Di tutte le poesie imparate a memoria nel corso del mio iter scolastico (e già, appartengo alla generazione in cui la cosa sembrava avere un senso...) ne ricordo per intero solo due, entrambe casualmente, curiosamente "stagionali".
Una per la verità l'avrebbe dovuta studiare mia sorella ma alla fine, dopo averla aiutata per un pomeriggio intero a provarla e riprovarla, ho finito per saperla meglio di lei. E così la rondine che moriva tornando al tetto nel Dieci agosto di Pascoli non se ne è più andata dal mio cuore e dalla mia memoria e continua a commuovermi ogni anno sotto le stelle cadenti di San Lorenzo.
La seconda poesia invece sgorga oggi perché la luna sorrideva nelle scorse notti in un cielo nero e terso, mentre un'aria più mite del solito metteva voglia di leggerezza. Ora sono tornati il freddo e i grigi a fare da sfondo ai piccoli germogli sui rami delle piante e la cosa mi fionda esattamente al centro di un modo ancora bambino di vivere le stagioni, quando ci si credeva che esistesse un rapporto con la natura e un senso nelle ricorrenze stagionali. Quando il piacere di preparare un lavoretto per i genitori era un tutt'uno con l’impegno nel riuscirci per bene e con la piena convinzione della bellezza dell’oggettino in sé, senza nemmeno la consapevolezza della bellezza intrinseca invece nel gesto.
I miei genitori conservano ancora su una mensola polverosa un cestino in pannolenci verde con dentro due pulcini fatti con ponpon di lana gialla, il mio lavoretto di Pasqua di quando vedevo la vita dolce e tranquilla, scandita da riti ciclici che rassicuravano e proteggevano e non mi domandavo il senso di ogni cosa. Sono grata ai miei per non aver mai smesso di insegnarmi, con quel cestino in bella vista, quanto l’amore di un genitore possa essere eterno e di ogni istante.
Due cose mi hanno riportato ieri a quello stato di grazia innocente, entrambi flashback potentissimi sulla delicatezza del sentire d’infanzia. Per cominciare ho trascorso un pomeriggio a casa di persone bellissime a decorare delle uova pasquali, da donare agli amici più cari e da mettere a disposizione di un mercatino di beneficenza.
Come non bastasse ho poi ricevuto una telefonata dai miei genitori e, nel chiudere la comunicazione, mio padre mi ha salutato come faceva quando ero davvero piccolissima e forse non c’erano nemmeno i miei fratelli, con un nomignolo che pensavo dimenticato davvero da decenni, nato credo da qualche interpretazione familiare del dialetto veneto. Chissà come gli è sgorgata dal cuore quella tenerezza tanto lontana.
Con questo tuffo potentissimo in un’emotività infantile profondamente ricca di leggerezza, con il ticchettio costante della pioggia su tetto della mia casa, con questi ovetti colorati in mano spunta un indescrivibile sensazione di coccole delicate. Amo la fragilità di certi istanti.
E questa sarà una mattina di silenzio e di istanti, tra il picchiettare della pioggia in sottofondo, il semplice aroma di una tazza di camomilla fumante, i sospiri leggeri della cipolla che si strugge sul fuoco e che più tardi diventerà risotto.
Per la camomilla non ho dei bei fiori in casa però, solo il rimasuglio dimenticato di una casa e di una vita precedenti, intermedie tra la mia infanzia e la persona che sono ora. E questa scatoletta semivuota di camomilla in bustine ad un tratto mi parla: mentre scalda il brodo chiarissimo di verdura per il riso fisso queste bustine anonime e penso che hanno diritto a diventare un profumo. Così ne intingo una nel brodo caldo e spengo.
Il resto diventa una ricetta: imposto il risotto normalmente e verso brodo alla camomilla, lasciando la bustina nel risotto fino alla fine. Poi boccioli essiccati di rosa per addolcire il profumo un pochettino più amaro della camomilla e per una punta di colore delicato, e un pizzico di pepe bianco, per ricordarci di esistere. E di non essere più bambini nonostante la pioggia e le poesie.
Risotto alla camomilla e petali di rosa
ingredienti per 2 o 3 persone:
150 gr. di riso (qui Carnaroli di Codigoro)
1/2 cipolla
circa mezzo litro di brodo leggerissimo di verdura
1 bustina di camomilla
1/2 cucchiaio di petali di rosa essiccati
1 bicchierino di vino bianco secco
15 gr. di burro
2 cucchiai di grana padano grattugiato
sale
pepe bianco al mulinello
Tritare la cipolla; scaldare il brodo fino a che sobbolle, quindi spegnere ed immergervi la bustina di camomilla, lasciando in infusione un paio di minuti.
Sciogliere 5 gr. di burro e tostarvi il riso fino a quasi comincia a colorire.
Sfumare con il vino, quindi coprire a filo con il brodo ed adagiarvi la bustina di camomilla.
Cuocere a fuoco medio per circa 15 minuti, rimestando ogni tanto ed unendo altro brodo quando il riso si asciuga.
Levare la bustina, versare nel riso i petali di rosa, unire il formaggio ed il resto del burro, regolare se serve di sale, spegnere il fuoco e lasciar riposare il risotto per un paio di minuti.
Mescolare ancora bene e servire, spolverando leggermente con il pepe bianco.
Una per la verità l'avrebbe dovuta studiare mia sorella ma alla fine, dopo averla aiutata per un pomeriggio intero a provarla e riprovarla, ho finito per saperla meglio di lei. E così la rondine che moriva tornando al tetto nel Dieci agosto di Pascoli non se ne è più andata dal mio cuore e dalla mia memoria e continua a commuovermi ogni anno sotto le stelle cadenti di San Lorenzo.
La seconda poesia invece sgorga oggi perché la luna sorrideva nelle scorse notti in un cielo nero e terso, mentre un'aria più mite del solito metteva voglia di leggerezza. Ora sono tornati il freddo e i grigi a fare da sfondo ai piccoli germogli sui rami delle piante e la cosa mi fionda esattamente al centro di un modo ancora bambino di vivere le stagioni, quando ci si credeva che esistesse un rapporto con la natura e un senso nelle ricorrenze stagionali. Quando il piacere di preparare un lavoretto per i genitori era un tutt'uno con l’impegno nel riuscirci per bene e con la piena convinzione della bellezza dell’oggettino in sé, senza nemmeno la consapevolezza della bellezza intrinseca invece nel gesto.
I miei genitori conservano ancora su una mensola polverosa un cestino in pannolenci verde con dentro due pulcini fatti con ponpon di lana gialla, il mio lavoretto di Pasqua di quando vedevo la vita dolce e tranquilla, scandita da riti ciclici che rassicuravano e proteggevano e non mi domandavo il senso di ogni cosa. Sono grata ai miei per non aver mai smesso di insegnarmi, con quel cestino in bella vista, quanto l’amore di un genitore possa essere eterno e di ogni istante.
Due cose mi hanno riportato ieri a quello stato di grazia innocente, entrambi flashback potentissimi sulla delicatezza del sentire d’infanzia. Per cominciare ho trascorso un pomeriggio a casa di persone bellissime a decorare delle uova pasquali, da donare agli amici più cari e da mettere a disposizione di un mercatino di beneficenza.
Come non bastasse ho poi ricevuto una telefonata dai miei genitori e, nel chiudere la comunicazione, mio padre mi ha salutato come faceva quando ero davvero piccolissima e forse non c’erano nemmeno i miei fratelli, con un nomignolo che pensavo dimenticato davvero da decenni, nato credo da qualche interpretazione familiare del dialetto veneto. Chissà come gli è sgorgata dal cuore quella tenerezza tanto lontana.
Con questo tuffo potentissimo in un’emotività infantile profondamente ricca di leggerezza, con il ticchettio costante della pioggia su tetto della mia casa, con questi ovetti colorati in mano spunta un indescrivibile sensazione di coccole delicate. Amo la fragilità di certi istanti.
E questa sarà una mattina di silenzio e di istanti, tra il picchiettare della pioggia in sottofondo, il semplice aroma di una tazza di camomilla fumante, i sospiri leggeri della cipolla che si strugge sul fuoco e che più tardi diventerà risotto.
Per la camomilla non ho dei bei fiori in casa però, solo il rimasuglio dimenticato di una casa e di una vita precedenti, intermedie tra la mia infanzia e la persona che sono ora. E questa scatoletta semivuota di camomilla in bustine ad un tratto mi parla: mentre scalda il brodo chiarissimo di verdura per il riso fisso queste bustine anonime e penso che hanno diritto a diventare un profumo. Così ne intingo una nel brodo caldo e spengo.
Il resto diventa una ricetta: imposto il risotto normalmente e verso brodo alla camomilla, lasciando la bustina nel risotto fino alla fine. Poi boccioli essiccati di rosa per addolcire il profumo un pochettino più amaro della camomilla e per una punta di colore delicato, e un pizzico di pepe bianco, per ricordarci di esistere. E di non essere più bambini nonostante la pioggia e le poesie.
ingredienti per 2 o 3 persone:
150 gr. di riso (qui Carnaroli di Codigoro)
1/2 cipolla
circa mezzo litro di brodo leggerissimo di verdura
1 bustina di camomilla
1/2 cucchiaio di petali di rosa essiccati
1 bicchierino di vino bianco secco
15 gr. di burro
2 cucchiai di grana padano grattugiato
sale
pepe bianco al mulinello
Tritare la cipolla; scaldare il brodo fino a che sobbolle, quindi spegnere ed immergervi la bustina di camomilla, lasciando in infusione un paio di minuti.
Sciogliere 5 gr. di burro e tostarvi il riso fino a quasi comincia a colorire.
Sfumare con il vino, quindi coprire a filo con il brodo ed adagiarvi la bustina di camomilla.
Cuocere a fuoco medio per circa 15 minuti, rimestando ogni tanto ed unendo altro brodo quando il riso si asciuga.
Levare la bustina, versare nel riso i petali di rosa, unire il formaggio ed il resto del burro, regolare se serve di sale, spegnere il fuoco e lasciar riposare il risotto per un paio di minuti.
Mescolare ancora bene e servire, spolverando leggermente con il pepe bianco.
- rivoli affluenti:
- Angiolo Silvio Novaro, Che dice la pioggerellina di marzo?, (anni '40 credo, non conosco la fonte precisa)
- Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro
ornati di gèmmule d’oro?
Passata è l’uggiosa invernata,
passata, passata!
Di fuor dalla nuvola nera,
di fuor dalla nuvola bigia
che in cielo si pigia,
domani uscirà Primavera
guernita di gemme e di gale,
di lucido sole,
di fresche viole,
di primule rosse, di battiti d’ale,
di nidi,
di gridi,
di rondini ed anche
di stelle di mandorlo, bianche…
Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto, sul fico e sul moro ornati di gèmmule d’oro?
Ciò canta, ciò dice:
e il cuor che l’ascolta è felice.
Che dice la pioggerellina
di marzo, che picchia argentina
sui tegoli vecchi
del tetto, sui bruscoli secchi
dell’orto. - Giovanni Pascoli, "X agosto", in Myricae, 1890.
Che bel post, davvero piacevole e con atmosfere condivisibili, ognuno riportandola alla propria esperienza.
RispondiEliminaAnche io ho provato i fiori di camomilla in un piatto, nel risotto ancora no.
Aspettiamo quella rondine che è quasi primavera!
ciao loredana
Ohhhh anche io avevo fatto i pulcini con la lana. Ma nella nostra vita nomade si sono persi, come tante altre cose, anche se mia madre ha salvato il possibile dai naufragi. Mia figlia gioca con delle mie bambole,ci sono i libri roselline e quelle delle poesie di pascoli..
RispondiEliminaLa pioggia argentina l'ho talmente dentro che l'ho presa alla lettera..
Post commovente, quasi generazionale.
E poi anche il risotto é gluten free. Insomma commozione e tenerezza di un lunedí mattina. E un po' di senso della vita. Grazie
con un post così dolce nulla è più adatto di questo fantastico risottino.
RispondiElimina@loredana: aspettare la primavera è proprio parte di quella magia delicata in cui mi sono trovata immersa come d'improvviso.
RispondiElimina@glu.fri: be', "la pioggia argentina" detto da te suona tutta diversa! Il post è DECISAMENTE generazionale! Grazie a te.
@roberta: grazie...
Che bellissimo post, mi sono rilassata, commossa ed ingolosita :) Anch'io sto aspettando la primavera in grazia, ho voglia di leggerezza!Questo risotto è davvero interessante, complimenti!
RispondiEliminaBellissime le sensazioni del tuo post! Scandiscono spesso i nostri ricordi di bambini e le coccole e le cadenze di un'infanzia spensierata ci aiutano a superare una giornata più dura delle altre o solo un momento di crisi.
RispondiEliminaPeccato non si tenda più ad insegnare poesie a memoria agli scolari... e fortuna che l'insegnante di mio figlio sia una perla rara.
Strana ed intrigante la tua proposta di sposare la camomilla al risotto. Mi piace cucinare con i fiori ma la camomilla così non l'avevo mai guardata.... ;-)
Grazie e buona giornata(o serata, vista l'ora)
Nora
I tuoi post sono sempre due cazzotti. Il primo diretto alla parte più fragile delle persone quali siamo...il secondo alla mia arcaica concezione di cucina. Solitamente in me prevale uno dei due aspetti, questa volta no...tuttavia cnosiderando che un risotto alla camomilla "proprio nun gliela fò!" ahahahhaaha vado a rileggermi la prima parte per rafforzare quel sorriso lento che mi hai fatto spuntare la prima volta che l'ho scorso :)
RispondiElimina@meggy: la leggerezza dello sguardo da bambini è quello che in certi momenti riesce davvero a salvarci...
RispondiElimina@tatanora: non so dirti se è merito del metodo educativo di allora o cosa, ma a me la curiosità verso la poesia è rimasta dentro e mi ritrovo spesso a cercare quei componimenti che la mia memoria non ha trattenuto ma sono dentro il mio cuore e chiedono di essere riassaporati.
La bustina di camomilla nel brodo è stato un gesto davvero spontaneo, credo l'atmosfera delicata del momento abbia avuto il suo ruolo...
@gambetto: verrà la volta che mangeremo insieme e cucinerò io... vediamo poi quanto si lascia solleticare l'arcaicità dei tuoi limiti strutturali! E dico sul serio. Per esempio se ti dico che sono in zona attorno al 20-22 aprile la prendi come una minaccia?
"i sospiri leggeri della cipolla che si strugge sul fuoco " assolutamente delizioso...La pioggerellina di marzo l'ho studiata anch'io a memoria!
RispondiEliminaLo stesso tuffo al cuore che hai avuto tu con quel "Ciao petèl" l'ho avuto anch'io ma per il motivo contrario, dal momento che scelte non condivise hanno asciugato gli impeti di tenerezza paterna nei miei confronti, ormai ricordi davvero lontani.
RispondiEliminaUno pensa di essere ormai vaccinato, autonomo ed impermeabile a certe cose ed invece, mannaggia a te, mi hai fatto male...
Vado a bermi una camomilla, che tanto nel mio risotto mi sa che non ci finirà mai!
@enrico: incredibile secondo me come si ricordano meglio le cose imparate quando non si aveva consapevolezza...
RispondiElimina@virò: tagli netti imperdonabili lasciano ferite insospettate anche ai personaggi lateali delle vicende e condizionano la spontaneità dei rapporti in tutte le direzioni.
Secondo me ora spuntano alcuni barlumi perchè la vecchiaia mina in qualche modo inconsapevole la stupida volontà di controllo.