Ci si re-incontra con la pittrice Giovanna Garzoni, ed è per me una gioia, nel settimo appuntamento con Inseguendo l'arte da mangiare, il mio personale viaggio dentro la bellezza del legame tra arte e gastronomia.
Questa volta si tratta di una scena molto articolata, in cui i classici elementi della natura morta compaiono dentro un paesaggio e sono accompagnati da uno ieratico personaggio che, secondo gli storici di Uffizi da mangiare,
potrebbe essere o un fattore o un bugnolaio (dal nome delle ceste che contenevano la biada) di Artimino, borgo nei pressi di Prato dove i Medici avevano una residenza di campagna. Negli antichi inventari della villa di Poggio Imperiale, dove il dipinto era collocato, è citato con questa descrizione: Veduta di paese con il Vecchio di Artimino, con due galletti nelle braccia, e un canino bianco, e nel piano vi è un fiaschetto, un Panier d’Uovi anzi Uova, un piatto con un popon partito, Frutta et altro.
Prima di addentrarci nella contemplazione del dipinto, realizzato nel 1648/49, riprendo un momento il discorso su Giovanna Garzoni, che per la sua epoca visse una vita davvero insolita per una donna, slegandosi dal marito, vivendo presso varie corti italiane ed europee, studiando pittura ad olio, calligrafia, miniatura e pittura scientifica ed arrivando ad essere la prima donna ammessa all'Accademia di San Luca, prestigiosissima istituzione artistica romana.
Nata nel 1600 ad Ascoli Piceno da famiglia veneziana, la conosciamo attraverso un suo autoritratto dipinto a 18-20 anni, quando si dice ricevette la profezia che sarebbe morta di parto. Scelse allora la castità pur senza prendere i voti, scelta assolutamente inconsueta per una ragazza già destinata dalla famiglia al matrimonio.
Per questo andò comunque sposa ad un pittore veneziano, si dice in odore di stregoneria, ma dopo due anni di matrimonio se ne andò, prima a Napoli con il fratello, dove conobbe Artemisia Gentileschi, poi a Roma e poi a Torino, presso la corte sabauda, e ancora in Francia ed Inghilterra, ovunque era molto apprezzata dai nobili committenti per la delicatezza ed insieme la veridicità delle sue finissime miniature, sia ritratti sia delicate nature morte a sfondo spesso neutro, nonostante a volte le sue opere venissero più "comodamente" attribuite a un certo Giovanni Garzoni.
Alla corte dei Medici di Firenze, dove si ferma per dieci anni prima di trasferirsi definitivamente a Roma, segue un pittore specializzato in riproduzioni scientifiche, dipinge un erbario e si dice conosca qui le raffinatissime porcellane cinesi che tanto spesso appaiono nei suoi dipinti. Acquarello gouache e tempera su pergamena sono le sue tecniche preferite, che utilizza con estrema delicatezza, definendo le immagini con piccoli tratti quasi puntinisti e mostrando un'attenzione ai dettagli di gusto tutto fiammingo e lombardo, quel gusto che ha raffinato per tutta la vita attraverso viaggi, conoscenze ed esperienze
Ne è piena testimonianza il dipinto di oggi, commissionato dai Medici ed esposto adesso alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Dal punto di vista culinario questa volta per gli Uffizi è stato interpretato dallo chef Vito Mollica, che nel suo piatto d’artista propone petto e coscia di un galletto lessato in brodo di sedano, accompagnati dalle sue interiora glassate in una riduzione di vinsanto e completati con rapanelli, fave, maionese al cedro e ciliegie in mostarda piccante. Qui il video in cui illustra la sua idea e la sua splendida ricetta.
Io prendo invece una strada diversa, quasi completamente vegetale, poiché nell'approfondimento delle ricerche in merito a questo specifico dipinto mi sono imbattuta in una pubblicazione del 1990 che traduce in inglese il Brieve racconto di Castelvetro di cui parlavo alla tappa precedente, dicendo che avevo trovato molte affinità tra le raffigurazioni della pittrice Garzoni e le narrazioni del letterato Castelvetro in materia di cura nel trattare di alimenti ed amore per la bellezza della natura.
Nemmeno a farlo apposta, questo testo tradotto riporta in copertina proprio il dipinto di Giovanna Garzoni di cui si parla oggi! Se studiosi ben più esperti di me hanno colto una "corrispondenza di amorosi sensi" tra i due autori mi sento pienamente autorizzata, come ho fatto per il dipinto dei Carciofi di Giovanna Garzoni, a cercare tra le righe del Brieve racconto lo spunto anche per la ricetta da dedicare al suo secondo dipinto.
Nel Vecchio di Artimino compaiono ingredienti per un banchetto davvero variegato: un fiasco (vino? aceto? agresto? sapa?...), pollame e uova, una scodella di latte o giuncata, formaggi stagionati, sedani (come dice lo chef Mollica, anche se a me sembravano più dei cardi), carciofi, fave nel baccello, ciliegie, rapanelli, cedri (o limoni?), pane, salame, prosciutto, uva, mele, castagne e, a dominare la scena, il popon partito, ovvero un melone tagliato.
Sinceramente paiono indicativamente i prodotti di una stagione a cavallo tra estate ed autunno ma, con una certa apparente incoerenza, qua e là fanno capolino anche golosità offerte da altre stagioni. In verità non dimentichiamoci che i committenti del dipinto sono ricchi, hanno dunque di certo accesso ai prodotti di stagione ma anche ghiacciaie per conservare quelli di una stagione terminata, serre per coltivare primizie della stagione a venire, denaro per procurarsi ciò che veniva coltivato in località dai climi differenti... e anche per chiedere alla pittrice di raffigurare ciò che loro magari preferivano, per senso estetico o per palato.
Inutile dire che Castelvetro nomina nel suo testo molto di tutto ciò: carciofi (come sappiamo già!), fave, raponzoli (rapanelli), uva, meloni, cardi, pomi (mele), castagne... Ai meloni dedica quasi tre pagine, spiegando anche come si possano conservare e candire interi con il miele e come con le scorze si possa preparare un'ottima minestra.
Leggere del melone nel miele di Castelvetro e pensare al popone candito del panforte senese è tutt'uno, ma per farmi i canditi in casa mi sarebbe occorso più tempo di quanto avessi a disposizione. Intanto resto colpita da una sua considerazione: sostiene che in Italia si consumino più ortaggi che in Inghilterra perchè vi si alleva meno bestiame "perciò a noi fa di mestieri ingegnarci per trovare altre vivande da nudrir cotanta smisurata quantità di persone che si trovano in un così picciolo circuito di terra".
Ma, soprattutto, sostiene che in Italia faccia caldo nove mesi l'anno, quindi la carne viene a noia "e perciò più stima facciamo de' frutti e degli erbaggi che ci rinfrescano e non ci riempiscono di tanto sangue". E poi tratta in ogni stagione di una vasta quantità di insalate, crude e cotte, da gustare in purezza o mescolare a altri ortaggi, e dedica due pagine alla spiegazione di come vadano condite semplicemente, con olio, aceto, sale e pepe, per poterle apprezzare al loro meglio, cosa che a noi appare scontata oggi ma che ai tempi era una assoluta rarità, chiudendo con "il testo della legge insalatesca, che dice: insalata ben lavata, poco aceto e ben oliata".
Nonostante Castelvetro ne tessa abbondantemente le lodi, non era affatto d'uso nel '600 apprezzare una semplice insalata, ritenuta cibo da capre, ne' condire verdure con tanta raffinata semplicità. Forse per questo, per non spingersi troppo oltre nelle sue "strane" teorie, cita anche un curioso piatto misto di insalate, ortaggi cotti e crudi, frutta secca e fresca ed altri ingredienti, sostenendo che si tratti di una preparazione tipicamente italiana nonostante il suo nome si riferisca ad uno stufato spagnolo di carni miste e ceci!
Olla podrida, che cosa sia
In Italia fanno un'altra insalata, che con nome barbaro nominano "olla podrida", perchè, oltre a tutte le predette erbe, v'aggiungano l'indivia bianca, i bianchi germogli e le radici della cicorea e alcune delle predette radici cotte, uva passa, angive, olive senza noccioli, cappari salati (fatti però prima stare in acqua tiepida, acciò che perdano alquanto della loro salamoia) e capparetti genovesi, fette di lingue di manzo salate, così pezzetti di cedro e di limoni e, s'el tempo il dà, cipollette verdi e ravanelli o ramolacci.
Mettendo insieme tutti gli spunti, parto dal melone, centrale nel mio piatto come nel dipinto, e ne faccio un' insalata accostandogli un po' di insalatina e qualcuno degli ingredienti presenti nel dipinto. Memore del melone candito, aggiungo al condimento suggerito da Castelvetro anche una punta di miele, perchè la dolcezza della frutta venga delicatamente esaltata, in quello strano connubio dolce-salato ancora tanto apprezzato all'epoca.
Immaginando un popon partito farcito di tante delicatezze e profumato, insieme al miele, con un buon olio toscano, un aceto di vino rosso locale (quello del fiasco?) e una grattatina di nobile pepe, spero che il dotto Giacomo Castelvetro e l'internazionale Giovanna Garzoni saprebbero apprezzare...
INSALATA DI FRUTTA E VERDURA NEL POPON PARTITO
ingredienti per 4 persone:
2 piccoli meloni (qui bianchi, ancora invernali) da circa 700 g l'uno
30 acini circa di uva nera
3 piccole coste di sedano con le foglie
100 g di prosciutto crudo a fette spesse 3 mm
6 rapanelli
1 mela rossa bio
1 limone (o cedro, trovandolo) bio
6 belle foglie di lattuga
2 manciate di rucola o insalatina di campo
per condire:
2 cucchiai di olio extravergine
1 cucchiaio di miele di acacia
1/2 cucchiaio di aceto di vino rosso
sale
pepe nero al mulinello
Tagliare i meloni in due parti con un taglio a zigzag, in modo da formare 4 coppette; scavarne parzialmente la polpa e ridurla a dadini. Raccogliere l'eventuale succo colato.
Ridurre la lattuga a julienne, i rapanelli a spicchietti, il sedano a bastoncini (così assomiglia un po' all'angelica candita che si usa in Gran Bretagna!), conservandone le foglie più tenere, e lo stesso fare a bastoncini il prosciutto; tagliare a rondelle spesse e poi a triangolini mezzo limone con la buccia; tagliare la mela con la buccia a dadini e spruzzarla con il succo del mezzo limone rimasto.
Mescolare lattuga, rucola e le foglie del sedano più tenere, distribuirle nei piatti individuali e mettere al centro le coppette di melone, tagliando via una fettina di scorza alla base per stabilizzarle.
Disporre a raggiera lungo i bordi dell'incavo dei meloni i bastoncini di sedano e di prosciutto. Al centro impilare gli acini di uva, poi attorniarli con un giro di dadini di melone e poi di mela; infilare gli spicchietti di limone e i rapanelli sui bordi delle coppette di melone.
Per il condimento sciogliere il miele con l'aceto, unire sale e pepe e, quando è tutto ben amalgamato emulsionarvi l'olio.
- rivoli affluenti:
- Giacomo Castelvetro, Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l'erbe e di tutti i frutti che crudi e cotti in Italia si mangiano. Con molti giovevoli segreti (non sensa proposito per dentro esso scritti) tanto intorno alla salute de' corpi umani quanto ad utile de' buoni agricultori necessari, Londra, MDCXIV, in: Luigi Firpo (cura),Gastronomia del Rinascimento, Utet 1973
- Castor Durante, Il tesoro della sanità, Nel quale s'insegna il modo di conservar la Sanità prolungar la vita et si tratta della natura de' cibi & de Rimedy de' nocumenti loro, 1588, Ristampa integrale a cura di Lejla Mancusi Sorrentino, Grimaldi & C., 2019, ISBN 978-88-32063-11-0
- Benporat Claudio, Storia della Gastronomia Italiana, Mursia, 1990, EAN 9788842507505
- Capatti Alberto, Montanari Massimo, La cucina italiana. Storia di una cultura, Laterza, 1999, ISBN 88-420-5884-X
- l'immagine del dipinto di Artemino è presa qui, l'autoritratto giovanile di Giovanna Garzoni "come Apollo" qui, la foto dello chef Vito Mollica qui, la copertina inglese qui.
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