Laghi, valli, monti, fiumi... In questa parte del viaggio Marco Polo ha l'occasione di confrontarsi con i paesaggi naturali di terre antichissime, che già ai suoi tempi testimoniavano l'evoluzione dell'uomo e lo sviluppo di successivi gradi di civilizzazione. La civiltà armena, ad esempio, è fra le più antiche al mondo, essendo contemporanea di quelle babilonese, assira ed egiziana. Addirittura nel 301 d.C. adottò per prima il Cristianesimo come religione ufficiale.
Ad ogni passo si dice che scavando sarebbe possibile trovare reperti che raccontino storie di civiltà antiche, tanto è vero che un proverbio locale sostiene che, come una goccia d'acqua può raccontare qualcosa dell'oceano, così l'Armenia può farlo per la storia dell'umanità intera... Tutte le terre pre-caucasiche che oggi corrispondono con l'estrema Turchia asiatica, l'Armenia e la Georgia si possono davvero considerare una sorta di culla dell'umanità.
Ma probabilmente a Marco interessavano meno le testimonianze storiche ed archeologiche rispetto all'incontro con paesaggi sconosciuti, nuove merci da commerciare, persone ed usanze per lui bizzarre e magari anche cibi e bevande inconsueti. Ed in questo senso in realtà la valle del monte Ararat non doveva probabilmente risultargli poi così estranea, visto che anche allora, oltre ad essere popolata da gente gioviale e disponibile alle bisbocce, era una terra fertilissima, con immensi frutteti ricchi di albicocche, pesche, pere e melagrani, ma soprattutto ricoperta di vigneti!
L'Armenia in generale era anche allora considerata, insieme alla Grecia classica, la terra di origine della viticultura e del buon vino; in molti siti archeologici si trovano infatti ancora antiche brocche di vino, talvolta coi resti dell'antico nettare condensati sulle pareti.
Una leggenda racconta addirittura che Noè piantò il primo vigneto nell'altopiano dell'Ararat, che da allora produrrebbe, grazie anche ad un perfetto microclima, ad un terreno ottimale ed alla profonda sapienza dei coltivatori, un vino dal gusto e dal profumo unici ed inconfondibili. Probabilmente ci si riferisce all'Areni, un vino rosso prodotto ancora oggi dalle viti del più antico vigneto del mondo, sembra risalente addirittura al 1000 a.C.
Uva e vino sono dunque da sempre parte integrante dello stile di vita delle popolazioni del luogo, che quando organizzavano un banchetto tradizionale (in Georgiano una supra, che significa letteralmente "tovaglia")proponevano incredibili quantià di portate e bevande a fiumi. E per essere sicuri di non offendere il padrone di casa era buona norma non rifiutare mai quando veniva offerto da bere.
Tutto il banchetto ruotava intorno ad una serie di brindisi molto particolari, consistenti in raccontini, motti o poesiole proposte dal tamada, il responsabile dei brindisi. Spesso si trattava di storielle improvvisate, tanto più apprezzate quanto più lunghe, argute ed articolate, ed era un'azione terribilmente maleducata interrompere il tamada.
In realtà il rituale mirava, oltre a favorire la convivialità, anche a mantenere la disciplina a tavola, visto che il pranzo, accompagnato da giochi, gare di danza, canzoni e musiche, citazioni di poeti e scrittori, facilmente poteva degenerare se il consumo del vino non fosse stato in qualche modo scandito dai tradizionali brindisi tamada.
Probabilmente la spedizione dei Polo avrà assaggiato il lavash , un pane ampio e sottilissimo (cotto nel tonyr, il forno scavato nella terra parente del tandir già incontrato qui) che ancora oggi viene usato quasi come un piatto, per contenere od avvolgere molte preparazioni ed in alcuni casi fa da coperchio alla pentola durante le cotture.
Certamente avrà assaggiato un cibo argenteo e guizzante, fino ad ora incontrato raramente nei percorsi mediterranei e desertici: una bella trota di montagna, come quella che propongo qui, semplicissima, quasi poetica, farcita con riso bianco, qualche erbetta fresca e con l'uva di quei profumati vigneti.
E sicuramente avrà bevuto l'ottimo vino locale, dato che l'invasione di quei territori da parte di popolazioni di religione musulmana (che vietava gli alcolici) arriverà solo una ventina di anni dopo il passaggio della carovana dei mercanti veneziani. Chissà quale brindisi del tamada avrà accompagnato il pasto di Marco Polo...
Forse qualcosa del genere:
Dio prese l’argilla e plasmò l’uomo. Poiché gliene era avanzata un po’, chiese: «Che altro posso fare per te?» L’uomo rifletté: aveva le mani, i piedi, la testa, che altro gli occorreva? «Costruiscimi la felicità!» disse. Ma Dio, pur vedendo e sapendo tutto, non sapeva cosa fosse la felicità. Allora diede all’uomo l’argilla e disse: «Ecco, costruiscitela da solo». Dunque oggi brindiamo al nostro successo!
Trote farcite del Monte Ararat
ingredienti per 4 pesone:
4 trotelle freschissime da circa 300/350 gr. l'una
100 gr. di riso
100 gr. di uva passa
100 gr. di burro
3 cucchiai di prezzemolo tritato (+ qualche ciuffetto per decorare)
1 pezzetto di zenzero fresco circa 2x2 cm.
sale
Mettere a bagno l'uvetta in un bicchiere di acqua tiepida per 15-20 minuti, quindi scolarle, conservandone l'acqua.
Grattugiare lo zenzero fino ad ottenerne circa un cucchiaio, sbucciare e mondare il rimanente
Portare ad ebollizione un pentolino di acqua insieme a quella delle uvette, al pezzettino di zenzero intero e ad un cucchiaino di sale e cuocervi il riso, scolandolo leggermente al dente (io ho usato del vialone nano e l'ho cotto per 15 minuti circa).
Fondere al mocroonde (o a bagnomaria, in modo che non frigga) il burro, usarne un cucchiaio cirrca per spennellare una teglia che contenga le trote a misura, tenerne da parte un altro paio di cucchiai e con il rimanente condire il riso, miscelandovi anche le uvette, lo zenzero grattugiato ed il prezzemolo tritato.
La ricetta originale prevede di afferrare ciascuna trota per la testa, levare le branchie e da qui togliere le interiora del pesce, per infilarvi poi il ripieno di riso come in una sorta di sacchetto. Io non l'ho mai fatto prima e, per sicurezza, ho pulito il pesce in modo tradizionale incidendolo sulla pancia. Ho poi salato leggermente la polpa interna e ho farcito la trota con il riso, richiudendola poi con uno stecchino.
Disporre le trote farcite nella teglia, spennellarle con il burro rimasto e cuocere in forno a 200° per una decina di minuti, servendo poi su piatti riscaldati e decorando con qualche fogliolina di prezzemolo.
Ad ogni passo si dice che scavando sarebbe possibile trovare reperti che raccontino storie di civiltà antiche, tanto è vero che un proverbio locale sostiene che, come una goccia d'acqua può raccontare qualcosa dell'oceano, così l'Armenia può farlo per la storia dell'umanità intera... Tutte le terre pre-caucasiche che oggi corrispondono con l'estrema Turchia asiatica, l'Armenia e la Georgia si possono davvero considerare una sorta di culla dell'umanità.
Ma probabilmente a Marco interessavano meno le testimonianze storiche ed archeologiche rispetto all'incontro con paesaggi sconosciuti, nuove merci da commerciare, persone ed usanze per lui bizzarre e magari anche cibi e bevande inconsueti. Ed in questo senso in realtà la valle del monte Ararat non doveva probabilmente risultargli poi così estranea, visto che anche allora, oltre ad essere popolata da gente gioviale e disponibile alle bisbocce, era una terra fertilissima, con immensi frutteti ricchi di albicocche, pesche, pere e melagrani, ma soprattutto ricoperta di vigneti!
L'Armenia in generale era anche allora considerata, insieme alla Grecia classica, la terra di origine della viticultura e del buon vino; in molti siti archeologici si trovano infatti ancora antiche brocche di vino, talvolta coi resti dell'antico nettare condensati sulle pareti.
Una leggenda racconta addirittura che Noè piantò il primo vigneto nell'altopiano dell'Ararat, che da allora produrrebbe, grazie anche ad un perfetto microclima, ad un terreno ottimale ed alla profonda sapienza dei coltivatori, un vino dal gusto e dal profumo unici ed inconfondibili. Probabilmente ci si riferisce all'Areni, un vino rosso prodotto ancora oggi dalle viti del più antico vigneto del mondo, sembra risalente addirittura al 1000 a.C.
Uva e vino sono dunque da sempre parte integrante dello stile di vita delle popolazioni del luogo, che quando organizzavano un banchetto tradizionale (in Georgiano una supra, che significa letteralmente "tovaglia")proponevano incredibili quantià di portate e bevande a fiumi. E per essere sicuri di non offendere il padrone di casa era buona norma non rifiutare mai quando veniva offerto da bere.
Tutto il banchetto ruotava intorno ad una serie di brindisi molto particolari, consistenti in raccontini, motti o poesiole proposte dal tamada, il responsabile dei brindisi. Spesso si trattava di storielle improvvisate, tanto più apprezzate quanto più lunghe, argute ed articolate, ed era un'azione terribilmente maleducata interrompere il tamada.
In realtà il rituale mirava, oltre a favorire la convivialità, anche a mantenere la disciplina a tavola, visto che il pranzo, accompagnato da giochi, gare di danza, canzoni e musiche, citazioni di poeti e scrittori, facilmente poteva degenerare se il consumo del vino non fosse stato in qualche modo scandito dai tradizionali brindisi tamada.
Probabilmente la spedizione dei Polo avrà assaggiato il lavash , un pane ampio e sottilissimo (cotto nel tonyr, il forno scavato nella terra parente del tandir già incontrato qui) che ancora oggi viene usato quasi come un piatto, per contenere od avvolgere molte preparazioni ed in alcuni casi fa da coperchio alla pentola durante le cotture.
Certamente avrà assaggiato un cibo argenteo e guizzante, fino ad ora incontrato raramente nei percorsi mediterranei e desertici: una bella trota di montagna, come quella che propongo qui, semplicissima, quasi poetica, farcita con riso bianco, qualche erbetta fresca e con l'uva di quei profumati vigneti.
E sicuramente avrà bevuto l'ottimo vino locale, dato che l'invasione di quei territori da parte di popolazioni di religione musulmana (che vietava gli alcolici) arriverà solo una ventina di anni dopo il passaggio della carovana dei mercanti veneziani. Chissà quale brindisi del tamada avrà accompagnato il pasto di Marco Polo...
Forse qualcosa del genere:
Dio prese l’argilla e plasmò l’uomo. Poiché gliene era avanzata un po’, chiese: «Che altro posso fare per te?» L’uomo rifletté: aveva le mani, i piedi, la testa, che altro gli occorreva? «Costruiscimi la felicità!» disse. Ma Dio, pur vedendo e sapendo tutto, non sapeva cosa fosse la felicità. Allora diede all’uomo l’argilla e disse: «Ecco, costruiscitela da solo». Dunque oggi brindiamo al nostro successo!
Trote farcite del Monte Ararat
ingredienti per 4 pesone:
4 trotelle freschissime da circa 300/350 gr. l'una
100 gr. di riso
100 gr. di uva passa
100 gr. di burro
3 cucchiai di prezzemolo tritato (+ qualche ciuffetto per decorare)
1 pezzetto di zenzero fresco circa 2x2 cm.
sale
Mettere a bagno l'uvetta in un bicchiere di acqua tiepida per 15-20 minuti, quindi scolarle, conservandone l'acqua.
Grattugiare lo zenzero fino ad ottenerne circa un cucchiaio, sbucciare e mondare il rimanente
Portare ad ebollizione un pentolino di acqua insieme a quella delle uvette, al pezzettino di zenzero intero e ad un cucchiaino di sale e cuocervi il riso, scolandolo leggermente al dente (io ho usato del vialone nano e l'ho cotto per 15 minuti circa).
Fondere al mocroonde (o a bagnomaria, in modo che non frigga) il burro, usarne un cucchiaio cirrca per spennellare una teglia che contenga le trote a misura, tenerne da parte un altro paio di cucchiai e con il rimanente condire il riso, miscelandovi anche le uvette, lo zenzero grattugiato ed il prezzemolo tritato.
La ricetta originale prevede di afferrare ciascuna trota per la testa, levare le branchie e da qui togliere le interiora del pesce, per infilarvi poi il ripieno di riso come in una sorta di sacchetto. Io non l'ho mai fatto prima e, per sicurezza, ho pulito il pesce in modo tradizionale incidendolo sulla pancia. Ho poi salato leggermente la polpa interna e ho farcito la trota con il riso, richiudendola poi con uno stecchino.
- rivoli affluenti:
- la foto delle trote farcite dalle branchie e l'ispirazione per la ricetta sono tratte da: Walter Pedrotti, Ricettario del Mondo. Sapori dal pianeta terra, Demetra
- il brindisi è una citazione di Irakli Bolkvadze
E' una delizia leggere le tue "storie di cucina".
RispondiEliminaper quanto anche io possa amare la storia del cibo, dopo esserci geograficamente arrivata, tu ne sei una cultrice davvero. questa è una ricetta che non proverò mai, ma virtualmente l'ho assagiata qui. buonagiornata. sì
RispondiEliminaO Cielo...queste trote ripiene di riso mi inquietano un po' piu' che attirarmi...
RispondiEliminaPoi penso all'abbinamento siciliano delle sarde con l'uvetta o con il piatto di riso al burro con filetto di persico gustato più volte sul lago di Como...ed in effetti il cibo è davvero un elemento trasversale...
@enrico: questa dei brindisi-fiume più che altro è una "storia di tavola"...
RispondiElimina@mogliedaunavita: ti dirò... la ricetta perpledeva anche me maho voluto provarla lo stesso e l'ho scoperta sorpendentemente equilibrata. Il riso resta neutro, l'uvetta e la polpa del pesce vengono legati dal burro in un'unica morbida dolcezza, che le erbe rinfrescano. Ecco, così ne hai sentito un po' meglio il sapore.Piaciuto?
@virò: ma sai che ha un sapore molto più elegante di quel che potrebbe sembrare dalla descrizione?! Comunque l'abbinamento pesce e frutta è in molte tradizioni mediterranee. Qui forse fa più strano perchè la trota è di acqua dolce...