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Red Velevt Cake, storie americane, rane ed alligatori

Nel lontano 1996 il giorno del mio compleanno ero in Florida con un gruppetto di amici. Il giorno precedente avevamo perlustrato una zona paludosa delle Keys a bordo di piccole canoe, ci eravamo persi in mezzo alle mangrovie, ci eravamo incagliati nelle piante acquatiche, eravamo stati sfiorati da un cucciolo di alligatore, che per fortuna ci aveva ignorato continuando a nuotare per fatti suoi, ed avevamo evitato di farci divorare dalle agguerritissime zanzare locali spruzzandoci, su consiglio dell'affittabarche, con olio da bagno spray...

Per il compleanno i miei compagni d'avventura pensarono di farmi una sorpresa "a tema" e a fine cena comparve sulla tavola una torta. Era tutta verde squillante, con sopra modellata una ranocchia sorridente (sembra che gli alligatori fossero finiti) seduta sopra foglie marroni di palude e fiori in vari toni di giallo fosforescente. So che ora, dopo quintalate di trasmissioni televisive sulle torte superdecorate dei pasticceri americani, la cosa può anche sembrare normale, ma in quel momento per me non lo fu!

I colori della copertura erano tanto artificiali che quasi temevamo di assaggiarla; l'impasto della torta era così uniforme da sembrare gommapiuma e la crema di farcitura era talmente dolce che anche chi aveva osato tagliarsene una fetta ne lasciò la maggior parte nel piatto.

Per la verità non è stata negli anni l'esperienza alimentare più scioccante che ho avuto negli Stati Uniti, ma di sicuro quella torta verde pisello rimase nei miei pensieri un bel po' e fu una delle ragioni che mi spinse ad approfondire la conoscenza della cucina americana, alla ricerca di un senso che restituisse proporzione al tutto e contribuisse ad equilibrare queste manifestazioni gastronomiche che agli occhi di una profana apparivano davvero come eccessi...

Da allora è passata tanta acqua sotto i ponti (per fortuna sempre priva di alligatori!) e la curiosità nei confronti della cucina americana è diventata una delle mie passioni, anche se sono rimasta sempre un pochino diffidente verso un certo loro tipo di pasticceria, con cui non sono mai riuscita a scendere a patti. Per questo mi sono estasiata quando per l' MTC di febbraio 2013 è stata proposta una torta americana, la Red Velvet Cake in versione gluten free, ad opera di Stefania di Cardamomo & Co.
Perché Stefania è andata a cercare una delle torte storiche, di quelle con l'impasto "buono" e sensato, per niente finta, la cui copertura è stata negli anni molto bistrattata dal succedersi delle varie mode americane ma che in origine aveva anch'essa un suo vero e potente perché...

E poi, a rendere ancora più intrigante la sfida, la proposta di entrare accuratamente nel mondo della cucina per celiaci e contemporaneamente in quello dello sweet tooth americano, quel gusto per tutto ciò che è esageratamente dolce e spesso esageratamente decorato. E venire a patti con entrambi gli enigmi.

Rispetto al tema celiachia ho subito deciso di ricostruire secondo le regole del gluten free anche la crema per il completamento della torta, quella che era la copertura originale delle prime versioni di Red Velvet negli anni '20, per confrontarmi con le stesse difficoltà che ha avuto Stefania nel selezionare le farine per l'impasto e rimanere centratissima sulla storia.

Per quanto riguarda lo stile americano ho cominciato infischiandomene di tutti i ragionamenti sulla salubrità o meno dei coloranti, sulla scorta del ragionamento che, per una come me che tende ad utilizzare sempre prodotti di stagione e insieme a cercare l'originalità dei sapori e delle tecniche anche quando si parla di cibi etnici, semel in anno...

Tra l'altro, leggende a parte, il colore definitivo alla vera Red Velvet Cake è stato dato non da un pasticcere o da una casalinga ma, come spiego qui, da un fabbricante di coloranti... ecco che la mia posizione è storiograficamente parlando ampiamente giustificata.

Non avendo assolutamente tempo in questo periodo ho rinunciato a produrmi il latticello in casa (nonostante fare il burro sia una tradizione di famiglia ed in cantina ci siano tanto di zangola di legno e stampi vari...) ed ho optato per il latte acido già pronto, che a seconda del negozio di alimenti etnici a cui ci si rivolge viene venduto sotto il nome di kefir o di labna.

Avevo in casa anche tutti gli altri ingredienti... tranne il colorante in polvere, che ho voluto aggiungere a quello liquido per una maggiore garanzia di reddish e per essere sicura che tra liquido e secco in qualche modo si non alterassero gli equilibri di umidità dell'impasto. Per la farina di riso (che nella mia dispensa era quella cinese di riso glutinoso che mi serve per i congee veloci e per vari dolcetti orientali) non mi sono fidata ed ho cercato una farina che riportasse sulla confezione la spiga barrata, a garanzia dell'assenza di glutine.
Per quanto riguarda la parte libera del tema, ovvero la farcitura/copertura, come dicevo ho preferito evitare lo sweet tooth più estremo e mi sono rivolta alla tradizione americana, che in origine prevedeva una crema cotta, soprattutto perché trovo interessante provare a proporre una Red Velvet in versione gluten free nella sua originale completezza.

Ho chiesto però ad una conoscente celiaca che mi aiutasse a evitare grossolani errori nella sostituzione della farina di frumento, perché rispetto troppo il problema e lo conosco troppo poco per avventurarmi in esperimenti che possano mettere a repentaglio la salute di qualcuno.

Per la verità le ho chiesto lei cosa usasse per la besciamella... e mi ha consigliato la farina di riso, rispetto all'amido di mais a cui avevo pensato io, che invece conferirebbe alla crema finale un effetto vagamente gelatinoso. E devo dire che durante la preparazione della farcitura il profumo di riso cotto che si è sviluppato sopra il pentolino (poi completamente sparito nel sapore della crema) è stato per me un ulteriore piacere nel piacere. Un personale tocco di rassicurante aroma orientale tra tutte queste (a me) sconosciute alchimie celiaco-statunitensi...

E così sono partita a sperimentare la copertura tradizionale della Red Velvet, che in americano ha tanto nomi diversi: boiled frosting, cooked icing, mock buttercream, Ermine frosting, boiled milk, butter roux frosting, cooked flour, cloudburst frosting... La sostanza è sempre la stessa: una crema   che si gonfia attorno ad una base cotta, bianca e morbida, facile, gustosa e facilmente spalmabile.

Nasce negli anni '20, in piena Depressione Economica, a maggior ragione dunque una versione da rivalutare in questi momenti... A differenza delle classiche coperture della pasticceria americana, è golosissima ma povera di ingredienti costosi, cosa importante sia durante gli anni della Grande Depressione che in seguito, durante la Seconda Guerra mondiale, quando ad esempio burro e zucchero erano razionati.

Ha il vantaggio di avvicinarsi di più al mio gusto rispetto alle creme al burro perché resta decisamente più leggera e molto meno dolce. E' profumabile con qualsiasi aroma (per gli Americani i più comuni sono: burro d'arachidi, sciroppo d'acero, cocco in polvere, gelatine colorate, estratto di mandorla, aroma di caramello ed altri sapori tra i più disparati...) e se ne può regolare la consistenza modificando la dose della farina. Si conserva benissimo in frigo e può anche essere congelata, l'unica accortezza è di lasciarla a temperatura ambiente per un'oretta prima del consumo, perché il burro si riammorbidisca e la crema ritorni fluffy.

Stefania suggerisce di aromatizzare e decorare la crema con dei lamponi però... davvero non ce l'ho fatta: passi il colorante sintetico che ha una sua ragione storica, ma i lamponi a febbraio a Varese, dove fino a due giorni fa ancora nevicava, mi perdonerà Stefania, proprio non li riesco ad immaginare!

Ho deciso allora di integrare la farcitura interna con una forma di frutta rossa alternativa sia ai lamponi freschi che ai preparati americani ed ho ripescato un sapore classico della mia infanzia: una confettura di fragole e rabarbaro. E' di produzione casalinga, quindi non proprio rossa rossa, così l'ho addizionata di due gocce di colorante liquido... per correggere un po' il tiro in senso americano.

Ho lasciato invece l'esterno candido e un po' spumoso, un effetto "orsacchiotto" da decorare con (vere!) violette candite, confettini argentati (ingredienti controllati: amido di riso, gomma arabica e colorante E174) e un po' di zucchero colorato. Mantenere all'esterno delle tinte delicate ha aumentato al momento del taglio l'effetto emotivo del drammatico contrasto tra l'aspetto esteriore e quello interno. Questo non solo ripercorre la vera storia della Red Velvet, ma in qualche modo mi compensa dell'antico shock della torta/rana dal verde quasi inguardabile fin dalla prima occhiata!

Da ultimo mi sono divertita a sviluppare in altezza il concetto di layer cake, perché volevo che la fetta presentata in verticale ricordasse quei bellissimi grattacieli americani anteguerra...
Così ho rimpicciolito la dimensione degli stampi usando delle tegliette da 10 cm.; ho preferito non modificare le dosi dell'impasto consigliate da Stefania per evitare il riproporzionamento delle farine gluten free che conosco poco. E poi non sono una golosa, quindi non mi interessava in realtà ricavare una torta gigante, mi bastava fosse alta.

Le tortine da 10 cm. da cotte erano alte circa 3 cm., quindi le ho potute tagliare in tre strati. Ho composto la mia Red Velvet a sei piani usando solo due tortine. (Invece di produrre una Red Velvet gemella ho ritagliato con un coppapasta a cuoricino le altre, le ho ricoperte di ghiaccia di zucchero a velo e limone e sono diventate dei pasticcini di San Valentino, ovvero Red Velvet in storia recente, che hanno poi seguito un destino diverso da questo blog...)

Dopo giorni di elucubrazione la realizzazione della Red Velvet in realtà è stata semplice. Istruzioni accurate, idee chiare ed ingredienti sotto mano vogliono dire tanto! Mi sono accorta solo a posteriori, tagliando la torta oramai in tavola, che gli strati impilati erano solo cinque! Non me lo so spiegare... il sesto se lo sarà mangiato un alligatore di passaggio o la rana verde pisello?
Gluten Free Vertical Red Velvet Cake con "Ghiaccia Cotta" Tradizionale e Confettura di Fragole e Rabarbaro

ingredienti per l'impasto di due torte a 6 strati da 10 cm. di diametro:
160 gr. di farina di riso (Vital Nature)
60 gr. di fecola di patate (San Martino)
30 gr. di Amido di mais (Maizena)
8 gr. di cacao (Solidal Coop)
10 gr. di colorante rosso in polvere (Rebecchi)
2 cucchiai di colorante rosso liquido (Rebecchi)
110 gr. di burro
300 gr. di zucchero semolato un po' fine (Zefiro)
3 uova medie
220 ml. di kefir
1 cucchiaino di aceto bianco (home made)
1 cucchiaino di bicarbonato
1 cucchiaino di estratto di vaniglia (home made, questa)
1 pizzico di sale

ingredienti per la "ghiaccia cotta" per farcire e rivestire una delle torte:
30 gr. di farina di riso (come sopra)
250 ml. di latte intero
220 gr. di burro
220 gr. di zucchero semolato (come sopra)
1/2 cucchiaino di estratto di vaniglia (come sopra)
1 pizzico di sale (in teoria si potrebbe osare con del burro salato...)

ingredienti per completare la decorazione:
2 cucchiai abbondanti di confettura di fragole e rabarbaro (home made)
2 cucchiai di zucchero semolato un po' grosso
1/2 cucchiaino di colorante rosso liquido (come sopra)
4 violette candite
1/2 cucchiaio di confettini argentati

Per l'impasto portare il burro a temperatura ambiente (o scaldarlo nel microonde a 900 w per 20 secondi, lasciarlo riposare un minuto e lavorarlo con una forchetta perché si riduca in pomata); diluire il kefir con 20 ml. di acqua ed unirvi il colorante liquido e l'estratto di vaniglia; setacciare un paio di volte insieme le tre farine con il cacao, il colorante in polvere ed il pizzichino di sale; accendere il forno a 175° statico.

Montare il burro con una frusta elettrica o nella planetaria per almeno 3 minuti, unire lo zucchero e sbattere per altri 2 minuti, fino a che è tutto bello gonfio e spumoso.

Unire un uovo per volta attendendo che il primo sia ben incorporato prima di aggiungere il secondo.

Senza smettere di mescolare unire un po' del mix di farine, poi un po' di kefir e continuare così fino al termine degli ingredienti; si ottiene un impasto uniforme, un po' violaceo, dalla consistenza poco più densa della panna liquida.

Bagnare della carta forno, strizzarla bene e foderarvi le tegliette (indispensabile, come nel mio caso, per degli stampi a cerniera; per tortiere tradizionali meglio imburrare e passare un velo di farina di riso).

Versare l'aceto in una tazza e unirvi il bicarbonato setacciato: si formerà una schiuma ribollente che va unita immediatamente all'impasto, mescolando velocemente perché si incorpori bene (come succede anche in questa torta russa!).

Distribuire l'impasto nelle teglie, infornare a mezza altezza e cuocere per circa 40 minuti (lo stecchino deve uscire ancora leggermente umido); lasciar riposare le tegliette su una gratella per una decina di minuti quindi levare dagli stampi e far completamente raffreddare le tortine lasciandole capovolte sulla gratella. Per facilitarne il taglio a strati la pasta deve essere bella compatta, quindi meglio avvolgere le tortine in pellicola e lasciarle in frigo qualche ora. Io le ho tagliate e farcite il giorno dopo.

Versare i 2 cucchiai di zucchero per la decorazione in un sacchettino di plastica per alimenti, unirvi 2 gocce di colorante, chiudere bene e sprimacciare lo zucchero con le mani perché si imbeva bene di colore; quando è diventato di un rosa uniforme aprire il sacchetto e lasciar asciugare bene lo zucchero, maneggiandolo di tanto in tanto perché non si rapprenda.

Per la farcitura setacciare la farina di riso e mescolarla a freddo in un pentolino con il latte, salare leggerissimamente e cuocere a fiamma media mescolando continuamente con una frusta fino a che il latte prende bollore e la crema si rapprende; è un processo abbastanza veloce, basta meno di un minuto dal bollore e la crema è di fatto solida al punto giusto.

Versare la crema in una ciotola e lasciarla riposare fino a che è a temperatura ambiente, quindi coprirla con pellicola e metterla in frigo per almeno un'ora, perché deve essere completamente fredda prima di procedere. Si può usare questo tempo di attesa per portare il burro a temperatura ambiente (oppure procedere ad ammorbidirlo come spiegato sopra).

Montare il burro con lo zucchero come spiegato sopra, unire l'estratto di vaniglia e poi poca per volta la "pappetta" di latte e farina, continuando a montare la crema con la frusta fino a che diventa spumosa e leggerissima, grossomodo come della panna montata. Il vantaggio e che poi la consistenza rimane quella senza smontarsi (in frigo indurisce, ma una volta tornata a temperatura ambiente ritorna soffice). Se si preferisce una farcitura più consistente si possono usare 10 gr. in più di farina; se se ne usano 20 gr in più diventa una copertura molto compatta, utile nel caso si voglia conservare la torta un paio di giorni prima del taglio.

Mettere in una ciotola a parte 3 cucchiai della crema, unirvi la confettura e mescolare con cura fino a che è ben incorporata. Se la marmellata non è rossissima di suo aggiungere il colorante rimanente per rendere la farcitura di un colore rosato più "americano". Con la sola mia confettura casalinga in effetti sarebbe rimasta più aranciata che rosata.

Tagliare due tortine in tre strati, spalmarne uno con la crema rosa creando uno spessore alto grossomodo quanto la fetta di torta, sovrapporre un'altro disco e ricoprirlo a sua volta di crema, continuando fino ad esaurimento e terminando con uno strato di torta.
Con una spatola spalmare un abbondante strato di crema bianca sopra ed attorno alla torta, dandole una forma regolare. Io ho ricoperto tutta la torta con almeno un centimetro e mezzo di spessore bianco, per chi non è appassionato di creme ne basta anche un terzo.
Usando un coltello a seghetto ho poi "scompigliato" la superficie della crema per darle un aspetto arruffato, un po' tipo peluche...
Con uno stampino da biscotti segnare la sagoma prescelta  (qui un cuore)sulla superficie della torta, versarvi lo zucchero colorato e levare lo stampino, in modo che lo zucchero formi una sagoma regolare. Decorare con i confettini e le viole candite e servire.
Se si vuole conservare la torta in frigo ricordarsi di tirarla fuori almeno un'ora prima. In questo caso è meglio aggiungere le decorazioni di zucchero poco prima di servire, per evitare che l'umidità del frigo le possa sciogliere.
Una torta come questa probabilmente da un goloso americano è considerata una romantica versione per due, per il mio grado di golosità si può considerare invece una porzione per sei persone. Partecipo all'MTC di febbraio 2013 con questa Red Velvet in versione molto classica. E, come da miglior tradizione americana, a titolo tutto maiuscolo...
  • rivoli affluenti:
  • il grattacielo è il Flatiron Building di New York, fotografato da Rudy Burckhardt nel 1947, un'immagine che ho appesa in casa dai tempi dell'università.

Commenti

  1. Super,super,super.Il rabarbaro!Riesci sempre a sorprendere ed a deliziare,io mi aspettavo una "Red Velvet meets Dorayaki",con gli adzuki!
    (con la farina di riso da congee ci sarebbero stati divinamente).Un post glorioso,quando ci sposiamo? :)

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  2. il post è glorioso, la crema della red velvet è gloriosa, ma anche l'altro post in MTC è glorioso. Solo un'appassionata come te poteva redigerlo. Bacio. Giulietta. Sono fuori sede ;-)

    RispondiElimina
  3. venire qui e vedere che prosegue la 'lezione' che ci hai regalato sul blog dell'MTC è bellissimo.
    Bellissima anche la tua red velvet: 6 piani, wow! :)
    Grazie davvero per questi post così interessanti e approfonditi!

    RispondiElimina
  4. @edith.pilaff: la deriva jap è stata una delle mie tantazioni, ma il fascino di tuffarsi per una volta in una vera "porcata" americana, per quanto attenuata da storia e gusti personali, in questo caso ha prevalso!
    Accetto di sposarti, soprattutto per concordare un menù di matrimonio all'altezza...

    @giulietta: per una volta è uscita anche un po' di americanite culinaria, insieme alla passione per la storia. Ma tu ora non pensare alle red velvet, goditi piuttosto il fuorisede!

    @valentina: altro che lezione, più approfondisci un argomento più tui rendo conto di quanto poco sai! Questo articolo sulla red velvet mi ha riempito di libri da cercare e documenti da ritrovare e persone da intervistare che credo non mi basterebbe una vita...

    RispondiElimina
  5. Anche io ho avuto mille titubanze sull'usare i lamponi, per questo ho optato per quelli congelati, che sono stati raccolti nel periodo giusto e congelati per goderne nel periodo sbagliato ;)

    Per il resto, concordo su tutto, e per quanto non sia così attenta come te, cerco di darmi delle giustificazioni per poter mangiare delle emerite porcate ;)

    Inoltre, mi interessa moltissimo l'uso che fai del riso glutinoso, che qui non riesco a trovare nemmeno da Naturasì, perché ovviamente dà una resa migliore nella cucina senza glutine...

    Infine, la crema americana, alleggerita e con quella marmellata (sebbene non abbai idea di che sapore abbia il rabarbaro)dà il colpo finale ad un post perfette... as usual!

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  6. Non c'è bisogno di dire che mi lasci sempre senza parole (e non è semplice!!!) Bello tutto ed in ogni sua parte.
    Grazie come sempre
    Dani

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  7. Che bel post, con i ricordi americani annessi! ho proposto anche io l'ermine frosting, e concordo con te il gusto è decisamente meno pesante e dolce di tante altre creme e si abbina benissimo alla red velvet. Il tuo tocco della confettura fragole e rabarbaro mi è piaciuto molto, ottima idea!

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  8. Bellissima torta, un pò complicata: sei bravissima
    Ciao noi siamo nuove iscritte e siamo due sorelle , se ti va vieni anche tu da noi
    A presto
    Patrizia

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  9. @stefania: hai ragione Stefi, per alcune cose ci si può... anzi... ci si deve sentire liberi di fare come ci pare! A me non viene fame di lamponi in inverno, è vero, ma se dovessi vivere solo di risorse locali e di piena stagione non solo avrei finito con la mia cucina etnica, ma, per dire, non mangerei mai nemmeno pesce di mare, meloni o mortadella!
    Sia il riso glutinoso che la sua farina li trovo nei negozi di alimentari cinesi. Non so dirti seriamente però che garanzie abbia in termini di possibili contaminazioni.

    @daniela: grazie, guarda però che non sono l'unica ad avere ripescato questa crema storica...

    @@francy: sono stata praticamente assente dagli sviluppi dell'MTC fino a un paio di giorni fa ma ora che ho letto con calma il tuo post non ho che una cosa da dire: che sintonia!!! Un abbraccio

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  10. @patrizia: vengo volentieri a curiosare nel vostro blog... ma per vedere delle ricette complicate provate a dare un'occhiata a certe altre ricettine che partecipano all'MTC... io in confronto a lro sono una principiante assoluta!!!

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  11. Solo 5 piani???
    Vabbé....qui si sfidano davvero le leggi di gravità e gli equilibri....e direi che vinci tu su di loro.
    Non c'entra nulla, ma io non riesco a smettere di pensare alla zangola che hai in cantina, io potrei impazzirci!:)

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  12. il rabarbaro è uno di quegli ingredienti che mi incuriosisce da sempre, ma che non trovando nei supermercati, ne' nei banchi di frutta e verdura al mercato, non ho mai provato. La tua velvet è bellissima! Adoro la tua copertura, verrebbe voglia di accarezzarla :D

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  13. Semplicemente spiazzato...mai ti avrei accostato ad un dolce simile...mai avrei potuto anche desiderarne una fetta visto che (sono sobrio!) associo da sempre questi dolci a dei "cagatun" stratosferici! :P ahahahahaha
    Solo tu potevi redimermi parzialmente e non sono certo incoerente se non dicessi che i tuoi spunti "eterodossi" siano anche da sfruttare quanto prima. Tu brava come sempre...

    RispondiElimina
  14. @fabiana: diciamo che questa crema, tra farcitura e spessa copertura, contribuisce a consolidare più che a disgregare l'insieme, quindi l'equilibrio è architettonicamente implicito. E poi le foto prese dal basso slanciano anche chi si veste a righe orizzontali!

    @eleonora: il mio vantaggio in questo caso è di abitare vicino alla Svizzera, che in fatto di ortofrutta è un ibrido tra gusti mitteleuropei e desideri mediterranei. Il rabarbaro cotto ha un sapore dolce ed asprignolo insieme. Passa di qui e lo assaggi!

    @gambetto: certo che io che redimo te in fatto di dolci è fantascienza pura! ...Sicuro di essere sobrio?!

    RispondiElimina

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