“Buongiorno Maria, come va oggi?” Il saluto cade, come al solito, nel vuoto. Maria, ma anche Antonietta, Celestina ed Agnese sono tutte lì, sedute quasi in fila a guardare fuori dalla finestra, perse in un mondo incerto, forse al di là del vetro, forse dentro di loro.
Sono anziane, vicine di stanza in questa nuova “casa”, che si dice “di riposo” ma più che altro è di silenzio. Hanno in comune lo stesso malanno, che impedisce loro di ricordare i nomi, i gesti e gli affetti di chi le circonda ora e di chi in famiglia assiste impotente alla loro incapacità di stare nel presente, di ritrovare almeno ogni tanto ad un piccolo istante di lucidità.
Serena, la nuova arrivata, non si lascia però scoraggiare. Ha portato con sé una ventata di entusiasmo e determinazione, insieme all'aria fresca di primo inverno. Molla cappotto e sciarpa, estrae dalla borsa quattro bei grembiuloni a fiori, sacchetti di farina, caraffe e terrine e chiede ad un inserviente di riempire le brocche di acqua tiepida e di portarle su una confezione di sale dalla cucina del refettorio.
Mentre l'altra inserviente, un po' stupita, aiuta le quattro signore a girare le sedie verso il centro della stanza, Serena dispone per bene tutto quanto sul tavolo, libera dalla carta i panetti di lievito, poi porge un grembiule a ciascuna di loro e le esorta:” Su Celestina, infilalo per bene... Attenta Agnese, il nodo si è sciolto... Dai Maria, guarda come ti sei spettinata, ora ti aiuto a ricomporti...”
Le donne inizialmente la ignorano, poi poco alla volta si laciano incuriosire da tutto quel movimento, si allacciano diligentemente i grembiuli e con passo faticoso si avvicinano timorose al tavolo, attratte dai sacchetti di farina. “Oggi facciamo il pane!” annuncia Serena, “Chi di voi mi dice come si comincia?”
Dapprima non succede niente, poi Maria prende coraggio. Non parla, ma intanto versa un po' dell'acqua in una ciotolina e comincia a sbriciolarci il lievito. “Mi dai un cucchiaino?” domanda.
“Ma no, ti ricordi? Devi metterci anche un po' di farina, con solo acqua il lievito non parte...” interviene Celestina, poi prende anche lei in mano un sacchetto di farina, chiedendo aiuto per aprirlo, che le sue mani non sono più forti come una volta.
Agnese tace, guarda l'una e poi l'altra, raccoglie una manciata di farina e comincia a fregarsela sulle mani, come a volrsele lavare con quella polvere morbida che profuma di buono... “Sapete mia sorella Caterina?” dice, “La prima volta che nostra madre l'ha messa a cucinare ha rovesciato tutta la farina a terra!”
Le risponde Maria: “Già, tu non sai cosa ha combinato la mia nipotina Camilla, sì la figlia piccola di mio figlio Pietro: una volta...” Maria racconta, Antonietta ascolta, annuisce, versa l'acqua sopra il cono di farina, sorride. “Forse domenica torna a trovarmi mia nipote Giovanna... magari le conserviamo un pane anche per lei”...
Nasce così il miracolo di Serena, che si è levata il camice da terapeuta, ha immerso le mani nella farina ed ha inventato per le quattro signore una nuova, fragile casa fatta di maniche rimboccate, di mani che impastano sul tavolo, di chiacchiere consapevoli, di ricordi ritrovati grazie ai gesti quotidiani ed alle nuvole di polvere chiara che imbiancano tutto il locale.
Più tardi, a cena, in refettorio viene servito il pane fresco preparato da Agnese, Maria, Antonietta e Celestina, che siedono composte ma hanno già dimenticato. Il pomeriggio, la farina, le nipotine e pure Serena appartengono ad un mondo che è fuori da loro. Sono tornate silenziose ed assorte, ma quel pane, chissa perchè, stasera strappa loro un sorriso. Ha uno strano sapore, quasi di casa...
(Di fatto... ho deciso che per il mio centesimo post stacco dall'eccesso di protagonismo, parlo di altri e "racconto un racconto". Poi ci infilo comunque una ricetta, per caso di ispirazione ligure, quella che al momento per me sa più di pane...)
Sono anziane, vicine di stanza in questa nuova “casa”, che si dice “di riposo” ma più che altro è di silenzio. Hanno in comune lo stesso malanno, che impedisce loro di ricordare i nomi, i gesti e gli affetti di chi le circonda ora e di chi in famiglia assiste impotente alla loro incapacità di stare nel presente, di ritrovare almeno ogni tanto ad un piccolo istante di lucidità.
Serena, la nuova arrivata, non si lascia però scoraggiare. Ha portato con sé una ventata di entusiasmo e determinazione, insieme all'aria fresca di primo inverno. Molla cappotto e sciarpa, estrae dalla borsa quattro bei grembiuloni a fiori, sacchetti di farina, caraffe e terrine e chiede ad un inserviente di riempire le brocche di acqua tiepida e di portarle su una confezione di sale dalla cucina del refettorio.
Mentre l'altra inserviente, un po' stupita, aiuta le quattro signore a girare le sedie verso il centro della stanza, Serena dispone per bene tutto quanto sul tavolo, libera dalla carta i panetti di lievito, poi porge un grembiule a ciascuna di loro e le esorta:” Su Celestina, infilalo per bene... Attenta Agnese, il nodo si è sciolto... Dai Maria, guarda come ti sei spettinata, ora ti aiuto a ricomporti...”
Le donne inizialmente la ignorano, poi poco alla volta si laciano incuriosire da tutto quel movimento, si allacciano diligentemente i grembiuli e con passo faticoso si avvicinano timorose al tavolo, attratte dai sacchetti di farina. “Oggi facciamo il pane!” annuncia Serena, “Chi di voi mi dice come si comincia?”
Dapprima non succede niente, poi Maria prende coraggio. Non parla, ma intanto versa un po' dell'acqua in una ciotolina e comincia a sbriciolarci il lievito. “Mi dai un cucchiaino?” domanda.
“Ma no, ti ricordi? Devi metterci anche un po' di farina, con solo acqua il lievito non parte...” interviene Celestina, poi prende anche lei in mano un sacchetto di farina, chiedendo aiuto per aprirlo, che le sue mani non sono più forti come una volta.
Agnese tace, guarda l'una e poi l'altra, raccoglie una manciata di farina e comincia a fregarsela sulle mani, come a volrsele lavare con quella polvere morbida che profuma di buono... “Sapete mia sorella Caterina?” dice, “La prima volta che nostra madre l'ha messa a cucinare ha rovesciato tutta la farina a terra!”
Le risponde Maria: “Già, tu non sai cosa ha combinato la mia nipotina Camilla, sì la figlia piccola di mio figlio Pietro: una volta...” Maria racconta, Antonietta ascolta, annuisce, versa l'acqua sopra il cono di farina, sorride. “Forse domenica torna a trovarmi mia nipote Giovanna... magari le conserviamo un pane anche per lei”...
Nasce così il miracolo di Serena, che si è levata il camice da terapeuta, ha immerso le mani nella farina ed ha inventato per le quattro signore una nuova, fragile casa fatta di maniche rimboccate, di mani che impastano sul tavolo, di chiacchiere consapevoli, di ricordi ritrovati grazie ai gesti quotidiani ed alle nuvole di polvere chiara che imbiancano tutto il locale.
Più tardi, a cena, in refettorio viene servito il pane fresco preparato da Agnese, Maria, Antonietta e Celestina, che siedono composte ma hanno già dimenticato. Il pomeriggio, la farina, le nipotine e pure Serena appartengono ad un mondo che è fuori da loro. Sono tornate silenziose ed assorte, ma quel pane, chissa perchè, stasera strappa loro un sorriso. Ha uno strano sapore, quasi di casa...
(Di fatto... ho deciso che per il mio centesimo post stacco dall'eccesso di protagonismo, parlo di altri e "racconto un racconto". Poi ci infilo comunque una ricetta, per caso di ispirazione ligure, quella che al momento per me sa più di pane...)
Focaccia con strutto, pesto e prescinseua
Ingredienti per una teglia 30x40:
250 gr. manitoba
250 gr. fraina 00
15 gr. lievito di birra fresco
100 gr. di prescinseua (o mascarpone miscelato a yogurt)
30 gr. di strutto
2 cucchiai di pesto
2 cucchiai di grana grattugiato
50 ml. olio extravergine ligure
sale
Setacciare insieme le farine con un pizzico di sale e versarle nella planetaria, unendovi lo strutto i formaggi ed il pesto.
Sciogliere il lievito in 230 ml. di acqua tiepida, versare sulla farina e lavorare con il gancio a velocità 2 per tre minuti, quindi stendere l'impasto su una teglia rivestita di carta forno e lasciar lievitare chiusa nel forno spento per circa 3 ore.
Miscelare con una frusta l'olio con pari quantità di acqua ed un pizzico di sale, formare nell'impasto delle fossette con la punte delle dita e versare la miscela sulla focaccia, distribuendola uniformemente sulla superficie, lasciando riposare una ventina di minuti.
Nel frattempo portare il forno a 200° (funzione pane, oppure 190°ventilato o 220° statico), infornare la teglia e cuocere per 25 minuti, lasciadno poi intiepidire su una griglia prima di servire.
- rivoli affluenti:
- semplici chiacchiere con un'amica tosta ed alcune letture miste, tra cui: Oliver Sacks, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Adelphi
ecco le mie lacrime sono su quella tavola, in quelle mani lavate con la farina. non so se il tuo sia un racconto inventato o vissuto. così vero comunque che sembra una delle mie giornate prima con mamma e ora con babbo. quando niente se non uno squarcio ogni tanto mi riporta accanto.
RispondiEliminaanche le mie! grazie acquaviva. grazie.
RispondiEliminapaola
complimenti per questa meravigliosa focaccia!!baci!
RispondiElimina@mogliedaunavita/titona/silvia (che tra tutti questi nic mi sembri quasi moltiplicata, mentre sei sempre tu!): è un semiracconto. Nel senso che ho immaginato a modo mio un episodio raccontatomi tempo fa da un'amica terapeuta, una persona che mi sconvolge la vita ogni volta che mi parla del suo lavoro...
RispondiEliminaPoi certo che ognuno ce la ritorva pure dentro una parte del proprio vissuto, l'aderenza esatta o meno alla patologia è relativa.
Ad ogni modo l'unico pensiero che regge è quello che loro sono sempre con te, nonostante nel quotidiano sembri il contrario...
@paola: e le mie lacrime sono con te, se serve.
@federica: ricorda un po' la tua focaccia al mascarpone, che mi era piaciuta molto quando ne avevo letto. Vedi come è piccolo il mondo? Tra golosi ci si ritrova facilmente!
mi faccio una bella confusione da sola, sarà genetica! mi spargo e poi mi raccolgo. non riesco a commentare sempre con lo stesso nik! un modo per sfuggirmi? bel racconto, ma anche bel modo di far terapia.
RispondiElimina@mogliedaunavita: fuggire tra i nomi? Bello! Pensa se ti fossi chiamata "Rosa"...
RispondiEliminaChi dice che gli uomini non possano spremere una lacrimuccia? Ho in mente gli ultimi momenti dei miei. Ora sono liberi. Grazie Acquaviva! Grazie.
RispondiEliminaun post meraviglioso! mi ha fato venire i brividi!!
RispondiElimina@corradoT: sono temi talmente forti e personali che raramente vengono davvero condivisi, nonostante ci tocchino nel profondo...
RispondiElimina@alem: grazie, ogni emozione è un pezzettino di vita vissuta più pienamente.
che bello quando racconti storie!
RispondiEliminaQuesta storia mi ha davvero commosso!
RispondiEliminaE brava Serena che ha trovato la giusta chiave dei ricordi!...un nuovo calore nel cuore di quelle signore!
....serve dirti che la focaccia è meravigliosa...e mi posso immaginare buonissima??? :)
che cattiva questa malattia che ruba i ricordi! Anche per me lacrime salate e un magone grande così! Però i gesti restano quasi congelati e senza memoria. Ma restano! Io ho preparato una sfoglia di pasta con un uovo e 100 g di farina e mentre impastavo furibonda, sfogandomi almeno con l'impasto, mi sono ritrovata a guardarmi le mani che si muovevano libere dalla mia volontà e ripetevano i gesti antichi di chi non ricordavo più fosse ancora insieme a me. E la sfoglia è diventata grande come un 33 giri. Remember microsolco?
RispondiEliminaOT: scambio pinza per eliminare foglie verdi da ogni fragola (!)con impugnatura a fragola, of course, con focaccia ligure...ciao buona settimana
@enrico: io sono molto più affascinata da quelle che citi tu quando spieghi gli ideogrammi cinesi...Mi hai davvero aperto un mondo!
RispondiElimina@terry: "Serena" è un nome d'arte che ho appioppato ad una persona vera... ma da quello che mi dici mi sembra proprio azzeccato!
La focaccia secondo me è venuta buona perchè avevo materie prime liguri favolose, compreso uno strutto fresco fresco preso dal contadino... mammamia, quasi da spalmarselo sul pane tanto era fragrante! Infatti ci sto già lavorando attorno per un altra idea...
@iomilaneselaura: una volta la sfoglia single a 33 giri la voglio veder fare dal vivo, così imparo anch'io da mani abinèli (che cercherei di non scordami, compatibilmente...)
RispondiEliminaGuadra che come dicevo a virò prima o poi la organizzo davvero la bancarella degli occetti più assurdi e poi ne parliamo davvero...
Post delicato e meraviglioso..... mi ha fatto commuovere,per fortuna sono sola in ufficio.... ricetta grandiosa da rifare magari con la mia ciurma.... un'abbraccio Ely
RispondiElimina@ely: certo, per na teglia intera dotarsi di ciurma è meglio... Ma come trovi il tempo di fare tutto?!
RispondiEliminaMa che bello: adesso oltre che con la farina ti sei messa a giocare anche con le parole!
RispondiEliminaCi voleva una svolta per il centesimo post e mi pare anche ovvio che anzichè mettere la candelina su una torta al cioccolato tu la metta su una focaccia!
Comunque..."L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello" l'ho letto e fornisce davvero un mondo di spunti di riflessione, dovrei avere anche "Risvegli" (da cui se non erro hanno anche tratto un film), ora vado a cercarlo...
@virò: che dire? Mi hai beccato! Ma è tanto bello giocare, specie se si sollevano nuvole di farina e di emozioni...
RispondiEliminabel racconto, soprattutto se lo si pensa come invito,come stella polare per la realtà, dove assai spesso gli anziani nei loro ultimi ricoveri non sono sollecitati, ma al contrario lasciati andare nella distrazione e nell'assenza. e non parlo di crudeltà, ma di incompetenza, e questo duole assai. ma ora mi taccio per non sciupare l'atmosfera di speranza che hai sollecitato.
RispondiEliminaquanto ai giapponesi a Roma, ti consiglio una visita da sushisushi, un negozio di cui ho parlato in AAA (trovi lì l'indirizzo), e quattro chiacchiere con la proprietaria gentile, che insieme al marito ha avuto Zen, il ristorante di Prati (è lei che mi ha parlato del ristorante di San Lorenzo).
e della focaccia che dire? :)))
Racconto suggestivo. Entra nella testa così come la farina nelle rughe delle mani che la lavorano. La farina è dura da scrollare bene, per quanto ci si possa lavare accuratamente. Rimarranno sempre traccie sul grembiule, sul pantalone o sulla maglia con le maniche alzate. Ecco. Ho letto il tuo post un paio di giorni fa senza commentarlo...poi mi è rimasto un pò appiccicato indosso in questi giorni ed eccomi qui a dirtelo.
RispondiEliminaMi piace la ricetta. L'uso dell'impastatrice è fondamentale visto l'impasto? Molto bello l'uso del pesto e dello strutto, con grassi complementari ma fondamentali! :))
@artemisia: mancanza di competenza, di interesse, di tempo, di motivazioni. Mancanza di amore. Nei confronti delle persone ma anche del proprio lavoro. Per fortuna non è così per tutti, come l'ispiratrice di Serena dimostra...
RispondiElimina(PS: il negozio jap me l'ero subito appuntato!!!)
@gambetto: grazie, dirmi che le mie parole sono come farina è un bellissimo complimento!
L'impastatrice aiuta ma puoi anche far tutto a mano, basta allungare un po' i tempi di lavorazione della pasta.