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pastasciutta e coccarde, per la gioia della libertà

Ognuno vive la propria infanzia come "normalità", fino a che non prende coscienza di sé e non comincia a confrontarsi con l'altro e con esperienze differenti dalla propria. Così solo verso la fine delle elementari mi sono conto che i racconti che ascoltavo tutti i giorni, rapita, pendendo dalle labbra di mio nonno erano diversi da quelli che sentivano altri bambini.

Insieme a filastrocche e canzoncine che mi insegnavano a scuola o all'oratorio per me era "normale" imparare dal nonno i canti della Resistenza e quelli degli Alpini della Prima Guerra Mondiale, accomunati da un nemico simile e dallo stesso coraggioso, dolente cuore.

I suoi racconti invece non parlavano di fate o draghi ma di fantasiosi escamotage per procurare viveri ai partigiani nascosti, di dispetti ai soldati tedeschi, di blitz per liberare prigionieri antifascisti, di resistenza alle torture in carcere, di sopravvivenza nel campo di concentramento di Fossoli, di una rocambolesca fuga al momento di salire sul treno diretto a Dachau, e anche di una bella mattina di 25 aprile in cui comprò tutti i nastri bianchi rossi e verdi della merceria, compose coccarde e girò per le strade della città regalandole a chiunque incontrasse.

Ci ho messo qualche altro anno poi per rendermi conto che avevo avuto l'onore di sedermi sulle ginocchia della Storia e la fortuna immensa di sentirmela raccontare dal vivo, senza doverla imparare solo dai libri. Anche se, ovviamente, da allora libri sull'argomento non ho mai smesso di leggerli. 

Oggi voglio citarne uno che testimonia un'esperienza fortissima, differente per alcuni versi da quella di mio nonno e purtroppo dagli esiti più tragici ma, anche per questo, sicuramente molto più nota. Riassumo brevemente la vicenda dei sette fratelli Cervi, anche se è indispensabile leggere il libro scritto dal loro padre per capire in pieno la portata della vicenda: famiglia contadina dell'Emilia con sette figli maschi tra i 22 ed i 42 anni, partecipano tutti alla lotta antifascista ed aiutano i partigiani ed i disertori fascisti in molti modi. 

Il 25 luglio del 1943, quando si sparge la notizia dell'arresto di Mussolini, la famiglia decide di festeggiare preparando pastasciutta da distribuire all'intero circondario, nonostante arrivi presto la notizia che Badoglio intende continuare la guerra a fianco dei Tedeschi. A fine novembre dello stesso anno, padre e figli sono arrestati e poi, il 28 dicembre 1943, i sette ragazzi vengono fucilati. Verranno insigniti nel 1947 della Medaglia d'argento al Valor Militare.

Oggi celebro la libertà vera, di cui godiamo grazie a persone che non ci sono più, celebrando in specifico la loro capacità di gioire e la felicità grande, se pur breve, che hanno potuto provare di fronte anche solo alla "sensazione" di libertà. Dunque la importantissima pastasciutta emiliana del 25 luglio 1943, insieme alle più private coccarde varesine del 25 aprile 1945. 

Per la ricetta della pasta mi rifaccio al racconto di Alcide Cervi, il papà dei sette fratelli. Pochi ingredienti semplici, i soli reperibili in quel momento: tagliatelle di acqua e farina, tirate a mano e condite con burro, parmigiano e la volontà di credere che il futuro può sempre essere migliore, se ci impegniamo a modificare il presente.

“Il 25 luglio vengono e ci dicono che il fascismo è caduto, che Mussolini è in galera. È festa per tutti. La notte canti e balli sull’aia. [...] Aldo che ci ricorda la frase di Badoglio: la guerra continua al fianco dei tedeschi. Ma è sempre Aldo che ci dice di far esplodere la contentezza, intanto si vedrà. E propone: papà, offriamo una pastasciutta a tutto il paese. Bene dico io, almeno la mangia. E subito all’organizzazione. Prendiamo il formaggio dalla latteria, in conto del burro che Alcide Cervi si impegna a consegnare gratuitamente per un certo tempo quanto basta. La farina l’avevamo in casa, altri contadini l’hanno pure data, e sembrava che dicesse mangiami, ora che il fascismo e la tristizia erano andati a ramengo. Facciamo vari quintali di pastasciutta, insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitano nelle case, intorno alle caldaie, c’è un grande assaggiare la cottura, e il bollore suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo, ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore. Guardavo i miei ragazzi che saltavano e baciavano le putele, e dicevo: beati loro, sono giovani e vivranno in democrazia, vedranno lo Stato del popolo. Io sono vecchio e per me questa è l’ultima domenica. Ma intanto la pastasciutta è cotta, e colmiamo i carri con le pile. Per la strada i contadini salutano, tanti si accodano al carro, è il più bel funerale del fascismo. [...]Uno dice: mettiamoli tutti in fila, per la razione. Nando interviene: perché? Se uno passa due volte è segno che ha fame per due. E allora pastasciutta allo sbrago, finché va." 

PASTASCIUTTA DELLA GIOIA PER LA LIBERTA'
ingredienti per 4 persone:
280 g di farina 
130 g di burro
100 g di parmigiano grattugiato
sale

Impastare la farina con circa 150 g di acqua, lavorare in un panetto uniforme e far riposare coperto mezz'oretta.

Stendere in una sfoglia sottile e ricavarne delle strisce, tra tagliatelle e pappardelle, da lessare in abbondante acqua bollente. 

Fondere il burro, versarvi la pasta scolata al dente, mescolare bene, unire quasi tutto il parmigiano spegnere e servire, con un'altra piccola spolverata di formaggio. 

  • rivoli affluenti:
  • il brano è tratto da: Alcide Cervi, I miei sette figli, 1951, Ed. Einaudi 2014, ISBN 9788806221157
  • il testo del libro è scaricabile in pdf qui
  • la foto dei fratelli Cervi è presa dal sito dell'Istituto Cervi che promuove la memoria della famiglia e la loro eredità culturale
  • la foto della vecchia carta di identità mio nonno, rilasciata un paio di mesi dopo il 25 aprile 1945, è scattata da me. L'immagine è da ritenersi di proprietà personale e riservata e NON AUTORIZZO nessuno a farne uso senza esplicito consenso mio o della mia famiglia. Specifico anche che trovare foto di mio nonno in vendita su Ebay mi è apparsa una mancanza assoluta di rispetto nei confronti suoi, della sua storia e di noi eredi.

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