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breve storia della pasticceria giapponese... e di come continua!

daifuku mochi primaverili, forse i wagashi più conosciuti

Domani su Mag about Food racconto il rapporto contemporaneo tra la pasticceria tradizionale giapponese e le suggestioni occidentali attraverso la preziosa testimonianza della maestra pasticcera Fujita Satomi. Qui invece provo brevemente a riassumere la storia della tradizione giapponese in materia di dolci e a spiegare quale potenza d'impatto ha avuto su di essa il recente arrivo della "signorina Fujita" in uno dei templi dell'arte dolciaria classica giapponese, l'antica bottega di Kyoto Kameya Yoshinaga.

Già il loro nome era tutto un programma: Kame-ya = casa (o bottega) della tartaruga, il simbolo giapponese per eccellenza della longevità, mentre Yoshi-naga, il nome di famiglia del fondatore, è composto dalle parole "buono" e "lungo"... cosa può essere di miglior auspicio per una lunga continuazione della tradizione?

la pasticceria con il logo ottagonale, simbolo della tartaruga

In Giappone la pasticceria è un'arte maschile: quando Fujika Satomi, pasticcera donna, giovane e proveniente dalle scuole pasticcere di Parigi, si presentò per il colloquio, il sig. Yoshikazu Yoshimura, titolare di Kamaeya Yoshinaga, non si perse in chiacchiere e le guardò le mani: le vide segnate da cicatrici di cucina ma soprattutto "forti" e, come di lavoratrice pratica ed indefessa decise di assumerla. Solo in seguito scopri che la pulzella era stata campionessa di karate al liceo, ma oramai la parola era data e lei entrò nello staff del laboratorio, dove apprese tradizioni di famiglia antiche di quasi trecento anni e dove, partita da zero ed appresi per quattro anni i segreti di quella tradizione, cominciò ad innestare le sue idee di ingredienti e tecniche occidentali sulla loro pasticceria classica.

i due maestri pasticceri all'opera

L'effetto dirompente di questa visione si  spiega solo facendo un passo indietro per capire cosa ha rappresentato da sempre la pasticceria nella cultura giapponese, che è insieme sempre stata aperta a cogliere influenze straniere ma allo stesso tempo tanto conservatrice da trasformare tutto in qualcosa di"tipicamente giapponese".

Superate le prime fasi storiche, dove si faceva uso semplicemente di frutta come di qualsiasi altro alimento, già dal 300 a.C, nel periodo Yayoi, si consumavano i mochi, ovvero si pestava in un mortaio il riso glutinoso appena cotto, fino a che formava una pasta appiccicosa da cui si ricavavano dei bocconcini (come quelli nella fot di apertura), da consumare caldi o freddi.

 pestatura tradizionale nel mortaio del riso mochi

Nel periodo Nara (VIII secolo d.C.)  dalla Cina arriva il costosissimo olio, che con la farina di frumento va a costituire la base per un nuovo tipo di dolci fritti, riservati alle classi molto abbienti, gli stessi che ancora oggi vengono offerti nei templi Shinto come dono molto prestigioso alle divinità e sono ritenuti tipici di Nara.

wagashi fritti di Nara, con forme simboliche per l'offerta al tempio

Con i periodi Kamakura e Tenju (XIII-XIV secolo d.C.) la grande svolta: nasce il chanoyu, la cerimonia del tè, che può durare ore o giorni e che viene accompagnata da una serie di piccoli bocconi, in parte per sostentare i partecipanti (da cui ha origine la cucina kaiseki) e in parte per addolcire la bocca dal té servito amaro... da cui la pasticceria wagashi, con youkan (gelatina dolce di fagioli) e manjuu (dolcetti farciti di marmellata di fagioli e cotti a vapore in forno).

youkan

La loro nascita è curiosa perchè si ispirano ad una zuppa di agnello e ad un panino farcito di carne di origine cinese, di cui i Giapponesi hanno mantenuto l'aspetto ed il colore, con gli azuki ad imitare il bruno della carne (il cui uso alimentare era vietato al popolo) e ne hanno cambiato completamente il sapore, la logica e l'utilizzo. Indipendentemente dal chanoyu, infatti, in questa fase nasce l'abitudine di consumare i dolci durante la giornata come snack, e non come un dessert di fine pasto o una componente della colazione, come avviene invece da noi.

momiji-maju autunnali a forma di foglie d'acero

Con il 16° secolo l'era Azuchi-Momoyama porta l'arrivo di Portoghesi e Spagnoli, che oltre al noto tenpura, importarono fucili, Cristianesimo, confetti e il pan di Spagna di uova montate, ovvero il dolce che i Giapponesi rielaborarono e chiamarno kasutera, translitterazione di castella (Castiglia), preparandolo senza latticini, di cui non erano affatto amanti. Questo stile di pasticceria si chiamerà Nambangashi, ovvero dolci di Spagna e Portogallo.

Richiuse accuratamente le frontiere, inizia finalmente il periodo Edo, che dal 1600 al 1867 garantisce al Paese oltre 250 anni di pace e prosperità, niente guerre civili e lavoro per tutti. Ma lo zucchero rimane costosissimo, essendo tutto di importazione e valutato a peso d'argento, quindi il governo limita il numero delle pasticcerie. Ad esempio nella prefettura di Kyoto solo 248 esercizi erano autorizzati al suo utilizzo... tra cui la pasticceria Kameya Yoshinaga, che contribuisce a creare la prima associazione corporativa del settore, ancora oggi esistente come Associazione dei Pasticceri Tradizionali.

ricette di bottega

Le antiche botteghe si tramandano per iscritto le ricette di generazione in generazione e propongono i loro dolci in cataloghi che, prima della fotografia, erano rotoli illustrati a mano, e continuano a competere tra loro per fantasia e perfezione nella realizzazione di dolcetti perfetti sia per gusto che per estetica, legandoli sia agli eventi storici che alle ricorrenze che ai classici motivi della natura di stagione. In epoca Meji (dal 1868 ad oggi) gradualmente prende ad apparire su questi cataloghi anche qualche dolce occidentale.

parte del rotolo-catalogo di epoca Edo di Kameya Yoshinaga

Dopo la seconda guerra mondiale e gli anni di protettorato americano, emerge nelle giovani generazioni una sorta di rifiuto della cultura tradizionale giapponese che investe anche la cucina e la pasticceria e persevera nel tempo. Tanto che anche la giovane Fujita Satomi decide di trasferirsi in Francia per studiare pasticceria, del tutto disinteressata a quella nipponica.

Per fortuna, come alcuni dei suoi colleghi giapponesi, riesce a sviluppare la sua curiosità ed il suo talento in entrambe le direzioni.... ed arriva quindi, nella storia della pasticceria giapponese, l'ennesimo apporto straniero, questa volta portato proprio da una giapponese, che, mediato e sviluppato con sentimento e cultura profondi, da qualche anno da suoi frutti.  Anzi: i suoi wagashi!
presentazione alternativa dei kurozato warabimochi di cui racconto sul Mag

Ma per entrare nel vivo di questa nuova "era" occorre leggersi l'articolo su Mag!
  • rivoli affluenti:
  • ringrazio personalmente il Console Generale Giapponese sig. Tominaga Makoto per la sua cordiale collaborazione, la maestra sig.ra Fujita Saomi e il maestro sig. Yoshimura Yoshi per i loro preziosissimi insegnamenti e la sig.ra Francesca Prato del Consolato per la cortesia del suo supporto tecnico.
  • la foto di apertura e quella del mortaio sono prese qui, quella di youkan e kasutera qui, quella dei dolci fritti qui, dei maju qui

Commenti

  1. Splendido articolo me lo sono goduto veramente. Manderò il link di questo e dell'altro articolo all'amica giapponese che vive ad Osaka. Conosce l'Italia perfettamente sono anni che ci viene ed è anche una traduttrice proprio nell'italiano e lo parla-scrive perfettamente. Le farà piacere leggere. Un abbraccio e buona giornata. (PS. L'amica è questa http://imonologhi.blogspot.com/ )

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    1. uh che bel blog! Perfetto per oggi, che sono a letto ed o il tempo di gustarmelo a fondo. Grazie del link.

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  2. Bellissimo!! Sono qui che leggo incantata 😍

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    1. Io non sono affatto golosa di dolci ma sono interessatissima a quelli giapponesi e, se penso a quanto conti la bellezza e a quanto delicati e poco zuccherini siano i sapori, forse ne capisco anche il perchè...

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  3. Ma quante cose sai? Qui si leggono sempre cose interessanti...e praticamente irreperibili altrove, almeno nel web. Grazie Annalena!

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    1. È il Giappone che si impossessa di me, non faccio apposta...

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