Quando proponi a qualcuno un pranzo napoletano in genere gli ospiti si aspettano trionfi di mozzarella con pomodoro e basilico, frittini misti, pasta ai frutti di mare, magari la parmigiana di melanzane e spigole all'acquapazza. E invece, se inviti persone spiritose e d intelligenti, puoi anche permetterti di pensare invernale, di non tuffarti in mare e, soprattutto, di offrire un taglio storico della tavola partenopea, quando il pomodoro ancora si conosceva poco, il pesce non era di uso comune e la carne rappresentava un bene di grandissimo lusso.
Un paio di secoli fa, quando sulle tavole nobili apparivano ricchi sartù, trionfanti timballi di pasta e goduriosi babà, con i monzù di scuola francese impegnati ad aristocratizzare la cucina locale, la gente comune si nutriva ancora prevalentemente di verdure, tanto da che gli abitanti di Napoli erano indicati con il titolo di mangiafoglie.
E questo è un menù così, da popolino che sapeva trarre il meglio del godimento da ogni ortaggio e che, se mai riusciva a procurarsi un taglio di carne di infima scelta, ricavava da quei pochi preziosi etti di materia prima un pranzo gustoso e soddisfacente per tutti.
La mia cena per otto persone ruota tutta attorno ad un chiletto scarso di muscolo di manzo, che regala il proprio aroma a due pietanze diverse e che in nessuna delle due appare riconoscibile, trasformato dalla tradizione (e anche un po' dal mio zampino) in un primo e in un secondo di assoluto rispetto.
Il miracolo non potrebbe accadere se non grazie al supporto magico di verdure umili e semplicissime come cipolle, friarielli (per il resto del mondo: cime di rapa tipiche campane) e insalata scarola. Ma questo giusto perché ho voluto impostare il pranzo comme il faut, cominciando "alla moderna" con un aperitivo e proseguendo a tavola con un antipasto, perché per primo e secondo sarebbero bastate giusto quelle due chilatine di cipolle!
Chi conosce un minimo la cucina tradizionale partenopea e sente nominare manzo e cipolle nella stessa ricetta sa che l'accoppiata significa genovese! L'origine del nome di questo stufato è controversa: chi dice fosse cucinata nel porto da marinai genovesi, chi si chiamasse Genovese la persona che l'ha resa nota... comunque a Genova non è un piatto conosciuto mentre a Napoli è proprio considerata una prelibatezza, anche oggi che la carne non è più tanto un lusso e le cipolle sono passate di moda.
La genovese ha ovviamente a Napoli infinite versioni, una per ogni massaia che si rispetti. Io utilizzo quella stra-testata della mia amica Paola, espertissima cuciniera, partenopea fino al midollo, che avevo già citato qui.
In realtà rispetto alle sua ricetta aumento le cipolle, funzionali allo svolgimento del mio menù, sostituisco il suo delizioso salame fresco napoletano al pepe con salsiccia napoletana stagionata (i miracoli dei salumieri partenopei qui ancora non si possono fare) e soprattutto, mi perdonerà se derogo dal suo canone, aggiungo un pomodorino. uno solo, singolo: scelta forse antistorica ma funzionale ad una coloritura rosata delle cipolle.
La genovese di manzo, my way
Qui le dosi sono funzionali all'utilizzo che poi faccio di carne e salsa nel mio menù; se si decidesse di usare la genovese per condire della pasta, sfilacciandoci dentro la carne o servendola poi separatamente per secondo, meglio ridurre le cipolle a circa 1,2 kg: condiranno pasta sufficiente per 6 persone e la carne come secondo ne sazierà certamente 4.
1 kg di muscolo di manzo (o polpa da brasato)
10 cipolle dorate, in tutto circa 1,7 kg
60 g di salsiccia stagionata napoletana
1/2 bicchiere di vino bianco secco
1 pomodorino del piennolo (o 1 datterino fresco)
4 grani di pepe nero
20 g di burro (o strutto)
4 cucchiai di olio extravergine
sale
Grattugiare le cipolle con una grattugia a fori grossi; tagliare la carne in 8 pezzi, la salsiccia a dadini, il pomodorino in 4 falde. Questi tagli abbreviano la cottura di circa un'ora. Per Paola la cipolla e a rondelle, la carne in 3 pezzi e la cottura dopo il vino dura almeno 4 ore.
Allargare metà dell'olio sul fondo di una pentola a bordi alti e versarvi la metà delle cipolle. Disporvi sopra la carne, la salsiccia, il pepe, il pomodorino e coprire con il resto delle cipolle, compresa l'eventuale acqua che avranno nel frattempo rilasciato.
Condire la superficie con il resto dell'olio e con il burro a pezzetti, coprire e cuocere a fuoco basso per circa un'ora, rimestando un paio di volte se serve, fino a che le cipolle cominciano a "cedere" e la carne a schiarire.
Unire il vino, chiudere di nuovo e cuocere a fuoco bassissimo per circa 3 ore, mescolando di tanto in tanto, fino a che le cipolle saranno diventate crema densa e la carne si sfilaccerà anche solo a guardarla.
Regolare di sale e pepe se serve e, per un uno tradizionale, eventualmente tenere in caldo la carne con un po' di fondo come seconda portata e con il resto condire ziti spezzati ben al dente, unendo abbondante pecorino. Nel mio caso ho invece estratto circa 250 g di carne e ho lasciato il resto a disfarsi lentamente nelle cipolle per un'altra ventina di minuti. Questo è il pezzo di carne più grande che sono riuscita a trovare alla fine...
Mentre la genovese riposa vi racconto l'aperitivo, Falanghina beneventana freschissima accompagnata da piccoli stuzzichini: olive di Gaeta, bocconcini di mozzarella di bufala, dadi di provolone e fettine di salame napoletano. A completare il quadro delle ciotoline di grana 20 mesi a contenere quello che è un "riassunto" di una zuppa partenopea poverissima, detta 'mbastuocchio, costituita da friarielli, pane e fagioli.
per 8 cestini:
150 g di grana stagionato grattugiato
1 mazzo di friarielli, circa 200 g
40 g di borlotti secchi
1 spicchio di aglio
1 peperoncino (qui omesso per l'intolleranza di un ospite)
1 foglia di alloro
3 cucchiai di olio extravergine
sale
Ammollare i fagioli il giorno prima; coprirli poi di acqua fresca, unire la foglia di alloro e 1 cucchiaio di olio, portare a leggero bollore e cuocere per un paio d'ore, fino a che i fagioli sono morbidi e l'acqua quasi tutta consumata. Salare pochi minuti prima di spegnere.
Tagliare a pezzetti i friarielli eliminando i gambi più duri ma conservando gli eventuali bottoni fioriti. Farli appassire in due cucchiaiate di olio con l'aglio schiacciato e il peperoncino inciso.
Salare, unire un mestolo di acqua di cottura dei fagioli e lasciar consumare a fuoco medio; unire i fagioli scolati e continuare la cottura fino a che è tutto morbido e saporito, unendo se serve ancora poca acqua. Eliminare aglio e peperoncino e regolare, se serve di sale.
Scaldare un padellino antiaderente, versarvi due cucchiaiate leggere di grana, stendere bene e cuocere fino a che il fondo è dorato; voltare la cialda, cuocere altri 30 secondi quindi trasferirla in una ciotolina pulita, perché raffreddando ne prenda la forma. Ripetere fino ad avere 8 vaschette di formaggio croccante, da posizionare su piattini individuali.
Distribuire le verdure nelle vaschette e servire tiepido.
L'antipasto, accompagnato dallo stesso vino bianco dell'aperitivo, era una mezza scarola 'mbuttunata a testa, di cui stupidamente non ho immagini: riporterò la ricetta una prossima volta, quando oltre che a cucinare mi ricorderò anche di fotografare!
Ed eccoci al primo: con la carne della genovese messa da parte ho farcito dei ravioli, che ho poi condito con un sughetto leggerissimo di pomodoro appena scottato (il piennolo è appeso alle finestre proprio in questa stagione, a Napoli!), per lasciare protagonista assoluto il ripieno.
In altre occasioni gli stessi ravioli sono stati conditi con la salsa di cipolle (senza sfilacci di carne) ma devo dire che così li si gusta di più. Qui il vino diventa rosso, un Lacyima Christi, le lacrime di Cristo da cui si dica siano nate le viti sulle pendici del Vesuvio.
Ravioli di genovese e ricotta di pecora
per una settantina di ravioli da 5 cm, ovvero per 8-10 persone
per la pasta:
300 g di farina 00 (più qualche manciata per la spianatoia)
3 uova
1 cucchiaio di olio extravergine
sale
per la farcitura:
250 g di carne cotta della genovese
3 o 4 cucchiai di salsa di cipolle della genovese
300 g di ricotta di pecora
40 g di grana grattugiato
20 g di pecorino grattugiato
2 uova
sale
per il condimento:
10 pomodorini del piennolo (o datterini)
2 cucchiai di olio extravergineùsale
zucchero di canna
(optional:
pecorino grattugiato
pepe nero al mulinello)
Mescolare la farina setacciata con le uova appena sbattute, un pizzico di sale un goccio di olio e, se serve, un cucchiaio di acqua, fino ad ottenere una pasta soda, che va lavorata a lungo (io nella planetaria una decina di minuti, a mano almeno il doppio) fino a che l'impasto è liscio e uniforme. Far riposare per almeno mezz'ora avvolto in pellicola.
Passare due volte al tritacarne il manzo della genovese ed unirci a ricotta, i formaggi, le uova e quanta salsa di cipolle serve per avere un impasto morbido e legato, tanto sodo da poter essere lavorato in palline. regolare se serve di sale.
Stendere sottile la sfoglia un paio di strisce per volta (nel tirapasta il penultimo livello), disporre su una palline di farcia da circa 2 cm un po' distanziate, coprire con la seconda sfoglia, premendo per eliminare tutta l'aria e sigillando bene i bordi con un velo di acqua, quindi ritagliare con la rotella dentata in quadrati da circa 5 cm. Lasciar riposare i ravioli su un telo rivestito di semola a mano a mano che vengono pronti.
Tagliuzzare i pomodorini in piccoli dadini, lasciando però un mezzo pomodorino intero per commensale. Scaldare l'olio, versare tutti i pomodori, regolare di sale e zucchero e lasciar cuocere a fuoco medio per una decina di minuti, fino a che l'acqua comincia ad evaporare e si forma un sughetto con i pezzettini ancora visibili.
Lessare i ravioli in acqua fremente salata con un cucchiaio di olio, scolarli al dente e ripassarli qualche secondo nella padella del sughetto. Servire, decorando ogni porzione con il mezzo pomodorino in cima, a gusto con una eventuale spolverata di pecorino e una macinata di pepe.
Se finora le preparazioni tradizionali sono state ingentilite dal tocco moderno, qui invece si arriva "al sodo" di un piatto davvero poverissimo, che di solito si preparava con le sole cipolle della genovese, cui dava sostanza... un uovo!
Qui io vi ho (impropriamente, a sentire le tradizioni di famiglia) lasciato la carne che non ho usato per i ravioli, oramai sfilacciata, e invece di cuocere le uova nel grande tegame della genovese le ho divise in cocotte individuali e le ho infilate in forno, con il lusso pure di qualche dadino di salsiccia rimasto integro in cottura e di una spolverata di pecorino, che nella gratinatura ha dato una leggera sferzata in più al tutto. Anche qui Lacryma Christi.
Nella tradizione affamata, l'uovo ancora morbido veniva mescolato alle cipolle e con il tutto si condiva la pasta, giusto per non farsi mancare nulla. A buon intenditor...
Uova in genovese
per ogni porzione:
2 mestolini di cipolle della genovese completa della sua carne sfilacciata e di un paio di dadini di salsiccia
1 uovo
1 bella cucchiaiata di pecorino grattugiato
sale
pepe nero al mulinello
Versare le cipolle in una cocotte e formare al centro una concavità che non arrivi al fondo. Rompervi un uovo, salare e pepare leggermente e cospargere di pecorino.
Cuocere a 180 °C in forno ventilato per 20 minuti, eventualmente con un colpo di grill finale, fino a che l'uovo si è rassodato. Servire ben caldo.
Come dolce, a chiudere il pranzo, freschi mandarini e ciuciugliarie, ovvero frutta secca, castagne del prete (storia da raccontare, prima o poi) e rococò homemade da intingere nel vino dolce (nel liquore Strega non ce la potevo fare, ho preferito uno zibibbo siciliano...). E questa dei rococò è ancora tutta un'altra storia, da raccontare a parte, con calma ed il dovuto spazio. Stay tuned...
- rivoli affluenti:
- anche musica, durante la cena: Napocalisse, di Federico Salvatore
Certo che essere invitata da te dovrei digiunare almeno per due giorni visto che mangio poco e qui non mi tirerei indietro. Qualcosa della cucina napoletana la conosco, mio suocero era napoletano doc che si è sposata una....capodistriana che come cucina siamo proprio agli antipodi. Non è mai riuscita a cucinare il napoletano...proprio perchè in fondo di cucina ne sapeva poco a quel tempo era del 1910. Però una cosa l'aveva imparata...500 g di spaghetti rigorosamente al dente con la pummarola ncoppa mio suocero l'ha educata bene :) :) . La prima volta che sentì parlare della ..genovese...pensavo ad un errore poi invece l'ho assaggiato proprio a Napoli dalla sorella di mio suocero..una meraviglia. Ricetta.. mai avuta purtroppo. Tutto molto buono ma non credo che mi cimenterò ho fatto il ragù alla bolognese che mi riesce bene nello secco non grasso che non mi piace. Ciao Annalena un abbraccio e buona continuazione.
RispondiElimina500 g di spaghetti a testa?! Il sogno dell'essere qui a fianco, che comunque ogni tanto fino a 250 tutti da solo ci arriva!
RispondiEliminaE allora raccontami il tuo ragù bolognese, adesso!
RispondiElimina...te lo scrivo a parte non mi permetto a mettere link qui ma uno è necessario :D un abbraccio.
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