 900w. Questo cambierà l'umidità finale dell'impasto, su cui va poi regolata la quantità di fecola.
Passare le patate nello schiacciapatate poi, mentre sono ancora ben calde, aggiungere un pizzico di sale e la fecola, lavorando l'impasto fino a che è completamente assorbita: se sono cotte nell'acqua servirà tutta, se cotte al microonde ne bastano 30-35 g.
Dividere l'impasto in 4 parti e formare con ciascuno una polpetta piatta spessa poco meno di 1 cm, tonde come da tradizione (oppure a fantasia: qui un paio le ho sagomate a foglia e incise sulla superficie con il retro della lama del coltello per disegnarne le venature).
Scaldare l'olio e dorarvi le polpette a fuoco medio fino a che sono ben dorate su entrambi i lati, per circa dieci minuti in totale.
Levarle dal tegame e lasciare poi raffreddare bene le polpette. Intanto preparare la glassa scaldando soia, mirin e zucchero a fuoco bassissimo un paio di minuti, fino a quando assume una consistenza sciropposa. Tenere in caldo o si solidifica.
Spennellarle all'ultimo con la salsa da tutti i lati, meglio su una gratella, in modo che la glassa si solidifichi senza attaccarsi al piatto ma non rovini la croccantezza delle polpette.
Tagliare il foglio di nori in 4 rettangoli uguali e servire gli imo-mochi con il nori a parte, che servirà per impugnarli.
- rivoli affluenti:
- Annalena De Bortoli, Sahō. Ciotole, bacchette e buone maniere sulla tavola giapponese, Trenta Editore, Milano, 2025, ISBN 979-1281-45-3265 (che emozione: un libro mio in bibliografia! E' disponibile da subito sul sito della casa editrice e su Amazon, o in libreria tra qualche giorno)
- * per chi volesse approfondire l'interessante storia degli imo-mochi: qui un articolo sul sito del Ministero Giapponese per l'Agricoltura.
Evviva
RispondiEliminaevviva!!!
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