Mi ha subito intrigato l'idea di ricostruire una ricetta storica contenuta in un trattato di cucina medievale o rinascimentale, come chiede Sara di Nobili Pasticci per la sua raccolta Una ricetta per una duchessa. A maggior ragione perché prende come base di partenza l'opera di Bartolomeo Scappi, il cuoco privato di papa Pio V che recenti studi dicono essere nato proprio dalle mie parti, a Runo di Dumenza, in provincia di Varese.
Ho lasciato un po' sedimentare la riflessione però: il tema è talmente vasto che risultava difficile scegliere anche solo il taglio del post, prima ancora che l'autore ed il piatto in sé. I punti fermi di questa selezione si dovrebbero basare sulla fedeltà storica e sulla capacità di interpretazione della ricetta (... oltre che su quel food appeal e quel gusto fotografico con cui so di avere pochissima dimestichezza!).
Risolvo il nodo della capacità di interpretazione affidandomi ad una ricetta ben spiegata e che contenga ingredienti ancora reperibili, mentre per la fedeltà storica teoricamente sarebbe sufficiente accedere al testo originale... Se non che mi pongo il problema della prospettiva: gustarsi la ricetta così come è presentata dall'autore nel suo tempo o valutarla in rapporto all'epoca precedente e a quella successiva? E "attualizzarla" ha un senso? E quale?
Così mi sono concentrata sull'intento di Scappi, che nel 1570 da alle stampe l'Epulario, seu de re coquinaria, con il semplice titolo di Opera, per raccontare al mondo le "liste delle cose che si possono servire di mese in mese, le quali generalmente s'usano in Italia, et massime nella città di Roma". E da questa intenzione sono partita, tuffandomi in uno dei suoi capitoli meno "famosi", quello sulle uova.
Perché non ho scelto un trionfo di carne oppure uno di quei complessi pasticci, farciti nei modi più sorprendenti? Perché Scappi cita una cucina "italiana", concetto ai tempi quanto meno "moderno". Si riferisce probabilmente ad una sorta di mercato gastronomico nazionale, in cui era facile reperire materie prime condivise. E perché parla altresì di stagionalità, per noi oggi valore riacquisito ma per l'epoca pesante vincolo da superare. E questi aspetti insoliti mi hanno colpito nel profondo.
I trattati di cucina di allora ovviamente raccontavano di tavole nobiliari, di prodotti rari e costosi, di piatti destinati a stupire i commensali ed alleviare la noia del palato di chi era abituato ad ottenere qualsiasi cosa con uno schiocco di dita. Curioso dunque che Scappi dedichi tanta attenzione a prodotti semplici, diffusi e "popolari" quanto le uova o le minestre di verdure. Per quanto contenute nella sezione dedicata ai cibi di magro, sono davvero tante le ricette descritte, segno forse di una certa evoluzione del gusto.
Mentre nel '400 ancora la lussuosa cucina di corte italiana era ammirata e ricercata dai potenti di tutta Europa, con l'andare del tempo è emersa in Italia una cucina popolare per noi non documentata ma che certamente Scappi conosceva; inoltre a fine '500 anche altre cucine europee stavano acquisendo una loro dignità.
Si tratta, nel caso di Germania ed Inghilterra, prevalentemente di "cucina di locanda" quindi relativamente elementare, mentre quella francese di corte rappresenta uno stacco deciso rispetto al gusto medievale europeo, che amava la grande cacciagione, la profusione di spezie e la mescolanza di agro e dolce. Si intravede ora la ricerca di una raffinatezza differente, che esalti la qualità ed i sapori degli ingredienti più che il loro accumulo.
Questa tendenza, che renderà grande la cucina francese nei secoli successivi, è contenuta in nuce nei capitoli dello Scappi dedicati, appunto, ai prodotti meno "nobili" come uova e verdure. Dunque ingredienti relativamente locali e di stagione e relativamente più "naturali" nella possibilità di esaltazione dei sapori di base. Un lato decisamente insolito per la cucina tradizionale italiana di corte del Rinascimento, lato che mi diverto assolutamente ad approfondire.
Mi aiuta in ciò un altro autore, Giacomo Castelvetro, che scrive a Londra nel 1614 il suo Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l'erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano.
Nobile modenese in fuga dall'Inquisizione, dopo aver peregrinato per mezza Europa si stabilisce in Inghilterra e lì scrive un trattatello "gastronomico-sentimentale" per illustrare alla nobiltà inglese "che si ciba di carnaccia di montone cotta nel suo grasso" i gusti ricercati della "civile Italia", Paese dal clima mite, che "appetisce più erbaggi e frutti che carni" e "nobilita ogni più dimessa risorsa commestibile".
Il suo trattato è un elenco di verdure e frutti divisi per stagione, con alcune semplici indicazioni per la preparazione. L'insieme esalta proprio l'impareggiabile raffinatezza degli aromi di ciascun prodotto di stagione e l'estrema semplicità delle lavorazioni necessarie per goderne appieno i sapori.
Tra i prodotti estivi cita le noci e come se ne possa fare una splendida agliata, una delle salse classiche della cucina del tempo, perfetta "come antidoto contro la rea qualità" della carne di maiale e di oca (non entro qui in merito al valore medico dei cibi all'interno della visione galenica della cucina d'epoca o non la finisco più!) ma anche adatta a "coprirne piatti di maccharoni e sopra le lasagne".
E' una salsa sopravvissuta ancora oggi tra l'altro, di cui si trova decisamente traccia nella salsa romesco spagnola o nella tarator turca e in altre preparazioni con gli stessi ingredienti di base diffuse nell'area balcanica e in Medioriente. E in fondo anche un po' nella salsa di noci ligure o nel pesto di mandorle siciliano con cui (come consigliava Castelvetro!) si condisce la pasta in Italia.
Per tornare alle uova di Scappi, nell'Opera viene citata l'agliata come uno dei possibili accompagnamenti per delle "uove dure". Salsa di origine medievale, le versioni più semplici prevedono aglio, brodo, aromi, a volte agresto e come addensante del pane, sostituito nelle ricette più ricercate da mandorle o noci pestate, spesso con zenzero e a volte cannella o zafferano.
Un terzo filone che fa capo al Maestro Martino usa insieme pane e mandorle/noci e fa a meno dello zenzero, mentre versioni meno fedeli alla volontà di una "salsa biancha" incorporano anche frutta, spezie ed erbe coloranti.
A me piace usare, sulla ricetta di uova di Scappi che ho scelto, la salsa di Castelvetro. Sia perché propone le noci come prodotto di stagione estiva, anche allora reperibile in Italia come in Inghilterra, sia perché resta molto semplice nella tecnica e negli aromi.
Non serve quindi per noi altra "modernizzazione" che quella naturalmente occorsa dalla sua prima versione documentata, citata nel banchetto nuziale di Violante Visconti del 1368, a quella descritta da Castelvetro nel 1614...
E per tornare al concetto di piena fedeltà storica ecco le due ricette originali, affascinanti entrambe nella precisione dei consigli e nella nobiltà del linguaggio.
Le uova dello Scappi:
Per cuocere uove dure con butiro ovvero con oglio
Faccianosi cuocere l'uova con la scorza nell'acqua di modo che non siano troppo dure; e dapoi si cavino dall'acqua calda e ponganosi nella fredda, o mondinosi, e subito s'infarinino. E si friggano in butiro colato overo in oglio; e come saranno fritte, servanosi con zuccaro e sugo di melangole sopra, ovvero si coprano d'agliata o d'altri sapori.
E la salsa di Castelvetro:
Dell'agliata
[...] nella vegnente maniera si fa: prima si pigliano i più sani e i più bianchi spicchi delle noci e quella quantità che l'uom vuole e in un bel netto mortaio di pietra e non di metallo si pestano bene, nel quale prima si pestan due o tre spicchi d'aglio; e tutto bene pestato, si piglia tre fette di mollica di pane bianco e duro, le quali molto ben bagnate in brodo di carne non molto grasso, con le predette cose pur si pestano; e il tutto ben pestato si liquefà con un poco del medesimo brodo caldo, cioè liquido tanto quanto pappina che a' bambolini si da, e con poco di pepe franto e non polverizzato tepida in tavola si manda.
Ancoro una ricetta "moderna" in quanto originalmente "semplice" di Scappi alla descrizione di poco successiva di una sua stessa salsa per mano di un autore dalla sensibilità decisamente "contemporanea". Scelgo insomma di usare un occhio attuale nella selezione per non metter mano operativamente alla ricetta con modifiche che mi impantanerebbero in una trasformazione filologicamente complessa.
Per ricostruire oggi banchetti medievali o rinascimentali da offrire a dei commensali ovviamente tutto è lecito e più che benvenuto, ma in questa occasione il recupero di una ricetta già in origine "perfetta" secondo i canoni di questa nostra epoca mi è sembrato ancora più divertente...
Uova sode al burro con salsa di aglio e noci
ingredienti per 3-6 persone:
6 uova
1 cucchiaio abbondante di semola non troppo fine
15 gr. di burro
70 gr. di noci sgusciate
40 gr. di pane secco senza crosta
1 spicchio di aglio (o 2, per un gusto molto intenso)
80 ml. di brodo di pollo
1 cucchiaio di aceto
sale
pepe nero al mulinello
Per una salsa bianca scottare i gherigli di noce in acqua bollente, in modo da privarli facilmente della pellicina. Si ridurranno a circa 60 gr.
Coprire le uova con acqua fredda, unire l'aceto, portare a leggero bollore e cuocere 8 minuti, quindi spegnere, raffreddare le uova sotto l'acqua corrente e sgusciarle.
Ammollare il pane nel brodo, quindi strizzarlo e sminuzzarlo, conservando il brodo.
Tritare grossolanamente le noci (tranne qualcuna per la decorazione) e l'aglio e metterli insieme al pane nel frullatore, regolare di sale e azionare le lame, unendo il brodo a filo fino ad ottenere la consistenza di una maionese morbida.
Infarinare le uova e dorarle nel burro spumeggiante, badando che si colorino in modo uniforme, quindi disporle nei piatti individuali insieme con una cucchiaiata di salsa e spolverizzare abbondantemente di pepe.
Una presentazione rinascimentale probabilmente avrebbe nappato le uova con la salsa, le avrebbe decorate con noci e erbe oppure con artifici che le avrebbero camuffate, per farle assomigliare a qualcosa d'altro.
Spero la duchessa apprezzi nel gusto e nell'aspetto questo piatto semplice e sommamente classico, magari per riposare il palato tra i vari servizi di un banchetto certamente più elegante ed impegnativo di questa umile sosta. E spero ne colga la autentica ed insospettabile modernità.
Anche per questo la mia presentazione è minimale, in modo che l'occhio riposi alla vista di un "oggetto" semplice sopra la ricchezza del tessuto rinascimentale che veste la tavola.
Per la qualità delle foto invece non ho motivazioni diverse dalla mia ignoranza in materia. Sarà per questo che ho trovato rassicurane privilegiare anche con l'immagine principale la ricerca storica che è alla base del piatto rispetto ad una presentazione d'epoca.
(PS: anche il fatto che l'ingrediente più "lussuoso" di tutta la preparazione sia il pane bianco mi ha intrigato: offrire ad un banchetto di corte un piatto in fondo realizzabile anche da una massaia contadina dell'epoca ha una sua sottile modernità...
PPS: se si rinuncia a spellare le noci è tutto pronto in 20 minuti... non male per una ricetta rinascimentale!)
Ho lasciato un po' sedimentare la riflessione però: il tema è talmente vasto che risultava difficile scegliere anche solo il taglio del post, prima ancora che l'autore ed il piatto in sé. I punti fermi di questa selezione si dovrebbero basare sulla fedeltà storica e sulla capacità di interpretazione della ricetta (... oltre che su quel food appeal e quel gusto fotografico con cui so di avere pochissima dimestichezza!).
Risolvo il nodo della capacità di interpretazione affidandomi ad una ricetta ben spiegata e che contenga ingredienti ancora reperibili, mentre per la fedeltà storica teoricamente sarebbe sufficiente accedere al testo originale... Se non che mi pongo il problema della prospettiva: gustarsi la ricetta così come è presentata dall'autore nel suo tempo o valutarla in rapporto all'epoca precedente e a quella successiva? E "attualizzarla" ha un senso? E quale?
Così mi sono concentrata sull'intento di Scappi, che nel 1570 da alle stampe l'Epulario, seu de re coquinaria, con il semplice titolo di Opera, per raccontare al mondo le "liste delle cose che si possono servire di mese in mese, le quali generalmente s'usano in Italia, et massime nella città di Roma". E da questa intenzione sono partita, tuffandomi in uno dei suoi capitoli meno "famosi", quello sulle uova.
Perché non ho scelto un trionfo di carne oppure uno di quei complessi pasticci, farciti nei modi più sorprendenti? Perché Scappi cita una cucina "italiana", concetto ai tempi quanto meno "moderno". Si riferisce probabilmente ad una sorta di mercato gastronomico nazionale, in cui era facile reperire materie prime condivise. E perché parla altresì di stagionalità, per noi oggi valore riacquisito ma per l'epoca pesante vincolo da superare. E questi aspetti insoliti mi hanno colpito nel profondo.
I trattati di cucina di allora ovviamente raccontavano di tavole nobiliari, di prodotti rari e costosi, di piatti destinati a stupire i commensali ed alleviare la noia del palato di chi era abituato ad ottenere qualsiasi cosa con uno schiocco di dita. Curioso dunque che Scappi dedichi tanta attenzione a prodotti semplici, diffusi e "popolari" quanto le uova o le minestre di verdure. Per quanto contenute nella sezione dedicata ai cibi di magro, sono davvero tante le ricette descritte, segno forse di una certa evoluzione del gusto.
Mentre nel '400 ancora la lussuosa cucina di corte italiana era ammirata e ricercata dai potenti di tutta Europa, con l'andare del tempo è emersa in Italia una cucina popolare per noi non documentata ma che certamente Scappi conosceva; inoltre a fine '500 anche altre cucine europee stavano acquisendo una loro dignità.
Si tratta, nel caso di Germania ed Inghilterra, prevalentemente di "cucina di locanda" quindi relativamente elementare, mentre quella francese di corte rappresenta uno stacco deciso rispetto al gusto medievale europeo, che amava la grande cacciagione, la profusione di spezie e la mescolanza di agro e dolce. Si intravede ora la ricerca di una raffinatezza differente, che esalti la qualità ed i sapori degli ingredienti più che il loro accumulo.
Questa tendenza, che renderà grande la cucina francese nei secoli successivi, è contenuta in nuce nei capitoli dello Scappi dedicati, appunto, ai prodotti meno "nobili" come uova e verdure. Dunque ingredienti relativamente locali e di stagione e relativamente più "naturali" nella possibilità di esaltazione dei sapori di base. Un lato decisamente insolito per la cucina tradizionale italiana di corte del Rinascimento, lato che mi diverto assolutamente ad approfondire.
Mi aiuta in ciò un altro autore, Giacomo Castelvetro, che scrive a Londra nel 1614 il suo Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l'erbe e di tutti i frutti che crudi o cotti in Italia si mangiano.
Nobile modenese in fuga dall'Inquisizione, dopo aver peregrinato per mezza Europa si stabilisce in Inghilterra e lì scrive un trattatello "gastronomico-sentimentale" per illustrare alla nobiltà inglese "che si ciba di carnaccia di montone cotta nel suo grasso" i gusti ricercati della "civile Italia", Paese dal clima mite, che "appetisce più erbaggi e frutti che carni" e "nobilita ogni più dimessa risorsa commestibile".
Il suo trattato è un elenco di verdure e frutti divisi per stagione, con alcune semplici indicazioni per la preparazione. L'insieme esalta proprio l'impareggiabile raffinatezza degli aromi di ciascun prodotto di stagione e l'estrema semplicità delle lavorazioni necessarie per goderne appieno i sapori.
Tra i prodotti estivi cita le noci e come se ne possa fare una splendida agliata, una delle salse classiche della cucina del tempo, perfetta "come antidoto contro la rea qualità" della carne di maiale e di oca (non entro qui in merito al valore medico dei cibi all'interno della visione galenica della cucina d'epoca o non la finisco più!) ma anche adatta a "coprirne piatti di maccharoni e sopra le lasagne".
E' una salsa sopravvissuta ancora oggi tra l'altro, di cui si trova decisamente traccia nella salsa romesco spagnola o nella tarator turca e in altre preparazioni con gli stessi ingredienti di base diffuse nell'area balcanica e in Medioriente. E in fondo anche un po' nella salsa di noci ligure o nel pesto di mandorle siciliano con cui (come consigliava Castelvetro!) si condisce la pasta in Italia.
Per tornare alle uova di Scappi, nell'Opera viene citata l'agliata come uno dei possibili accompagnamenti per delle "uove dure". Salsa di origine medievale, le versioni più semplici prevedono aglio, brodo, aromi, a volte agresto e come addensante del pane, sostituito nelle ricette più ricercate da mandorle o noci pestate, spesso con zenzero e a volte cannella o zafferano.
Un terzo filone che fa capo al Maestro Martino usa insieme pane e mandorle/noci e fa a meno dello zenzero, mentre versioni meno fedeli alla volontà di una "salsa biancha" incorporano anche frutta, spezie ed erbe coloranti.
A me piace usare, sulla ricetta di uova di Scappi che ho scelto, la salsa di Castelvetro. Sia perché propone le noci come prodotto di stagione estiva, anche allora reperibile in Italia come in Inghilterra, sia perché resta molto semplice nella tecnica e negli aromi.
Non serve quindi per noi altra "modernizzazione" che quella naturalmente occorsa dalla sua prima versione documentata, citata nel banchetto nuziale di Violante Visconti del 1368, a quella descritta da Castelvetro nel 1614...
E per tornare al concetto di piena fedeltà storica ecco le due ricette originali, affascinanti entrambe nella precisione dei consigli e nella nobiltà del linguaggio.
Le uova dello Scappi:
Per cuocere uove dure con butiro ovvero con oglio
Faccianosi cuocere l'uova con la scorza nell'acqua di modo che non siano troppo dure; e dapoi si cavino dall'acqua calda e ponganosi nella fredda, o mondinosi, e subito s'infarinino. E si friggano in butiro colato overo in oglio; e come saranno fritte, servanosi con zuccaro e sugo di melangole sopra, ovvero si coprano d'agliata o d'altri sapori.
E la salsa di Castelvetro:
Dell'agliata
[...] nella vegnente maniera si fa: prima si pigliano i più sani e i più bianchi spicchi delle noci e quella quantità che l'uom vuole e in un bel netto mortaio di pietra e non di metallo si pestano bene, nel quale prima si pestan due o tre spicchi d'aglio; e tutto bene pestato, si piglia tre fette di mollica di pane bianco e duro, le quali molto ben bagnate in brodo di carne non molto grasso, con le predette cose pur si pestano; e il tutto ben pestato si liquefà con un poco del medesimo brodo caldo, cioè liquido tanto quanto pappina che a' bambolini si da, e con poco di pepe franto e non polverizzato tepida in tavola si manda.
Ancoro una ricetta "moderna" in quanto originalmente "semplice" di Scappi alla descrizione di poco successiva di una sua stessa salsa per mano di un autore dalla sensibilità decisamente "contemporanea". Scelgo insomma di usare un occhio attuale nella selezione per non metter mano operativamente alla ricetta con modifiche che mi impantanerebbero in una trasformazione filologicamente complessa.
Per ricostruire oggi banchetti medievali o rinascimentali da offrire a dei commensali ovviamente tutto è lecito e più che benvenuto, ma in questa occasione il recupero di una ricetta già in origine "perfetta" secondo i canoni di questa nostra epoca mi è sembrato ancora più divertente...
Uova sode al burro con salsa di aglio e noci
ingredienti per 3-6 persone:
6 uova
1 cucchiaio abbondante di semola non troppo fine
15 gr. di burro
70 gr. di noci sgusciate
40 gr. di pane secco senza crosta
1 spicchio di aglio (o 2, per un gusto molto intenso)
80 ml. di brodo di pollo
1 cucchiaio di aceto
sale
pepe nero al mulinello
Per una salsa bianca scottare i gherigli di noce in acqua bollente, in modo da privarli facilmente della pellicina. Si ridurranno a circa 60 gr.
Coprire le uova con acqua fredda, unire l'aceto, portare a leggero bollore e cuocere 8 minuti, quindi spegnere, raffreddare le uova sotto l'acqua corrente e sgusciarle.
Ammollare il pane nel brodo, quindi strizzarlo e sminuzzarlo, conservando il brodo.
Tritare grossolanamente le noci (tranne qualcuna per la decorazione) e l'aglio e metterli insieme al pane nel frullatore, regolare di sale e azionare le lame, unendo il brodo a filo fino ad ottenere la consistenza di una maionese morbida.
Infarinare le uova e dorarle nel burro spumeggiante, badando che si colorino in modo uniforme, quindi disporle nei piatti individuali insieme con una cucchiaiata di salsa e spolverizzare abbondantemente di pepe.
Una presentazione rinascimentale probabilmente avrebbe nappato le uova con la salsa, le avrebbe decorate con noci e erbe oppure con artifici che le avrebbero camuffate, per farle assomigliare a qualcosa d'altro.
Spero la duchessa apprezzi nel gusto e nell'aspetto questo piatto semplice e sommamente classico, magari per riposare il palato tra i vari servizi di un banchetto certamente più elegante ed impegnativo di questa umile sosta. E spero ne colga la autentica ed insospettabile modernità.
Anche per questo la mia presentazione è minimale, in modo che l'occhio riposi alla vista di un "oggetto" semplice sopra la ricchezza del tessuto rinascimentale che veste la tavola.
Per la qualità delle foto invece non ho motivazioni diverse dalla mia ignoranza in materia. Sarà per questo che ho trovato rassicurane privilegiare anche con l'immagine principale la ricerca storica che è alla base del piatto rispetto ad una presentazione d'epoca.
(PS: anche il fatto che l'ingrediente più "lussuoso" di tutta la preparazione sia il pane bianco mi ha intrigato: offrire ad un banchetto di corte un piatto in fondo realizzabile anche da una massaia contadina dell'epoca ha una sua sottile modernità...
PPS: se si rinuncia a spellare le noci è tutto pronto in 20 minuti... non male per una ricetta rinascimentale!)
- rivoli affluenti:
- Claudio Benporat, Storia della Gastronomia italiana, 1990, Mursia, ISBN 88-425-0750-4
- Alberto Capatti, Massimo Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura, 1999, Laterza, ISBN 88-420-5884-X
- Enrico Carnevale Schianca, La cucina medievale. Lessico, Storia, Preparazioni, 2011, Olschki, ISBN 978-88-222-6073-4
- Luigi Firpo (cura), Gastronomia del Rinascimento, 1973, Utet
- Massimo Montanari, Il cibo come cultura, 2004, Laterza, ISBN 88-420-7966-9
- Terence Scully, L'Arte della Cucina nel Medioevo. Storia, ricette e personaggi dell'epoca favolosa della tavola, 1997, Piemme, ISBN 88-384-2972-3
Dottissimo e ghiottissimo post! Meraviglioso insomma nella sua "apparente " semplicità.
RispondiEliminagrazie Enrico, questa era un'iniziativa per veri intenditori...
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