In questi giorni la vita di tutti, soprattutto qui in Lombardia, è diventata improvvisamente simile a quella delle province cinesi più colpite dal coronavirus e sto assistendo alla quasi desertificazione di strade e negozi, nonostante le autorità continuino a ripetere che per soggetti sani non si tratti in verità di un rischio superiore a quello di una comune influenza.
I miei impegni nel mondo reale sono pesantemente condizionati dal prudente annullamento di molte attività che prevedono un piccolo o grande pubblico ma, anche se razionalmente io sono tranquilla, mi rendo conto che non posso reagire al terrore diffuso con iniziative che coinvolgano altre persone. Così decido di sfogare la mia voglia di agire attraverso la narrazione della cucina, assistendo sbigottita alla perdita di senso della réclame (adoro il termine vintage) di moltissimi prodotti e vivendo una sensazione di sospensione, in attesa di capire l'evolversi del tutto in questa strana ed un po' isterica società signorile di massa*.
In passato i viaggi avevano motivi commerciali e politico/religiosi, con tempi lunghi e costi enormi; ora spese e distanze non sono più problemi insormontabili ed il turismo ha aumentato gli scambi culturali e la curiosità nella conoscenza reciproca, portando a volte rischi, come in questi giorni, ma contribuendo in compenso ad aprire fortemente la visione culturale del mondo in tempi e modi decisamente più rapidi e diffusi.
Racconto dunque con gusto la storia di un piatto che nei secoli ha girato davvero tutto il mondo, portando condivisione e stimoli all'evoluzione ad ogni sua tappa, partendo dal Medioriente e facendo un ampio giro in Asia prima di arrivare in centro Europa e in Sudamerica. Attraverso una storia di commercio, invasioni e colonialismo gustiamo oggi quello che è genericamente conosciuto come satay e che ognuno può prepararsi a casa propria con prodotti locali e totale relax, a prescindere anche da paure irrazionali e da ragionevoli cautele.
Avevo già pubblicato un satay a base di tacchino tanti anni fa, in un'occasione speciale in cui il racconto del piatto non entrava. Questa volta invece mi sfogo di storia, prima di entrare nel dettaglio della mia personale ricetta: il satay è una preparazione di carne marinata, infilata su spiedini, grigliata e servita di solito con una salsa a base di arachidi. E' un piatto comune alla tradizione di diversi Paesi del Sudest Asiatico ma, nonostante in Occidente si sia convinti delle sue origini tailandesi, forse per la maggiore diffusione di ristoranti thai rispetto ad altri, in verità la sua patria è l'Indonesia, in specifico l'isola di Giava.
Ogni Paese lo ha declinato secondo i propri gusti, con speziature e salse locali, ma l'idea di partenza per tutti viene dal kebab mediorientale... che non è quella pila di carne rotante dei fast food turchi con cui qui tutti identificano il nome: quello si chiama döner o più in generale shawarma, mentre la parola kebab indica semplicemente uno spiedino.
La strada è questa: dal Medioriente via Persia lo spiedino di carne arriva in India all'epoca del vasto impero musulmano della dinastia Moghul, che governò l'area per due secoli tra '500 e '700. Nei secoli immediatamente successivi l'India commerciò molto attivamente, soprattutto in campo tessile, con Cina ed Indonesia e all'inizio dell'800 Giava era una colonia dell'Olanda e le isole indonesiane delle Molucche, dette anche le "Isole delle Spezie", il centro nevralgico del commercio olandese di noce moscata e chiodi di garofano.
La zona attirava commercianti e immigrati anche dall'India musulmana e dall'Arabia e fu quello il periodo in cui il kebab si evolvette in satay, (il quale in Indonesia si chiama sate), divenendo popolare a Giava dove i venditori di street food lo adottano subito, coccolandolo con i loro profumi fino a donargli quella specificità che lo rese infine il piatto nazionale indonesiano, identitario nel significato e multiforme nelle sue numerose versioni regionali.
Dall'Indonesia il sate, con la sua marinatura speziata e la sua salsa a base di arachidi, si diffonde non solo nell'area asiatica, ma anche in Suriname, storica colonia olandese del Sudemerica, e nella stessa Olanda. Lì si chiama kipsaté, è considerata una specialità olandese di imprecisata origine esotica e viene preparato con pollo o maiale, servito di solito in birrerie e brasserie con maionese e una salsa di arachidi piccante (confezionata) ed accompagnato con patate fritte e "nuvolette" di gamberi.
In Indonesia, invece, il piatto nato come street food è ora proposto anche da ristoranti di rango e rappresenta la golosità da preparare per le feste e le occasioni speciali. A seconda della zona si prepara con manzo, pollo, agnello, capretto, maiale, pesce o tofu, sempre tagliati a fette sottili e marinati con diversi mix di erbe e spezie tra cui generalmente non manca la curcuma; gli spiedini vengono poi grigliati e serviti con diverse salse, tra cui quella di arachidi è quella con più varianti, con lontong, riso pressato, cotto in foglie di banana e poi tagliato a bocconcini, e con verdure fresche come cetrioli e cipolle.
Il sate ayam, la versione più diffusa in Indonesia, è di pollo, marinato con coriandolo, curcuma, zenzero, aglio e lemongrass miscelati a due diverse salse di soia che conferisce una leggera glassatura alla carne in cottura. La salsa classica è il bumbu kacang, a base di arachidi fritte e kecap manis, oppure il sambal kacang, di arachidi e peperoncini pestati al mortaio. In Italia il satay più conosciuto è, come dicevamo, quello tailandese, detto sate kai: per la marinata del pollo si usa anche latte di cocco e la salsa di arachidi è speziata ma non particolarmente piccante.
La versione che propongo qui questa volta è invece un incrocio di culture differenti: quella malaisiana, con cipolla nella marinata per la carne e cocco nella salsa di arachidi, e quella filippina, che in entrambe al posto della soia per la parte sapida vede il patis (salsa di pesce, simile a nampla tailandese, nuocmam vietnamita e nostrana colatura di alici). Ma andiamo con ordine:
SATAY ALLA MIA MANIERA
ingredienti per 2 persone:
300 g di carne di pollo (meglio polpa delle cosce, altrimenti petto)
1 piccola cipolla
2 piccoli spicchi di aglio
5 g di zenzero fresco
2 steli di lemongrass (oppure 1 cucchiaino di pasta di lemon grass, o di pasta di tamarindo, o 2 cucchiai di succo di lime e 1 cucchiaino di scorza grattugiata fine)
1 cucchiaio di foglie di coriandolo tritate
1 rametto di basilico e/o menta
90 g di latte di cocco
2 o 3 cucchiai di patis (o colatura di alici)
60 g di arachidi sgusciate (oppure 2 cucchiai di burro di arachidi)
1 cucchiaio di zucchero di palma (io muscovado)
1 cucchiaino di sambal oelek (salsa di peperoncino, oppure di salsa chili thai, o pasta di curry rosso thai, oppure 1 peperoncino rosso)
1/2 cucchiaino di semi di finocchio
1/2 cucchiaino di semi di cumino
1/4 cucchiaino di curcuma in polvere
1 cucchiaio di olio di arachidi
per accompagnare:
verdura fresca in base alla stagione (insalata, cetrioli, cipollotti rossi, pomodori) io qui carote
erbe fresche in base alla stagione (prezzemolo, coriandolo, perilla, basilico), io qui casualmente menta e basilico
(così funziona sia come antipasto che come secondo, ma se si aggiunge anche riso bianco diventa un piatto unico)
Mettere a bagno 6 lunghi stecchini di legno in acqua fredda.
Tritare grossolanamente la cipolla, la parte chiara e più tenera di uno stelo di lemongrass e uno spicchio di aglio e frullarli (o pestarli nel mortaio) con 2 cucchiai di salsa di pesce, 1/2 cucchiaio di zucchero, la curcuma, i semi di finocchio e di cumino e 1 cucchiaio di acqua.
Tagliare il pollo a fette sottili e poi ridurle a strisce larghe non più di 2 cm. Io per comodità infilo a questo punto il pollo sugli spiedini, prima asciugati e leggermente unti, facendo seguire una striscia all'altra in modo che formino delle "onde", ma si può marinare anche la carne prima ed infilarla sugli spiedini all'ultimo.
Disporre gli spiedini in un contenitore che li contenga a misura, mescolarvi la pasta di cipolla speziata in modo che tutto il pollo sia bel ricoperto, coprire e lasciar marinare in frigo almeno un paio d'ore ma, meglio una giornata intera (io in questo caso 12 ore).
Per la salsa di accompagnamento tostare le arachidi, poi sfregarle in un canovaccio per eliminare le pellicine e pestarle nel mortaio con un pizzico di sale insieme all'altro spicchio di aglio, lo zenzero, il lemongrass (e anche il peperoncino, se non lo si usa in pasta o salsa), fino a ridurli ad una pasta leggermente rustica.
Saltare la pasta in 1 cucchiaio di olio per un minuto; unire il latte di cocco, 1 cucchiaino di patis, il sambal oelek e un pizzico di zucchero.
Mescolare bene e cuocere a fuoco basso fino a che la salsa si addensa. Spegnere e unire il coriandolo tritato (e a questo punto eventualmente succo e scorza lime, che non vanno cotti).
Cuocere gli spiedini sulla griglia o sulla piastra ben calda un paio di minuti per lato, spennellandoli se serve con un goccio di olio, fino a che sono dorati fuori ma ancora morbidi e succosi dentro.
Disporre gli spiedini nei piatti individuali con abbondanti erbe fresche (qui foglie di basilico e menta), versarvi un cucchiaiata di salsa di arachidi e servire con il resto della salsa in una ciotolina parte e della verdura fresca (io carote grattugiate).
I miei impegni nel mondo reale sono pesantemente condizionati dal prudente annullamento di molte attività che prevedono un piccolo o grande pubblico ma, anche se razionalmente io sono tranquilla, mi rendo conto che non posso reagire al terrore diffuso con iniziative che coinvolgano altre persone. Così decido di sfogare la mia voglia di agire attraverso la narrazione della cucina, assistendo sbigottita alla perdita di senso della réclame (adoro il termine vintage) di moltissimi prodotti e vivendo una sensazione di sospensione, in attesa di capire l'evolversi del tutto in questa strana ed un po' isterica società signorile di massa*.
In passato i viaggi avevano motivi commerciali e politico/religiosi, con tempi lunghi e costi enormi; ora spese e distanze non sono più problemi insormontabili ed il turismo ha aumentato gli scambi culturali e la curiosità nella conoscenza reciproca, portando a volte rischi, come in questi giorni, ma contribuendo in compenso ad aprire fortemente la visione culturale del mondo in tempi e modi decisamente più rapidi e diffusi.
Racconto dunque con gusto la storia di un piatto che nei secoli ha girato davvero tutto il mondo, portando condivisione e stimoli all'evoluzione ad ogni sua tappa, partendo dal Medioriente e facendo un ampio giro in Asia prima di arrivare in centro Europa e in Sudamerica. Attraverso una storia di commercio, invasioni e colonialismo gustiamo oggi quello che è genericamente conosciuto come satay e che ognuno può prepararsi a casa propria con prodotti locali e totale relax, a prescindere anche da paure irrazionali e da ragionevoli cautele.
Avevo già pubblicato un satay a base di tacchino tanti anni fa, in un'occasione speciale in cui il racconto del piatto non entrava. Questa volta invece mi sfogo di storia, prima di entrare nel dettaglio della mia personale ricetta: il satay è una preparazione di carne marinata, infilata su spiedini, grigliata e servita di solito con una salsa a base di arachidi. E' un piatto comune alla tradizione di diversi Paesi del Sudest Asiatico ma, nonostante in Occidente si sia convinti delle sue origini tailandesi, forse per la maggiore diffusione di ristoranti thai rispetto ad altri, in verità la sua patria è l'Indonesia, in specifico l'isola di Giava.
Ogni Paese lo ha declinato secondo i propri gusti, con speziature e salse locali, ma l'idea di partenza per tutti viene dal kebab mediorientale... che non è quella pila di carne rotante dei fast food turchi con cui qui tutti identificano il nome: quello si chiama döner o più in generale shawarma, mentre la parola kebab indica semplicemente uno spiedino.
La strada è questa: dal Medioriente via Persia lo spiedino di carne arriva in India all'epoca del vasto impero musulmano della dinastia Moghul, che governò l'area per due secoli tra '500 e '700. Nei secoli immediatamente successivi l'India commerciò molto attivamente, soprattutto in campo tessile, con Cina ed Indonesia e all'inizio dell'800 Giava era una colonia dell'Olanda e le isole indonesiane delle Molucche, dette anche le "Isole delle Spezie", il centro nevralgico del commercio olandese di noce moscata e chiodi di garofano.
La zona attirava commercianti e immigrati anche dall'India musulmana e dall'Arabia e fu quello il periodo in cui il kebab si evolvette in satay, (il quale in Indonesia si chiama sate), divenendo popolare a Giava dove i venditori di street food lo adottano subito, coccolandolo con i loro profumi fino a donargli quella specificità che lo rese infine il piatto nazionale indonesiano, identitario nel significato e multiforme nelle sue numerose versioni regionali.
Dall'Indonesia il sate, con la sua marinatura speziata e la sua salsa a base di arachidi, si diffonde non solo nell'area asiatica, ma anche in Suriname, storica colonia olandese del Sudemerica, e nella stessa Olanda. Lì si chiama kipsaté, è considerata una specialità olandese di imprecisata origine esotica e viene preparato con pollo o maiale, servito di solito in birrerie e brasserie con maionese e una salsa di arachidi piccante (confezionata) ed accompagnato con patate fritte e "nuvolette" di gamberi.
In Indonesia, invece, il piatto nato come street food è ora proposto anche da ristoranti di rango e rappresenta la golosità da preparare per le feste e le occasioni speciali. A seconda della zona si prepara con manzo, pollo, agnello, capretto, maiale, pesce o tofu, sempre tagliati a fette sottili e marinati con diversi mix di erbe e spezie tra cui generalmente non manca la curcuma; gli spiedini vengono poi grigliati e serviti con diverse salse, tra cui quella di arachidi è quella con più varianti, con lontong, riso pressato, cotto in foglie di banana e poi tagliato a bocconcini, e con verdure fresche come cetrioli e cipolle.
Il sate ayam, la versione più diffusa in Indonesia, è di pollo, marinato con coriandolo, curcuma, zenzero, aglio e lemongrass miscelati a due diverse salse di soia che conferisce una leggera glassatura alla carne in cottura. La salsa classica è il bumbu kacang, a base di arachidi fritte e kecap manis, oppure il sambal kacang, di arachidi e peperoncini pestati al mortaio. In Italia il satay più conosciuto è, come dicevamo, quello tailandese, detto sate kai: per la marinata del pollo si usa anche latte di cocco e la salsa di arachidi è speziata ma non particolarmente piccante.
La versione che propongo qui questa volta è invece un incrocio di culture differenti: quella malaisiana, con cipolla nella marinata per la carne e cocco nella salsa di arachidi, e quella filippina, che in entrambe al posto della soia per la parte sapida vede il patis (salsa di pesce, simile a nampla tailandese, nuocmam vietnamita e nostrana colatura di alici). Ma andiamo con ordine:
SATAY ALLA MIA MANIERA
ingredienti per 2 persone:
300 g di carne di pollo (meglio polpa delle cosce, altrimenti petto)
1 piccola cipolla
2 piccoli spicchi di aglio
5 g di zenzero fresco
2 steli di lemongrass (oppure 1 cucchiaino di pasta di lemon grass, o di pasta di tamarindo, o 2 cucchiai di succo di lime e 1 cucchiaino di scorza grattugiata fine)
1 cucchiaio di foglie di coriandolo tritate
1 rametto di basilico e/o menta
90 g di latte di cocco
2 o 3 cucchiai di patis (o colatura di alici)
60 g di arachidi sgusciate (oppure 2 cucchiai di burro di arachidi)
1 cucchiaio di zucchero di palma (io muscovado)
1 cucchiaino di sambal oelek (salsa di peperoncino, oppure di salsa chili thai, o pasta di curry rosso thai, oppure 1 peperoncino rosso)
1/2 cucchiaino di semi di finocchio
1/2 cucchiaino di semi di cumino
1/4 cucchiaino di curcuma in polvere
1 cucchiaio di olio di arachidi
per accompagnare:
verdura fresca in base alla stagione (insalata, cetrioli, cipollotti rossi, pomodori) io qui carote
erbe fresche in base alla stagione (prezzemolo, coriandolo, perilla, basilico), io qui casualmente menta e basilico
(così funziona sia come antipasto che come secondo, ma se si aggiunge anche riso bianco diventa un piatto unico)
Mettere a bagno 6 lunghi stecchini di legno in acqua fredda.
Tritare grossolanamente la cipolla, la parte chiara e più tenera di uno stelo di lemongrass e uno spicchio di aglio e frullarli (o pestarli nel mortaio) con 2 cucchiai di salsa di pesce, 1/2 cucchiaio di zucchero, la curcuma, i semi di finocchio e di cumino e 1 cucchiaio di acqua.
Tagliare il pollo a fette sottili e poi ridurle a strisce larghe non più di 2 cm. Io per comodità infilo a questo punto il pollo sugli spiedini, prima asciugati e leggermente unti, facendo seguire una striscia all'altra in modo che formino delle "onde", ma si può marinare anche la carne prima ed infilarla sugli spiedini all'ultimo.
Disporre gli spiedini in un contenitore che li contenga a misura, mescolarvi la pasta di cipolla speziata in modo che tutto il pollo sia bel ricoperto, coprire e lasciar marinare in frigo almeno un paio d'ore ma, meglio una giornata intera (io in questo caso 12 ore).
Per la salsa di accompagnamento tostare le arachidi, poi sfregarle in un canovaccio per eliminare le pellicine e pestarle nel mortaio con un pizzico di sale insieme all'altro spicchio di aglio, lo zenzero, il lemongrass (e anche il peperoncino, se non lo si usa in pasta o salsa), fino a ridurli ad una pasta leggermente rustica.
Saltare la pasta in 1 cucchiaio di olio per un minuto; unire il latte di cocco, 1 cucchiaino di patis, il sambal oelek e un pizzico di zucchero.
Mescolare bene e cuocere a fuoco basso fino a che la salsa si addensa. Spegnere e unire il coriandolo tritato (e a questo punto eventualmente succo e scorza lime, che non vanno cotti).
Cuocere gli spiedini sulla griglia o sulla piastra ben calda un paio di minuti per lato, spennellandoli se serve con un goccio di olio, fino a che sono dorati fuori ma ancora morbidi e succosi dentro.
Disporre gli spiedini nei piatti individuali con abbondanti erbe fresche (qui foglie di basilico e menta), versarvi un cucchiaiata di salsa di arachidi e servire con il resto della salsa in una ciotolina parte e della verdura fresca (io carote grattugiate).
- rivoli affluenti:
- * la definizione non è mia ma letta in: Luca Ricolfi, La società signorile di massa, La Nave di Teseo, 2019, EAN 9788834601266
- la foto del kipsate olandese è presa qui, quella del sate con lontong indonesiano qui
- ulteriori dettagli sulla storia dell sate indonesiano qui
- se avanza della salsa è perfetta per condire anche verdure cotte, tipo fagiolini o spinaci.
Molto golosi 😋
RispondiEliminaGrazie, sono assolutamente d'accordo.
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