Ognuno ha un proprio personale modo di affrontare la vita e di confrontarsi con se stesso. Il mio è scrivere: quando qualcosa non mi è chiaro, quando vivo un'emozione e non ne colgo al volo la ragione, quando non so come comportarmi di fronte ad un evento... prendo una penna e lascio che trascriva per me sulla carta quel che ho dentro.
Come per magia la matassa si dipana, sempre, e trovo la via per re-agire a quella situazione. Ciò soddisfa la mia necessità di razionalizzare tutto, la mia tendenza alla riservatezza ed insieme l'orgoglio, forse un po' malato, di "aver capito" da sola senza l'appoggio o la confidenza altrui. Mi lascia anche libera, una volta compreso, di scegliere liberamente la mia reazione, compresi pigrizia, fatalismo e scazzo, rendendo conto solo a me stessa. Il che è un vantaggio mica da ridere...
Sappiamo tutti, inoltre, che le cose non succedono per caso ma arrivano nelle nostre vite in un certo modo e momento per uno specifico motivo, più o meno recondito, non sempre immediatamente percepibile.
Questa volta a me è arrivato un libro, che ho sullo scaffale da più di vent'anni ma che ancora non avevo aperto, e in questo caso la ragione per cui si è fatto leggere proprio ora mi è apparsa subito evidente: mi serviva in fondo la conferma di non essere la sola a vedere nella scrittura una qualsiasi maniera di stare nel mondo. Così mi è capitato di leggere questo racconto di Marguerite Duras ora.
Cabourg
Era all'estremità della grande diga di Cabourg verso il porto degli yacht. Sulla spiaggia il bambino faceva volare un aquilone cinese come nell'Eté 80. Quel bambino stava fermo dov'era, sempre nello stesso posto. Intorno a lui altri bambini giocavano a pallone. Eravamo piuttosto lontani, sulla terrazza. C'era vento e stava scendendo la sera.
Il bambino era sempre fermo, tanto che la sua immobilità ci è sembrata dapprima insopportabile, poi dolorosa. A forza di scrutare, di scrutarlo, di osservare a fondo la sua immagine abbiamo visto di che cosa si trattava. Il bambino aveva tutte e due le gambe paralizzate, magre come stecchi.
Qualcuno doveva certo passare a riprenderlo. Gli altri bambini se ne stavano andando. Il bambino continuava a giocare con l'aquilone. Qualche volta si dice mi ammazzo, e poi si continua a scrivere.
Qualcuno è probabilmente venuto a riprendere il bambino prima che facesse notte. L'aquilone in cielo segnalava il punto in cui si trovava, non ci si poteva sbagliare.
La ricetta di oggi ha poco di francese o di indocinese, le patrie di Marguerite Duras. Miscela però amaro e aspro con dolce e profumato. Come in quella minuta vita, disperata fragile e orgogliosa e fresca di vento anche nel crepuscolo, che vale sempre la pena di vivere, come di scrivere.
Cime di rapa con salsiccia, arancia e finocchio
Ingredienti per 1 persona come piatto principale, per 2 come contorno, per 4 come assaggio:
250 gr. di cime di rapa
150 gr. di luganega (salsiccia a nastro)
1/2 arancia
una quarantina di semi di finocchio
1 piccolo spicchio di aglio
1 cucchiaio di doppio concentrato di pomodoro
3 cucchiai di vino bianco secco
1cucchiaio di olio extravergine
pepe al mulinello
sale
qualche fettina di pane molto sottile per accompagnare
Spellare la salsiccia e formare con la polpa circa 16 palline poco più grandi di nocciole, inserendo in ognuna un paio di semi di finocchio.
Scaldare l'olio con l'aglio leggermente schiacciato ed i semi di finocchio rimanenti e dorarvi brevemente le polpettine a fuoco medio, quindi levarle dal tegame conservando il fondo di cottura.
Mondare le cime di rapa e cuocerle a vapore per pochi minuti in modo da scottarle, anche in questo caso conservando l'acqua.
Ricavaredall'arancia 4 fettine sottili di scorza e saltare le cime di rapa nel fondo delle polpettine insieme alle scorze per un minuto in modo che si insaporiscano.
Sfumare con il vino bianco, regolare di sale e versare nel tegame il concentrato di pomodoro diluito in mezzo bicchiere dell'acqua della cottura a vapore delle verdure, cuocendo a fuoco basso fino a che le cime di rapa sono belle morbide ed unendo le polpettine durante gli ultimi 5 minuti di cottura.
Nel frattempo tostare leggermente il pane.
Dividere le verdure in ciotole individuali e spruzzare con il succo dell'arancia, distribuirvi quindi sopra le palline di salsiccia ed un cucchiaio del sugo di fondo, spolverizzare con abbondante pepe e decorare con le scorze d'arancia.
Servire ben caldo con una "fogliolina" sottile di pane tostato a testa.
Come per magia la matassa si dipana, sempre, e trovo la via per re-agire a quella situazione. Ciò soddisfa la mia necessità di razionalizzare tutto, la mia tendenza alla riservatezza ed insieme l'orgoglio, forse un po' malato, di "aver capito" da sola senza l'appoggio o la confidenza altrui. Mi lascia anche libera, una volta compreso, di scegliere liberamente la mia reazione, compresi pigrizia, fatalismo e scazzo, rendendo conto solo a me stessa. Il che è un vantaggio mica da ridere...
Sappiamo tutti, inoltre, che le cose non succedono per caso ma arrivano nelle nostre vite in un certo modo e momento per uno specifico motivo, più o meno recondito, non sempre immediatamente percepibile.
Questa volta a me è arrivato un libro, che ho sullo scaffale da più di vent'anni ma che ancora non avevo aperto, e in questo caso la ragione per cui si è fatto leggere proprio ora mi è apparsa subito evidente: mi serviva in fondo la conferma di non essere la sola a vedere nella scrittura una qualsiasi maniera di stare nel mondo. Così mi è capitato di leggere questo racconto di Marguerite Duras ora.
Cabourg
Era all'estremità della grande diga di Cabourg verso il porto degli yacht. Sulla spiaggia il bambino faceva volare un aquilone cinese come nell'Eté 80. Quel bambino stava fermo dov'era, sempre nello stesso posto. Intorno a lui altri bambini giocavano a pallone. Eravamo piuttosto lontani, sulla terrazza. C'era vento e stava scendendo la sera.
Il bambino era sempre fermo, tanto che la sua immobilità ci è sembrata dapprima insopportabile, poi dolorosa. A forza di scrutare, di scrutarlo, di osservare a fondo la sua immagine abbiamo visto di che cosa si trattava. Il bambino aveva tutte e due le gambe paralizzate, magre come stecchi.
Qualcuno doveva certo passare a riprenderlo. Gli altri bambini se ne stavano andando. Il bambino continuava a giocare con l'aquilone. Qualche volta si dice mi ammazzo, e poi si continua a scrivere.
Qualcuno è probabilmente venuto a riprendere il bambino prima che facesse notte. L'aquilone in cielo segnalava il punto in cui si trovava, non ci si poteva sbagliare.
La ricetta di oggi ha poco di francese o di indocinese, le patrie di Marguerite Duras. Miscela però amaro e aspro con dolce e profumato. Come in quella minuta vita, disperata fragile e orgogliosa e fresca di vento anche nel crepuscolo, che vale sempre la pena di vivere, come di scrivere.
Ingredienti per 1 persona come piatto principale, per 2 come contorno, per 4 come assaggio:
250 gr. di cime di rapa
150 gr. di luganega (salsiccia a nastro)
1/2 arancia
una quarantina di semi di finocchio
1 piccolo spicchio di aglio
1 cucchiaio di doppio concentrato di pomodoro
3 cucchiai di vino bianco secco
1cucchiaio di olio extravergine
pepe al mulinello
sale
qualche fettina di pane molto sottile per accompagnare
Spellare la salsiccia e formare con la polpa circa 16 palline poco più grandi di nocciole, inserendo in ognuna un paio di semi di finocchio.
Scaldare l'olio con l'aglio leggermente schiacciato ed i semi di finocchio rimanenti e dorarvi brevemente le polpettine a fuoco medio, quindi levarle dal tegame conservando il fondo di cottura.
Mondare le cime di rapa e cuocerle a vapore per pochi minuti in modo da scottarle, anche in questo caso conservando l'acqua.
Ricavaredall'arancia 4 fettine sottili di scorza e saltare le cime di rapa nel fondo delle polpettine insieme alle scorze per un minuto in modo che si insaporiscano.
Sfumare con il vino bianco, regolare di sale e versare nel tegame il concentrato di pomodoro diluito in mezzo bicchiere dell'acqua della cottura a vapore delle verdure, cuocendo a fuoco basso fino a che le cime di rapa sono belle morbide ed unendo le polpettine durante gli ultimi 5 minuti di cottura.
Nel frattempo tostare leggermente il pane.
Dividere le verdure in ciotole individuali e spruzzare con il succo dell'arancia, distribuirvi quindi sopra le palline di salsiccia ed un cucchiaio del sugo di fondo, spolverizzare con abbondante pepe e decorare con le scorze d'arancia.
Servire ben caldo con una "fogliolina" sottile di pane tostato a testa.
- rivoli affluenti:
- Marguerite Duras, La vita materiale, Feltrinelli.
..quanto hai ragione nel dire che le cose mai accadono per caso e che solo l'Attenzione, portata sulle nostre emozioni in qualsivoglia maniera, tra cui lo scrivere, aiuta a sciogliere, a portare Luce e lenire.
RispondiEliminaLa faccenda del libro, stazionante sullo scaffale da dieci anni e mai letto, accadde anche a me: il mio bambino piccolo ci ha messo mano pochi mesi fa, insistendo "mamma, questo è da leggere" e manco a dirlo, raccontava cose che dieci anni fa non ero in grado di comprendere, ma che oggi mi hanno fatto procedere nel cammino. Un caso? ..mah!
Un abbraccio, a presto!
E il tuo acquilone, che indica sempre che ci sei, che continui a muovere i fili(nonostante tutto)...dicevo:il tuo acquilone cos'è?
RispondiEliminaTu scrivi, io disegno... ed è vero, tutto ha il suo perchè!
RispondiElimina20 anni fa disegnai, senza ragione alcuna, un pescatore con profilo greco, capelli ricci e occhi verdi; 10 anni dopo lo conobbi e adesso è mio marito! Ho ritrovato il disegno, lo avviamo guardato insieme e non ci potevamo credere... il destino, o no..?
oggi è la seconda ricetta dove c'i vedo spuntare l'arancia, grandi contrasti...
besos
Opppsss...togli quelle cq dalla parola aquilone!
RispondiEliminaNon farci caso: la neve nella capitale dopo 25 anni mi ha causato un attacco di delirium nevens!
@cinzia: quando scrivi Attenzione e Luce maiuscole hai detto tutto. Che dici, potremmo scrivere maiuscolo anche Libro, no?
RispondiElimina@virò: il mio aquilone al momento è a terra, non ci tengo molto a farmi trovare.
(Non ti preoccupare, so che la neve gioca scherzi anche più strani che un cq di troppo)
@mai: ma la storia che racconti è fantastica!
E' emozionante. Parli di libri che ti chiamano da uno scaffale dopo anni di stazionamento invisibile ed io di certi post in cui capiti dentro con tutte le scarpe e che ti fanno pensare a come, chiamalo fato, fatalità o piu banalmente coincidenza, la nostra vita sia tutta un rispondere a chiamate misteriose. Forse sono arrivata ad un momento della mia crescita in cui non posso che credere che tutto accada per una ragione precisa, solo che la ragione la scopro piu' tardi, quando il dolore o la gioia hanno sedimentato dentro di me. E' sempre un gran piacere leggerti. Mi ha anche emozionato la storia di Mai. Ti abbraccio, Pat
RispondiElimina@patty: anche io capisco sempre dopo. Probabilmente serve ad imparare l'accettazione. Ti abbraccio anch'io.
RispondiEliminaEh, si capisce sempre dopo, perché durante il percorso si è troppo presi da altro per poterne vedere i risultati.
RispondiElimina:-)
RispondiElimina@muscaria: credo che funzioni bene proprio per quello. L'iventore l'ha strutturate bene: prima vivi, poi cerca di capire.
RispondiElimina@libera: lo so che tu lo sai.