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Film "Il mostro". O, meglio: "La cosa misteriosa". Con merenda giapponese di pane noci e miso

Qualche sera fa,  ho di nuovo presentato un film al cinema. Dopo un precedente a tema gastronomico questa volta l'argomento non era la cucina ma il Giappone. Titolo italiano del film "L’innocenza", titolo originale giapponese 怪物, Kaibutsu, tradotto in altri Paesi occidentali come "Il mostro" anche se letteralmente i kanji da cui è composta la parola significano “cosa misteriosa”. 
Cerco di non spoilerare per chi non lo avesse ancora visto: il protagonista è un preadolescente alla scoperta delle proprie relazioni con il mondo e la sua vicenda è presentata prima con gli occhi della madre, poi con quelli del suo insegnante ed infine attraverso i suoi, uno stile narrativo che la cinematografia internazionale credo abbia imparato da Rashomon di Kurosawa nel 1950 e che ha poi sfruttato egregiamente in molti thriller, come Prospettive di un delitto del 2008.

Ma questo film, anche se si intuisce che sotto sotto ci sia qualcosa di misterioso (ecco il senso del titolo originale) non è un giallo: pellicola allo stesso tempo delicatissima ed incredibilmente efficace, narra una storia candida e potente sullo sfondo di temi complessi e comuni anche nella nostra realtà: famiglie monogenitoriali a volte disfunzionali, mancata comprensione dei minori in difficoltà emotiva, fallimentare risposta alle loro esternazioni.

L'attesa rivelazione finale (tipica dei gialli il cui scopo è svelare il colpevole che sta dietro al mistero) qui non riguarda un personaggio, come potrebbe apparire agli occhi degli adulti che continuano ciecamente a cercare il mostro, perchè il mostro non esiste. La vera rivelazione è lo svelarsi dell'intrigante e delicatissimo tema del film, che si coglie solo nell'ultima parte, attraverso appunto gli occhi purissimi ed innocenti del ragazzino. Da qui, secondo me, il senso del titolo italiano.

La mentalità giapponese reagisce ai temi sociali sopra accennati con modalità ai nostri occhi curiose ma con risultati tristemente analoghi a quella occidentale. Ecco il motivo della mia presentazione: assistere al film sapendo cosa significhino certi gesti, certe parole e certi silenzi per i Giapponesi, aiuta noi spettatori italiani ad avvicinarci alla storia narrata con occhio più consapevole ed a comprenderne meglio lo sviluppo.

Ad esempio, al di là di quanto spesso si senta dire la parola "mostro" dai vari personaggi, è utile sapere che la cantilena dei ragazzini "chi è il mostro?" è parte di un gioco che in giapponese ha quel nome ma che si fa anche in Italia, dove si chiama "Chi sono" e prevede di indovinare la figura rappresentata su una carta che si ha in fronte.

Lo "strano" quotidiano giapponese è riconoscibile in tanti piccoli dettagli: i bambini vanno a scuola da soli, salutano sempre per primi gli adulti e puliscono le loro aule; tutti si levano sempre le scarpe quando entrano in spazi abitati; tutti pongono una tazza di tè o bicchiere d’acqua davanti all’ospite in qualsiasi situazione; la merenda dei ragazzini è yoshoku, cioè pane occidentale spalmato di miso giapponese... Non facciamoci distrarre da questi particolari, perchè i Giapponesi non li noterebbero: sono per loro solo uno sfondo "naturale" e no fanno davvero parte della storia!

La differenza più eclatante con il mondo occidentale, per noi, si mostra nei colloqui tra madre e insegnanti, dove, al di là di quanto detto, sono i dettagli a rivelarci la drammaticità del momento, perchè in Giappone un inchino non corrisposto, un silenzio non accolto con rispetto o un tono di voce alterato sono assolutamente fuori da ogni convenzione “accettabile”. Mentre tristemente universale risulta una frase della preside: “Non importa ciò che è successo veramente”.

Esiste anche una chiave di lettura giapponese velata e simbolica, per noi di difficile percezione: le tre diverse narrazioni prendono inizio tutte da un incendio, dove il fuoco simboleggia energia e forza ma anche ciò che è incontrollabile. Le tre visioni vengono legate tra loro dalla presenza della preside, il cui personaggio ha uno sviluppo assolutamente inaspettato, e vengono tutte chiuse dal suono stonato di un trombone, apparentemente dissonante ma che riesce a spezzare la tensione e dare soluzioni, al contrario di suoni armoniosi e ritmici che spingono i Giapponesi a passività e meditazione.

Nel film la presenza dell'acqua è ricorrente: ferma, nei paesaggi con il lago, rappresenta la tranquillità della natura a confronto con l'agitazione umana; agitata nello scorrere con forza sotto i ponti simboleggia il fluire inesorabile del tempo e del destino, impetuosa nella parte finale sottolinea la difficoltà ed insieme la purezza della rinascita.

Questo ultimo tema è molto comune negli anime, i cartoni animati giapponesi, che vedono spesso protagonisti adolescenti, e a certi anime di Miyazaki fanno riferimento anche certi panorami e certi ambienti, tra cui, senza stare ad entrare troppo nei dettagli, invito ad osservare l'immagine del vagone abbandonato in cui entrano i ragazzini durante il temporale.

Altra nota incredibilmente giapponese: la languida e meravigliosa colonna sonora di Ryuichi Sakamoto, formata dai pochi temi che è riuscito a scrivere prima di aggravarsi (morirà due mesi prima dell'uscita del film). Una musica delicata al punto che appare solo per permettere di centellinare le emozioni dello spettatore e che, per scelta dello stesso compositore, non copre mai i rumori naturali, tanto che il regista Kore-eda, se Sakamoto non avesse accettato, avrebbe montato il film senza alcuna colonna sonora.

E se qui terminano le mie considerazioni su cultura e cinematografia giapponesi, ora parliamo di cucina. Ovvero di una specialità che appare nel film ed è tipica di Suwa, la città dove è stato girato: i kurumi yamabiko,くるみ やまびこ, sono trancetti di frolla ripieni di caramello e noci, una sorta di barretta energetica che rappresenta una golosità ma anche una risorsa in caso di calamità, poiché nella sua confezione originale dura 7 anni!


Il regista ne era talmente ghiotto che per tutta le durata delle riprese ne mangiava 3 al giorno, e ha omaggiato questi dolcetti citandone la marca locale più famosa sul sacchetto che la mamma del protagonista porta come omaggio quando fa visita alla famiglia del compagno di scuola del figlio.

Non ho la minima intenzione di prepararli a casa, ma di prendere spunto da quel mix di sapori per proporre oggi un insaporitore che alla tradizione locale delle noci e caramello fa riferimento... però in versione salata!

Non mi invento niente: in Giappone il nattsu miso, ナッツ味噌, è un condimento a base di miso, noci (spesso miste) e zucchero (quindi molto affine ai kurumi yamabiko) con cui si insaporiscono sia riso bianco che verdure cotte o crude, ma anche patate ed infiniti altri piatti. Funziona anche da dip per intingervi di tutto e... si spalma come snack sul pane!
Come dicevo, i ragazzini in Kaibutsu fanno merenda nel loro vagone-rifugio con pane e miso... dunque perchè non rendere omaggio al film con la versione da merenda di questa preparazione? D'altro canto quanto sia buono l'abbinamento pane e noci, e quanto funzioni bene una eventuale aggiuntina umami, lo sappiamo bene anche in Italia.

Uso ovviamente solo noci, specialità locale di Suwa, per questa ricetta semplicissima che aromatizzo anche con mirin e una goccia di salsa di soia, nonostante possa funzionare perfettamente anche solo mescolando noci, miso e zucchero o miele. Qui tosto il pane ma questo spread è buonissimo anche sul pane fresco, e persino con pane dolce al latte o con brioches...

Consiglio di prepararne in abbondanza, perchè il suo umami crea dipendenza e, se si riesce a non mangiarselo tutto subito, si conserva in frigo per qualche giorno. Se ci avessi pensato prima ora non sarei in crisi di astinenza e avrei potuto sperimentarlo stasera per condirci un piatto di pasta! 
くるみ味噌のサンドイッチ - KURUMI MISO NO SANDOITCHI - PANE CON MISO ALLE NOCI
ingredienti per 4 persone:
6 noci, c.a 50 g da sgusciate
2 cucchiai di miso chiaro (qui kyoke shiro-miso artigianale di Motomiya)
1 cucchiaio e 1/2 di zucchero
1 cucchiaio di mirin
1/4 di cucchiaino di salsa di soia
4 fette sottili di pane rustico (qui fatto in casa, con 25% di farina di grano saraceno)
Spezzettare le noci, tostarle a secco a fiamma vivace fino a che cominciano a profumare, quindi levarle dal fuoco e pestarle grossolanamente.

Scaldare il mirin con la soia e lo zucchero (io nel microonde 30 secondi a 900w), in modo che sia tutto ben sciolto ed amalgamato. Unire le noci ed il miso e mescolare bene, regolando eventualmente a gusto di sapidità con più soia e di dolcezza con più zucchero.

Si tratta di un insaporitore, non lo si assapora al meglio assaggiato da solo, quindi per testarlo è meglio mescolarlo ad un pochino di riso bianco oppure raccoglierlo con un bocconcino di pane.

Tostare le fette di pane e spalmarle con il composto: meglio cominciare con un velo sottile ed adattarne poi la quantità in base a quanto se ne apprezza l'aroma intenso, prima di servire. La quantità in foto è perfetta se, come poi ho fatto io, vi si sovrappone un'altra fetta di pane a mo' di sandwich.
  • rivoli affluenti:
  • le foto dei dolcetti e del sacchetto davanti al furgone vengono da qui
  • la foto di altri usi del kurumi miso da qui
  • si tratta di una preparazione naturalmente vegetariana e vegana.

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