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all'inseguimento di Uffizi da mangiare 1: Giacomo Ceruti e polpette di pane e pesce al limone

Eccomi finalmente all'inseguimento di Uffizi da mangiare, l'iniziativa delle Gallerie degli Uffizi grazie a cui cui l'arte entra in cucina attraverso le parole e le ricette di grandi chef che si ispirano ai meravigliosi dipinti di nature morte appartenenti alla collezione delle Gallerie. 
L'iniziativa, di cui ho messo tutti i riferimenti qui, è partita il 17 gennaio con Ragazzo con cesta di pesci, un dipinto di Giacomo Ceruti, pittore milanese vissuto fra il 1698 ed il 1767, ed io dieci giorni dopo arrivo con il mio più umile Inseguendo l'arte da mangiare, in cui affianco al celebre dipinto proposto dagli Uffizi una ricetta "storica", ovvero che avrebbe potuto essere preparata all'epoca e nell'area di attività dell'autore, utilizzando alcuni degli ingredienti ritratti e cercando di seguire anche lo spirito che l'opera esprime.
Ad esempio: alle attività di ritrattistica e scene di genere per famiglie benestanti o di soggetti sacri per la committenza ecclesiastica, incarichi comuni per gli artisti apprezzati dell'epoca, Giacomo Ceruti affiancava la rappresentazione della povera gente, con tutti i limiti e brutture di una condizione di vita estrema, in quella sorta di  lucido "verismo" presente in diversa pittura lombarda ma in lui particolarmente crudo e affilato. 

Per questo si guadagnò pure il soprannome di Pitocchetto, dal gergale pitocco, poveraccio o, meglio, come lo definisce Camporesi: l'uomo gallina che becca tutto razzolando tra i rifiuti.

Lo testimonia questo dipinto, dove un ragazzo dai vestiti logori e dalle mani screpolate presenta con uno sguardo furbo, curioso ed anche un po' speranzoso, una cesta di pesci, probabilmente in un mercato o alla porta di servizio di una dimora patrizia. 

 Fabio Picchi è lo chef fiorentino a cui è affidata questa prima opera. Come giustamente nota lui, spigola e sogliole son pesci da ricchi, mentre la granseola era alla portata anche del popolino quando, fuori stagione, capitava nelle reti ma era priva di polpa interna, quindi poco appetibile per i palati raffinati. 
Nel suo video su Facebook Picchi racconta infatti di una "povera" zuppa di granseola all'elbana, mentre nella presentazione scritta aggiunge il consiglio di una sua maionese, da accompagnare alla spigola che campeggia in primo piano nel dipinto:

Tutto il pesce, così come la spigola raffigurata nel dipinto, non vuole troppi condimenti e va accompagnato in maniera semplice. Allora serve giusto una buona maionese fatta in casa! 
Fabio Picchi, illustre chef toscano, ci svela la ricetta di una maionese a regola d'arte:

- 6 tuorli di uova biologiche
- 1 nonniente di sale
- ½ litro di olio delle colline fiorentine
- Il succo di un limone
- Un bicchiere di acqua fredda del Santuario de La Verna

Con una forchetta sbattere i tuorli d’uovo con un pizzico di sale, alchemizzando in una fusione “fredda” con un filo di olio in alta caduta e pregando Iddio che la magia avvenga. Il tutto dovrebbe portarvi a un liscio e untuoso composto che si accorpa intorno ai rebbi della medesima posata. 
Raggiunta questa irrinunciabile condizione, aggiungere, continuando l’operazione, il succo sottratto al GialloVerde agrume e alle sue orientali memorie, che avete precedentemente raccolto in un vaso di serra fiorentina. 
Volendo portare a liquida consistenza tutta la maionese, dovrete amalgamare a questo punto l’acqua del Santo, capace di far emozionare Fratelli e Sorelle, Soli e Lune, per costanti e certi e miracoli, come questa maionese adatta alle bianche e delicate carni di un pesce bianco. ...l'Appartenenza al Creato di una semplice maionese!

Per mio piccolo conto, invece, nell'accostarmi al dipinto attraverso una ricetta faccio prevalere l'anima padana del pittore, vissuto tra Lombardia, Veneto ed Emilia, e mi calo contesto sociale in cui probabilmente vive il ragazzo ritratto, immaginandomi come potrebbe cucinare il pesce una famiglia di popolani lombardi di metà '700.

C'è da dire che il pesce fresco in Lombardia ai tempi era soprattutto quello di lago e fiume, e che veniva considerato sulle tavole nobili una "rinuncia" con cui sostituire la carne nei periodi di magro, ancora frequenti all'epoca, e che, come la carne, appariva rarissimamente sulle tavole povere, dove prevalevano pane e zuppe confezionati con cereali, legumi, castagne, cipolle, rape, cavoli, insalate e poche altre verdure e cominciavano la loro timida ascesa patate e polenta. 

La poca frutta a cui si aveva accesso era destinata alla produzione di vino o sidro e alla vendita, quindi rara in stagione e assente in altri periodi, inoltre per le conserve occorrevano zucchero o miele, all'epoca più preziosi ancora della frutta stessa.

A meno di non essere un pescatore o vivere sulle sponde di uno specchio d'acqua o di un torrente, il raro pesce che ci si poteva permettere era quello sotto sale, la cui minima quantità finiva per rappresentare un insaporitore più che una pietanza, esattamente come strutto, sego, lardo o carne secca. Il burro, difficile da conservare ma molto meno costoso dell'olio, era considerato dai ricchi un condimento rustico, dai poveri un lusso di cui si doveva fare a meno nei periodi di magro senza reali alternative.

Non posso dunque riferirmi alle elaborate ricette dei trattati di cucina dell'epoca: vi compaiono delizie che il povero ragazzo non avrebbe mai potuto assaggiare! Che dire, ad esempio, delle golose polpette di carpa con spezie, limone o melangolo (arancia amara), uva passa e sugo d'arrosto (traduzione bolognese del 1682 di pubblicazioni francesi di poco precedenti), oppure della minestra di lasagne con strati di luccio, formaggio, burro fuso e noce moscata (testo piemontese del 1766)? 

Ma, per il fatto stesso di essere riportate nei trattati dei cuochi delle famiglie importanti, diventavano lussuosi in questi contesti anche gli alimenti più semplici, come la polenta alla milanese del romano Apicio moderno del 1790, condita a strati con abbondantissimo burro, formaggio, cannella e tartufo, o come le triglie (o altro pesce comune) al burro fuso, pangrattato, pepe e limone di una ricetta delle coste francesi del 1749.

Perché anche pepe e limone erano roba da ricchi, in Lombardia. Il pepe era ancora una spezia costosissima e per quanto riguarda gli agrumi, quasi "frutti esotici" all'epoca, ad un lombardo comune occorreva vivere nei pressi dei conventi sul Garda (che li coltivavano, dopo averli "importati", come gli ulivi, dalla Liguria) ed intrattenere rapporti cordiali con i monaci per poter portare sulla propria tavola un limone. 

La nuova ventata della cucina francese  di fine '600, però, era penetrata anche il terra lombarda, portando al palato dei benestanti un nuovo gusto, ritenuto più raffinato, per verdura, frutta ed erbe fresche rispetto alle carni, e per carni delicate di allevamento rispetto alla forte cacciagione, oltre ad un'attenzione maggiore per cotture più specializzate, che trovassero uno specifico accordo con gli ingredienti. 

Rispetto alle aromatizzazioni, dunque, i ricchi cominciavano a preferire erbe rinfrescanti al solito carico di spezie, che poco per volta nei piatti salati si riducono quasi solo a pepe, chiodi di garofano e noce moscata, e a gradire condimenti più delicati, con meno presenza di sale, di zucchero e di acido ed aceto, vino e agresto sono sostituiti da salse delicate, la cui lieve acidità era ora affidata al succo di limone o di arancia amara.

Per caso o per fortuna, il nostro ragazzo chissà come aveva a disposizione sia pesce di mare che limone. Immaginiamo quindi che dell'intera cesta di pesce gli sia rimasta invenduta una delle soglioline che stavano sul fondo, che magari si era un po' ciancicata, e che il limone se lo sia fatto scivolare in tasca mentre ammaliava con i suoi occhi furbi la servetta incaricata della spesa.

L'idea di usare sogliola e limone per delle polpette potrebbe avergliela passata proprio lei, magari insieme ad un tocchettino d burro, a qualche suggerimento di preparazione e all'idea che un piatto, come da nuove mode, era da signori anche con ingredienti semplici.
Una volta consegnato tutto alla madre, lei con buon senso popolano avrà pensato di adattare  la ricetta suggerita dalla ragazza a quello che aveva in casa e di unire alla polpa di quel pesciolino abbondante pane duro, sfruttando come profumi il prezioso limone e qualche erba comune della zona, ssenza buttare nulla, così tutta la famiglia quella sera avrebbe cenato con un vero "piatto da signori"!

La ricetta storica "ricca" che ispira la mia ricetta, quella che la servetta potrebbe aver raccontato al ragazzo, è tratta dariportata in calce. Accompagno la sua storia con il meraviglioso acquarello che il dipinto di Ceruti ha ispirato ad Eleonora, donna preziosa e dai molti talenti, tra cui anche quello della pittura. Spero abbia la possibilità di affiancarmi a lungo in questa avventura! 
Ed eccoci invece al piatto con cui avrebbero potuto cenare a casa del Ragazzo con cesta di pesci in quella lontana sera di metà '700. Se dovessi pensarlo oggi non lesserei la sogliola, non panerei le polpette e con limone ed erbe creerei anche una salsa... ma non sarei una popolana del '700 lombardo!

POLPETTE DI PANE E PESCE AL LIMONE, CON GIACOMO CERUTI
ingredienti per 4 persone:
1 sogliola, circa 300 g
1 limone non trattato
1 cipolla
1 uovo
1 pezzo di formaggio stagionato, circa 30 g
1 pezzo di pane nero raffermo, circa 80 g
3 foglie di salvia
1 foglia di alloro
1 noce di burro, circa 40 g
sale

Eliminare interiora e pelle della sogliola, disporla in un tegame con mezza foglia di alloro e una rondella di limone, coprire poco più che a filo con acqua, portare a leggero bollore, salare appena e cuocere per circa 3 o 4 minuti, fino a che la polpa è bianca. Scolare (conservando il fumetto) e lasciar intiepidire.

Privare il pane della crosta (senza eliminarla), ridurlo a pezzetti e metterli a bagno in un po' di acqua di cottura del pesce ancora calda. Tritare finemente la crosta del pane: ne vengono circa 2 cucchiai.
 
Eliminare testa, coda e lische della sogliola e ridurne la polpa in fiocchi. Se ne ottengono circa 100 g, da disporre in una terrina.

Tritare la cipolla e stufarla a fuoco basso in metà burro fino a che è trasparente, unendo se serve una cucchiaiata o due di fumetto in modo che resti morbida e non prenda colore; spegnere, levare dal tegame metà delle cipolle, scolandole bene, ed unirle alla polpa di pesce.

Strizzare bene il pane ammollato, sbriciolarlo e unirlo al pesce. Grattugiare il formaggio; tritare le 2 foglie più piccole di salvia; spremere il limone e grattugiarne la scorza. Unire al pesce l'uovo, il formaggio, la salvia tritata, metà scorza di limone e metà del suo succo.

Mescolare bene, regolare di sale se serve, quindi formare una ventina di morbide polpette grosse come noci e rotolarle nelle croste di pane tritate. 

Scaldare di nuovo il tegame con le cipolle unendo l'ultima foglia di salvia e il burro fresco; rosolarvi le polpette fino a che sia loro che le cipolle sono belle dorate.

Spegnere, unire la scorza e il succo di limone rimasti, mescolare e servire. 
  • rivoli affluenti:
  • la ricetta di partenza è tratta da "Il cuoco francese ove è insegnata la maniera di condire ogni sorte di vivande..." del signor de La Varenne, un testo pubblicato da anonimo a Bologna nel 1682 e ristampato fino al 1818, che è in verità la traduzione ed assemblaggio di tre diversi testi anonimi francesi, in cui La Varenne non c'entra affatto. La ricetta qui trascritta è riportata in: Bemporat Claudio, Storia della gastronomia italiana, Mursia Editore, 1990:
  • PICCATIGLIO, E POLPETTE DI PESCE
    Pigliate v.g. una Raina, oueramente altro pesce, leuate le suamme se ue ne sono, di poi cauate fuora le interiora, di poi scarnate il pesce con un cortello, e se vi saranno assai reste framischiate, bisogna leuarle con diligenza. 
    Alcuni fanno stare qualche tempo a molle i pesce dentro dell’acqua quasi bollente per attenerir la carne, e per leuar più facilmente le reste: ma ciò leua il sapore del pesce, essendo leuate le reste, bisognerà tritar la carne ben minuta, con un poco di petrosello, o del sale, vi si ponno aggiongere alcuni funghi spezzati. Mettere il piccatiglio dentro un piatto con del butiro, un poco di pepe, o speziarie, un poco di scorza di melangolo, o di limone, ouero alcuni garoffali, un poco di agresta, ouero una cipolla o scalogna, se vi volete, con un poco di passerina, e de’ pignoli, se vi piace il dolce. 
    Alcuni fanno cuocere la testa, e la coda del pesce col piccatiglio. 
    Bisogna riuoltare e rimuouere di quanto in quanto il piccatiglio, e quando è cotto, cauar via la scalogna, o cipolla, dipoi raschiarui un poco di noce muscata, e metter sopra del pesce fettoline di pane fritto, alcuni vi aggiungono un poco d’intingolo di carpio, oueramente di salsa di Germania, ò del succo di carne arrosta. 
    Per fare le polpette, bisogna pigliare del piccatiglio crudo di pesce ben condito, inaffiandolo con un poco di vino bianco, ouero dell’agresta, o della chiara d’oua, spremendolo colle mani per formarne le polpette, e di poi farle cuocere con del butiro, e della midolla, & il resto de gl’ingredienti: Vi si possono misticare delli rossi, e delle chiare d’oua dure nel piccatiglio, e nelle polpette.
  • altri testi consultati:

  • Camporesi Piero, Il paese della fame, Garzanti, 2000, ISBN 88-1167671-1
  • Fabbri Dall’Oglio Maria Attilia, Fortis Alessandro, Il gastronomo errante Giacomo Casanova, R& A, 1998 
  • Flandrin Jean-Louis, “L’alimentazione contadina in un’economia di sostentamento”, in Flandrin Jean-Louis, Montanari Massimo (cura), Storia dell’alimentazione, Editori Laterza, 1996, ISBN 88-420-5347-3
  • Flandrin Jean-Louis, “Scelte alimentari e arte culinaria (secoli XVI- XVIII)”, ibidem
  • Veca Alberto, “Immagini del cibo nell’arte moderna”, ibidem
  • l'immagine del dipinto di Ceruti è presa qui, quella dello chef Picchi qui

Commenti

  1. Che dire, già da sole siete due forze della natura, insieme formate un positivissimo tsunami. Interessante cosa sei riuscita a trarre da un dipinto, davvero interessante. Le polpette sono molto appetitose.
    Spero che la collaborazione continui.

    RispondiElimina
  2. Che dire, già da sole siete due forze della natura, insieme formate un positivissimo tsunami. Interessante cosa sei riuscita a trarre da un dipinto, davvero interessante. Le polpette sono molto appetitose.
    Spero che la collaborazione continui.

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  3. Che dire, già da sole siete due forze della natura, insieme formate un positivissimo tsunami. Interessante cosa sei riuscita a trarre da un dipinto, davvero interessante. Le polpette sono molto appetitose.
    Spero che la collaborazione continui.

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    1. lo spero tanto pure io, perchè al momento ci stiamo divertendo come matte ;)

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  4. Veramente grande ci si insinua nel periodo proprio attraverso il tuo racconto. È un piacere leggerti si impara e su acquisiscono nozioni forse dimenticate o mai lette. Grazie, le polpette da fare ma la maionese purtroppo no troppo grassa e l'uovo intollerante per me. Grazie ancora e buona giornata.

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    1. guarda... la ricetta di Picchi non è pesantissima, se consideri l'acqua, ma hai un'alternativa facile: con il fumetto della sogliola, un goccio di olio e un cucchiaino di farina fai una vellutata, la profumi con erbe e limone e hai risolto.

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  5. Questo mo era sfuggito. Ora non me li farò più sfuggire

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