Passa ai contenuti principali

carne giapponese Wagyu in Italia e come cucinarla

Grazie al Consolato Giapponese di Milano ho potuto partecipare ad un interessante incontro della stampa italiana con esponenti del Ministero Giapponese dell’Agricoltura, del Ministero della Cultura e del loro Ente Nazionale del Turismo, in cui ci si è confrontati sulla diffusione della cucina giapponese in Italia, sulla conoscenza che se ne ha nel nostro Paese e sulla volontà nipponica di promuovere maggiormente i loro prodotti alimentari in Italia. 

So di essere su questi argomenti una interlocutrice privilegiata, perché per cucinare giapponese a casa mia almeno un paio di volte a settimana non ho avuto bisogno di attendere che il washoku (cucina tradizionale giapponese) venisse proclamato Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco nel 2013, ne’ di vedercelo insegnare e servire in infinite occasioni durante Expo 2015: sono Japanese inside da decenni!

Anche se con un po' di ricerca ho sempre reperito la materia prima, vivere ora a Milano certamente mi facilita nel trovare ingredienti autentici, così come chi abita a Tokyo riesce a cucinare veramente italiano a casa con facilità. Allo stesso modo, se si trovano a Tokyo dei ristoranti italiani assolutamente credibili, lo stesso succede nella mia città d’adozione, dove sono situati oltre una trentina di locali autentici tra i 160.000 del mondo e i 13.300 europei. 

Gli interlocutori giapponesi durante il dibattito  erano fiduciosi sulla crescita delle esportazioni di alimenti nipponici anche nel nostro Paese e chiedevano a noi quali conoscessimo ed usassimo, visto che i turisti italiani che (prima del Covid e si spera presto di nuovo) arrivano in Giappone si dimostravano molto sorpresi dalla varietà della loro cucina e delle sue declinazioni sia regionali che stagionali.

Qui in effetti di cucina giapponese mediamente conosciamo solo sushi, ramen, tenpura e poco altro, e spesso la confondiamo con quella proposta dagli all you can eat, che hanno gusti adeguati al palato occidentale e qualità bassa ed omologata di prodotti e di lavorazione per contenere i costi. Finiscono insomma per offrire prodotti totalmente slegati dalla tradizione giapponese, per non parlare delle località di origine e della stagionalità di pesce e verdure, mai prese in considerazione. 

Di tale fenomeno imitativo gli interlocutori giapponesi dell’incontro non erano esattamente al corrente e, se tutti riteniamo giusto che ogni cucina "esportata" con il tempo si fonda con la cultura locale, e la spessa, soffice e farcitissima pizza americana ne è un esempio, resta meno comprensibile come certi prodotti possano essere spacciati per "cucina autentica2 o "cucina tradizionale". Ogni tanto mangio volentieri un trancio da Pizza Hut, per dire, ma non la ritengo certo una pizza napoletana verace...

Fino a poco tempo fa il Giappone ha selezionato gli alimenti da esportare all'estero in base alle preferenze di gusto della popolazione nipponica, mentre ora si stanno rendendo conto che forse il mercato estero ed in specifico italiano è pronto anche per conoscere altri sapori. 

Per questo stanno promuovendo iniziative di diffusione della conoscenza del washoku insieme ai 日本料理新善大師, Nihon ryōri shinzen daishi, gli “Maestri virtuosi", o meglio "Ambasciatori di buona volontà della Cucina Giapponese” cioè a ristoratori e negozianti che propongono da tempo prodotti giapponesi autentici all’estero. Se nel mondo sono circa 8.000, in Italia si contano 73 ristoratori e 30 negozi “ambasciatori”, e si mira ad aumentarne la diffusione perché anche per noi sia facile acquistare sotto casa alimenti giapponesi e gustarne le specialità al ristorante. 

In specifico abbiamo così fatto la conoscenza, attraverso due di loro, di un prodotto iconico per i Giapponesi ma per loro di diffusione relativamente recente, e molto meno conosciuto da noi, anche se sta lentamente prendendo piede presso gli appassionati di carne, tanto da fare capolino anche nel banco frigo di alcuni supermercati. 
Parlo della carne di manzo Wagyu, di cui in Giappone esistono 4 razze che si differenziano per zona di allevamento del bestiame e per proporzione tra polpa e grasso e reticolo di marezzatura della carne, ovvero la caratteristica distribuzione del grasso tra le fibre rosse di questo tipo di carni, che conferisce loro tenerezza in cottura e sapore ricco e delicato. 
In Italia lo conosciamo solo come "manzo di Kobe", ma i marchi di allevatori Wagyu sono oltre cento, sparsi in tutto il Paese, prendono spesso il nome della località in cui operano e sono gli unici autorizzati ad utilizzare il sigillo di garanzia qui sotto, che certifica che si tratta di manzi Wagyu allevati totalmente in Giappone secondo le modalità tradizionali.
Nonostante il consumo di carne fosse vietato in Giappone fino a oltre metà dell’800, si sono nel frattempo gradualmente sviluppate nel Paese molte ricette adatte alle caratteristiche di questa particolare carne, e se ne possono assaggiare diverse nei ristoranti autentici giapponesi in Italia. Per questo è stato interessante conoscere questo ingrediente attraverso testimonial “ambasciatori” di prestigio come lo chef Ichikawa dell'omonimo ristorante o il negozio di alimenti Poporoya, situato all'interno della tradizionale e celeberrima sushiya meneghina.
Il maestro Ichikawa per presentare le caratteristiche di questo manzo in cucina ha spiegato passo passo la ricetta del suo Wagyu no sunomono (letteralmente “manzo Wagyu all’aceto”), ma durante la degustazione ho potuto anche assaggiare un suo nigiri di Wagyu, scottato e profumato con una goccia di salsa teriyaki, ed anche il suo Wagyu sukiyaki carne stufata nella sua personale interpretazione a rotolino, con nodo di shirataki, uovo poché, funghi shijtake, spinaci e carote.
Nel negozio Poporoya ho invece trovato tutti gli ingredienti giapponesi utili per cucinarmi a casa il manzo all’aceto, ed ho scoperto che all’iniziativa dei Ministeri si affianca quella della Associazione Giapponese Allevatori (Nihon chikusan kyōkai), che sta promuovendo in questo periodo la carne di manzo Wagyu a prezzi speciali in molti ristoranti autentici giapponesi. 
E infatti nel ristorante Shiro, di fronte a Poporoya, ho assaggiato Hidawagyu steak, un tataki di carne Wagyu della prefettura di Gifu (l'antica Hida) scottata e servita con salsa ponzu, dei deliziosi Wagyu gyoza farciti di Wagyu, cavoli e cipollotti e degli Hidawagyu nigiri con carne sia cruda che scottata.
Al ristorante Endo invece, dove sono sempre disponibili i tradizionalissimi shabu shabusukiyaki, in questo periodo spuntano piccole golosità a base di Wagyu che cambiano ogni giorno. 
Ma perché continuare a parlare? Mettiamoci piuttosto in cucina! Procuriamoci carne Wagyu (spesso disponibile anche ai banchi frigo di Esselunga e Iper), che proprio per le sue caratteristiche va conservata bene al freddo ma non ha bisogno di aggiunta di condimenti grassi perché resta saporita, molto tenera e “scioglievole” di suo. 

Possiamo, per una preparazione semplice ma intensa, tagliarla a fettine sottili, scottarla velocemente a secco in padella molto calda e condirla con una goccia di salsa di soia diluita con poco aceto di riso e/o succo di limone. oppure seguire le indicazioni dello chef Ichikawa e deliziarci con la sua gustosissima creazione...

Per l'intenso sapore umami del Wagyu lo chef Ichikawa ha pensato di accompagnarlo a gamberi dolci ed a verdurine croccanti, profumando infine l’insieme con una fresca salsa Tosazu (ovvero all’aceto di Tosa, molto rinomato), in modo che tutti gli aromi siano non solo individuabili ma ne vengano esaltati. Conviene prepararla in maggiori quantità perchè si conserva in frigo anche un mese ed è perfetto accompagnamento per verdure cotte, insalate... e ovviamente carne.

Tutti gli ingredienti giapponesi sotto citati sono in vendita da Poporoya, tranne elementi freschi come le alghe mozuku, secondo me sostituibili con alghe wakame ammollate in acqua fredda per un minuto, gli hanawasabi, sostituibili con nostri fiori eduli oppure con foglie di shiso o basilico, e lo yamaimo, che si può sostituire con daikon o rapanelli. Diciamo che tenendo fissa l'idea base con involtini di carne e gamberi e salsa Tosazu, il resto può subire piacevoli varianti, anche in base ai gusto personali e alla stagione. Così infatti la pensa lo chef Ichikawa, che ci ha dato una ricetta e poi in verità ne ha impiattate altre tre!

WAGYU NO SUNOMONO – INSALATA DI CARNE WAGUYU ALL'ACETO, DI CHEF ICHIKAWA
Per ogni porzione: 
50-80 g di di carne Wagyu in fette spesse 2 mm
2 gamberi freschissimi
1 pomodorino (in omaggio all’Italia)
1 okra, o asparago, o altra verdura di stagione
2 fettine di peperoncino rosso fresco
1 pezzetto di yamaimo (patata di montagna giapponese)
5 g di ikura, uova di salmone, marinate brevemente in qualche goccia di salsa di soia
1 cucchiaio di alghe mozuku (o foglie di wasabi conservate)
1 cucchiaino di hanawasabi (fiori di wasabi)

per la salsa Tosazu:
60ml di acqua
30 ml di salsa di soia
30 ml di aceto di riso
30 ml di mirin
1 cucchiaio di katsuobushi (scaglie di tonnetto secco)

Per la salsa scaldare in un pentolino l’acqua con soia, mirin e aceto; appena sobbolle unire il katsuobushi, mescolare, spegnere, attendere un minuto e poi filtrare.

Tagliare il pomodorino a metà per il lungo, l’okra in pezzetti da 3 o 4 cm con taglio diagonale, e ricavare dallo yamaimo 4 mezze rondelle sottili.
 
Sgusciare i gamberi ed aprirli a libro, levando il filo nero. Fiammeggiare (o scottare molto velocemente sulla piastra) le fettine di carne ed i gamberi sui due lati, quindi avvolgere i gamberi nella carne, tagliare l’involtino in 2 e disporre tutto nel piatto.

Aggiungere le verdure preparate, le alghe, i fiori di wasabi, decorare la sommità degli involtini con le uova di salmone e versare 2 o 3 cucchiai di salsa Tosazu sul fondo del piatto.
  • rivoli affluenti:
  • le foto  dei tagli di carne e delle varietà di manzi Wagyu vengono da qui

Commenti

  1. Molto interessante ma solo una giapponese dentro come ti definisci ha questa cura nel racco fare spiegare e farci gustare. A Trieste purtroppo tagli di questa carne è pressoché sconosciuta. Ristorante giapponese esiste solo uno se poi effettivamente usa ingredienti giapponesi non lo so è anche se ci fossi andata non saprei distinguere non conoscendo la cucina ma solo quelle cose poche che citi.
    Non potrò mai replicare la tua ricetta è purtroppo prodotti etnici qui a Trieste pochi veri, ora ce uno nuovo ma on prevalenza prodotti cinesi o comunque orientali ma di giapponesi pochissimi. Hanno anche prodotti surgelati ma sinceramente non mi fido. Al momento attendo di sentire altre voci. Grazie dell'interessante post, buona giornata.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti si è cominciato da poco ad importare in Italia questa carne e non è al momento molto diffusa. Parlarne serve proprio a renderla più conosciuta. Chissà che stuzzicando la curiosità non si crei più interesse, e dunque maggiore distribuzione...

      Elimina
  2. Questo articolo ha solleticato la mia curiosità, proverò a cercare e trovare questa carne particolare. Complimenti per la chiarezza

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, amo la cucina giapponese e spero che attraverso una informazione corretta possa diventare più facile distinguere quella autentica anche in Italia

      Elimina
  3. In effetti molti itlaliani sono convinti che la cucina giapponese sia sostanzialmente sushi, così come in America sono convinti che pranziamo sempre a base di spaghetti con le polpette. Interessante leggere qualcosa di decisamente più autentico!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non ti resta che provare altre preparazioni, allora 😉. Se non hai ristorantini fidati vicino a te trovi molte ricette facili in questo blog che puoi cucinare anche a casa.

      Elimina
  4. Ti seguo da Roma, grazie per la completezza delle informazioni e per la chiarezza nella spiegazione delle ricette. Ho visto questo taglio di carne da un mio macellaio di fiducia ma non l'ho mai provato. Ora lo farò senz'altro.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Roma, come Milano e altre grandi città italiane, sono ricche di negozi di cibo straniero di qualità. Siamo fortunati!

      Elimina
  5. Siamo una coppia di una certa età e questa è una novità. Ci ha incuriosito e vedremo di approfondirne la conoscenza!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La curiosità nei confronti del nuovo è sempre sinonimo di intelligenza, a qualsiasi età.

      Elimina
  6. Mi ha introdotto all'argomento Wagyu mio figlio 12enne, che mi ha anche portato davanti al banco della carne al supermercato e mi ha "mostrato l'articolo"... Quindi abbiamo letto insieme con grande curiosità e coinvolgimento questo post. Davvero interessante conoscere da una "giapponese inside" anche la storia di questa carne, che forse ora sta diventando un po' "modaiola" senza che se ne conoscano le origini. Ora siamo pronti ad affrontare meglio l'argomento ... e l'assaggio!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Fatemi sapere allora. E complimenti al dodicenne: evidentemente cresce bene!

      Elimina

Posta un commento

post più popolari

MTC di settembre 2014: un sacco di riso!

Diceva un vecchio slogan anarchico: "con l'ironia abbatteremo il potere e un sacco di riso lo seppellirà".  A no? Erano risate?! Va be'... per un MTC di questa portata ci si può anche concedere una licenza! Premessa... ... avevo scritto un post lunghissimo per raccontare perché e per come ho scelto questo tema per l'MTChallenge di settembre 2014. Poi l'ho ridotto della metà, lasciando solo alcune note che mi sembravano indispensabili, e l'ho mandato alla Gennaro per un parere.  E lei ha detto che un terzo di quanto le ho mostrato era già troppo! Allora ho ricomposto alcuni dei contenuti in articoli di supporto da pubblicare più avanti ed ho cassato il resto. Qui è rimasto il riassunto della selezione della selezione, ovvero il puro tema dell'MTC. Che, mi spiace, adesso vi tocca leggere per intero! Se scegliere un ingrediente invece che una ricetta tende ad allargare gli orizzonti, questa volta scegliere IL RISO , come capirete, li spalanca fran

a tu per tu con il Fleischkäse svizzero, questo sconosciuto di famiglia

Nel curioso elenco dei cibi svizzeri che hanno caratterizzato la mia infanzia mi rendo conto che, fatto strano, sul blog non ho ancora parlato del  Fleischkäse, una via di mezzo tra un polpettone ed un würstel gigante di cui da bambini venivamo spesso nutriti. Ma un episodio di vita vera me lo ha messo sotto il naso proprio l'altro giorno, ed eccomi qui con il mio reportage storico-familiare. Alcuni Svizzeri, come quelli di casa mia, vivono il   Fleischkäse come un salume, da comprare pronto, intero o affettato sottile in buste, da servire in tavola come fosse prosciutto cotto o da infilare nei panini per merenda con maionese, senape e cipolline sottaceto (Be'... che c'è?! Se mia mamma per evitare che noi figli mangiassimo troppa Nutella la teneva in frigo ad indurire, così era più difficile da spalmare e sul pane se ne metteva di meno, perché stupirsi di quella che lei invece considerava una merenda "sana"?!) Altri amanti del  Fleischkäse  lo compran

una salsa di cipolle svizzera per würstel e per mamme lavoratrici

Lo so: sono rimasta indietro di una puntata! Parlavo di  ricette svizzere  quando un'irrefrenabile tentazione di cibo americano  si è intrufolata in cucina ed ha avuto  la meglio. Riprendo ora il filo con un piatto che ho proposto pochi giorni fa anche alla mia cara mammina svizzera in occasione del suo compleanno: Bratwurst con salsa di cipolle. L'aspetto curioso non sta tanto nel tipo di würstel utilizzato, una salsiccia bianca di vitello il cui nome per alcuni significa "salsiccia di carne spezzettata" e per altri "salsiccia da arrostire". In Germania di solito viene speziata in modo deciso con pepe, noce moscata e/o cumino, mentre in Svizzera il suo sapore è molto più delicato. In Ticino ne esiste una versione mignon, una "collana" di micro-salsiccine detta cipollata  non perchè contenga cipolle ma perchè, appunto, di solito si serve in salsa di cipolle. Ma, a casa della mia mamma lavoratrice senza tempo ne' passione per la cucina,

MTC giugno 2011... verso Oriente!

Continuo a pensare che le giudici  titolari  e aggiunte  dell'MTC fossero completamente fuori quando hanno passato a me il testimone e nessuno potrà convincermi del contrario, anche perchè potevano ben immaginare in che gorgo storico-etnico-confusionale avrei trascinato la sfida... ma si sono fidate lo stesso! No, è oggettivo: non possono essere completamente normali... Accertato questo, dichiaro anche di non essermi mai emozionata tanto nello scrivere un post e soprattutto nel proporre una ricetta, sentendo tanti occhi puntati addosso ed il fiato trattenuto di tanti MTC addicted... Ebbene sì, rilassatevi (o disperatevi) pure: come temevate, questa volta si va davvero tutti in Giappone! Niente succede per caso, si sa. Tanto è vero che l'eterno girovagare di Marco Polo (a cui faccio da qualche tempo da vivandiera ) l'ha portato proprio a questo punto del suo viaggio a confrontarsi con  Cipango , il Paese del Sol Levante... Come potevo non cogliere il suggerimento di un s

peperoni farciti alla croata: massaia batte bustina millemila a zero!

Riprendere a parlare di cucina non è facilissimo, soprattutto con il tono scanzonato che avevo in mente per questo post. Mi limiterò all'aspetto "documentaristico" ed umano, che l'umore magari sa beneficiare della concentrazione e della dolcezza richieste da una simile impostazione. Dopo una lunga serie di articoli e ricette a base di riso penso di cambiare direzione dedicandomi ai peperoni bianchi croati che di solito si cucinano ripieni di carne, per scoprire poi che nella farcia è presente riso crudo. Quando si dice il caso... I peperoni bianchi, babura paprika, in Croazia sono reperibili facilmente proprio in questa stagione. Ne ho in frigo tre e decido di prepararli, appunto, come  punjene paprike , ovvero farciti e cotti nel pomodoro, ricetta tipica che con piccole varianti è diffusa anche in altri Paesi limitrofi e che ogni famiglia, ovviamente, prepara secondo i propri criteri. La versione più semplice prevede di profumare carne trita di manzo o m

riso Otello: un nero integral(ista)

Il primo giorno di autunno una ricetta con le ultime verdure estive, che sono ancora buone visto che sembra far più caldo ora che nei mesi trascorsi... Sollecitata da alcuni dubbi posti sulle modalità di cottura del riso integrale e sull'utilizzo di varietà di riso "esotiche", ho pensato di provare le risposte sul campo e chiarire soprattutto le idee a me stessa, la prima che ha tutto ancora da imparare. Così, per prendere due piccioni con una fava, ho scelto un riso sia nero che integrale. No, non famoso ed idolatrato riso Venere, fantastica varietà di nobile origine cinese che, grazie a opportune ibridazioni, ora è coltivato anche in Italia.  Ho pescato  invece una varietà tutta italiana: il riso Otello, che deriva anch'esso da varietà cinesi ma è di concezione e di coltivazione tutta nostrana. Chissà se il  nome è stato ispirato ispirato dal famoso personaggio shakespeariano, dalla sua pelle scura e dalla sua natura piuttosto integral ista... Si utilizz

precisazione:

Per carattere tendo a tenermi in disparte e so che un comportamento simile in rete rema contro la normale volontà di visibilità di un blog che si rispetti: ho ricevuto spesso critiche per questo.
Mi hanno anche fatto notare che non sempre racconto le manifestazioni a cui sono invitata da aziende e che non polemizzo con chi ha utilizzato i miei testi o le mie foto senza citare il mio blog.
Ringrazio con passione chi mi rivolge queste critiche per affetto e chi mi sopporta lo stesso, nonostante non segua i loro consigli!